Partitismo e politica, differenze

Partitismo e politica, differenze

Partitismo e politica, differenze

Partitismo e politica, differenze

L’evasa, linocut by Mary Blindflowers©

 

Giuseppe Ioppolo©

Partitismo e politica, differenze

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Voglio cominciare premettendo che sono stato iscritto a partiti e formazioni politiche e non ritengo questo fatto un’infamia, bensì un preciso diritto di ogni cittadino al fine di concorrere alla vita democratica del proprio paese promuovendo la partecipazione. Così nei lontani anni 70 iniziai la mia avventura politica iscrivendomi all’organizzazione giovanile del PCI diventando, pertanto, un “figicciotto” termine slang un po’ dispregiativo con il quale si indicavano gli iscritti alla FGCI che, tradotto in madrelingua, stava ad indicare “giovane sempliciotto precocemente inquadrato in una ortodossia politica della quale non comprende l’esatto  significato”.  Fatta la gavetta prima in un circolo giovanile di Messina nel 1969, per poi restarne lontano alcuni anni e riprendere l’attività in un circolo giovanile di Sesto San Giovanni, nel 1973, ritornato in Sicilia m’iscrissi al PCI. Confesso che, pur avendo fatto il diffusore dell’Unità, pur avendo svolto proselitismo per la, si direbbe ora, fidelizzazione dei nuovi adepti, pur avendo svolto propaganda politica invitando i cittadini, gli amici a segnare con il proprio voto il simbolo da me, a quei tempi, innalzato a stella polare, credo di non avere mai fatto politica partitica. Perché? Al fondo della politica partitica c’è l’idea degenerata del potere e del voto di scambio: tu elettore che non sei Nulla dai il voto a me che sono il Potere che conta e decide ed io ti prometto che vincerai il subappalto, il concorso per impiegato al comune o quello per bidello alla scuola, per non parlare di quelli per infermieri, medici, docenti… in un do ut des che più si pratica, più mortifica la politica, la dignità del cittadino, la salute delle istituzioni democratiche. Una pratica che, anche qualora ne fossi stato tentato, non sarei stato in grado di condurre in porto. Primo perché m’avrebbe fatto schifo e di converso, mi sarei fatto schifo. Secondo non avevo alcun potere in merito. Ma anche quando l’avessi avuto non credo sarei riuscito a vincere l’olezzo nauseabondo d’una pratica mortificante per chi la conduce e per chi la riceve. La controprova è che, ad inizio anni 80 diventato consigliere comunale, (forse immeritatamente, perché riesco a partecipare poco ai consigli comunali, non per cattiva volontà ma perché, quasi sempre, le sedute del consiglio coincidono con il mio turno di guardia medica e, nonostante vengano comunicate anticipatamente, non sempre mi viene facile il cambio del turno), sono sottoposto alla verifica e la conclusione è stata che il vero demerito per il partitismo non è la mancata partecipazione. Tutt’altro! Fui eletto in una maggioranza che univa due partiti storicamente antagonisti, PCI e DC – siamo negli anni berlingueriani del compromesso storico – e l’opposizione, capeggiata da un PSI craxiano, stava conducendo una battaglia sulla potabilità dell’acqua del comune sostenendo la sua non potabilità. Aveva dalla sua i referti del Laboratorio Provinciale d’Igiene e Profilassi, (LIP) che denunciavano una discreta presenza di coliformi totali nei campioni prelevati. I coliformi sono batteri ambientali la cui presenza nelle acque le rende, per definizione, non idonee all’uso potabile. Uno che fosse stato addomesticato alla pratica degenerata del partitismo perfetto avrebbe avuto due possibilità: 1. non partecipare ai consigli comunali tenuti per l’occasione. 2. Stare comunque con la maggioranza facendo quadrato intorno al sindaco. Io che facevo politica ma non politica partitica, pur essendo iscritto al partito comunista, non scelsi di seguire né l’una né l’altra possibilità, dicendomi convinto e sostenendolo con dati scientifici, che quelle acque con quei risultati erano da dichiararsi non potabili e di questo fatto la cittadinanza doveva essere avvisata. Lascio immaginare il linciaggio morale a cui fui sottoposto dagli “amici” democristiani e, purtroppo, anche dai “compagni” del PCI. Ma torniamo al tema dal quale eravamo partiti: politica e partitismo non soltanto non sono sinonimi, sono di fatto termini antagonisti. Il primo, (la politica, il fare politica), quando esplicitato, è un modo di vivere positivamente la condizione del cittadino che partecipa attivamente alle sorti della civitas. Il secondo (il partitismo) è la degenerazione della politica che subordina al potere del partito, di un partito quale esso sia, la distribuzione di quote di potere e privilegi senza alcun criterio di merito e solo e in quanto vincolato da un’appartenenza di tipo affaristico e non su base d’un ideale di trasformazione complessiva della società. Attenzione! Assai spesso chi manifesta un pruriginoso fastidio al “fare politica” inteso come partecipazione attiva alla vita democratica del proprio Paese, non raramente è il primo a lasciarsi trascinare in pratiche spartitorie. Sono quelli che non “fanno politica” ma chissà per quale arcano motivo occupano poltrone prestigiose e lautamente retribuite in virtù non di meriti specifici ma di amicizie coltivate con i “politici” ma non “facendo politica” e che in virtù del “non fare politica” passano indenni da un’amministrazione ad un’altra, da un governo ad un altro, perennemente incollati alle loro poltrone non politiche ma avute dalla politica. Gli esempi che si possono fare si sprecano. La conclusione è che una società che premi il merito non è vero che non abbia bisogno di politica. Ha, al contrario bisogno di quella politica che si nutre di idealità e che non è disposta a barattare queste per un piatto di lenticchie, per una poltrona di potere o per una lauta ricompensa economica, magari sotto la veste di un premio letterario elargito senza neppure conoscere l’opera.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Parole sante! All’uomo divenuto ingranaggio del potere, della polis non può che fregare di meno. E direi che proprio il craxismo del così fan tutti con la sua fiera opposizione all’utopia moro-berlingueriana ha incancrenito in Italia la forbice tra politica evolutiva e vieto partitismo.

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