Incommensurabile misura, uguaglianza, giustizia

Incommensurabile misura, uguaglianza, giustizia

Incommensurabile misura, uguaglianza, giustizia

 

Incommensurabile misura, uguaglianza, giustizia

La luna, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo©

Incommensurabile misura, uguaglianza, giustizia

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Quando parliamo di conoscenza, dimentichiamo di aggiungere al termine un aggettivo: <umana>. Ma ciò dice ancora molto poco del gurges mirabilis in cui precipitiamo e nel quale rischiamo miseramente di affogare. Eppure, nel riflesso anche di una più antica leggenda dei Catlo ‘ltq britannici – ai cui eredi ha di recente fatto visita il Pontefice di Roma in quanto latore di una teorica e meno recente cancel culture, cristiana e occidentale, verso tutti i “nostri più antichi progenitori” così come li chiama Aristotele nella Metaphisica -, si credeva che fosse proprio dal fondo dell’oceano del Sud che i nostri più antichi progenitori avessero tratto le misure necessarie per ogni tipo di conoscenza, almeno quella ritenuta essenziale.

E già in ordine a questo punto, tuttavia, come già in parte accennato, la situazione si complica assai: quale sia e dove si trovi questo <oceano del Sud> è questione essenziale e dirimente. In sintesi estrema, possiamo dire che non riguarda il sud del pianeta-Terra, bensì il Sud dell’asse dell’Eclittica, che registra il movimento o meglio la relazione tra il moto del Sole e il moto della Terra.

Ciò determinò l’<idea> che le misure fossero prese dall’<alto> terrestre, guardando al <basso> celeste. Semplificando, potremmo dire che vi era stato un tempo in cui la stella Sirio era creduta la chiave interpretativa, e cioè il perno su cui fondare la conoscenza di tutte le cose che accadono; e vi è stato un altro tempo in cui – a causa del moto circolare della Terra e degli astri – questa funzione sia tuttora svolta da Aldebaran (N.d.R.: fate comunque attenzione ai nomi dati alle cose, perché anch’essi mutano continuamente!).

Ma, quanto appena rescritto sta a dimostrare soprattutto che non esiste una credenza <vecchia> che occorra sostituire con una <nuova>. Nel linguaggio del logos, che non muta affatto il linguaggio del mythos – se non nella forma -, così come non muta il patto – tanto per fare un esempio, tra Dio e gli uomini e in ordine al rescritto dell’Antico e del Nuovo Testamento -: la chiave interpretativa della conoscenza resta sempre la stessa ovvero la macchina del tempo, del cui fondamento e della cui scienza e trascrizione Platone è ancora ben consapevole.

E quindi, essenzialmente: una theoria, un’idea, ma nulla più.

Prima dello sviluppo della scienza che comunemente diciamo sperimentale, gli Antichi non avrebbero quindi che potuto sviluppare una theoria, mancando il raffronto con l’esperienza dei fenomeni; che tuttavia accadevano, apparentemente, uguali da sempre sotto gli occhi di tutti noi <umani>. Una credenza, anche questa, forse più assurda di ogni altra: come se gli antichi non avessero acquisito una certa consapevolezza del fatto, a esempio di tantissimi altri, che alla <notte> seguisse il <giorno>, e viceversa, e fosse invece necessario pregare il Dio perché tale fenomeno restasse immutato, fosse confermato e divenisse, così, anche frutto della <nostra> conoscenza, di una conoscenza supposta immutabile relativa al moto perenne di pianeti, astri e altre stelle fisse, ovvero le cose <eterne> o <create>.

E tuttavia, il nodo gordiano in questione restava e resterà in modo perenne, per ciò che ancora chiamiamo <umano>: il <principio> di incommensurabilità.

Ovvero l’incapacità dell’uomo di conoscere con certezza, il sapere di non sapere di Socrate, le grand don – di Paul Valery – de ne rien comprendre a notre sort.

Così che la conoscenza si rivela essenzialmente una fede, una credenza che ciò che accade e che è interpretato secondo una regola fissata continui ad accadere nello stesso modo. E’ la fede <nel> e <del> continuo da parte dello scienziato (sia esso stesso anche un politico o un religioso) che interpreta la <realtà> – in ogni caso sempre presunta, come ci testimonia anche il fisico Einstein (se è fisica non è certa, se è certo non è fisica) – in modo tuttavia sempre discreto.

Se voi lettori avete qualche dubbio nel merito, siete innanzitutto sulla giusta <via>. Anche se comunque, quel che è più arduo precisare è proprio in ordine al concetto di <giustizia>. Crederete che derivi e comunque abbia a che fare con qualcosa che attiene o è essa stessa l’<uguaglianza>, ma cosa intendete esattamente con questa?

Non dovreste infatti trascurare il fatto che abbiamo sempre a che fare con la misura della conoscenza. Così che, allora, potremmo anche considerare quanto segue:

Licurgo bandì da Sparta ogni proporzione aritmetica, essendo questa democratica e a favore della massa; introdusse, invece, la proporzione geometrica, in quanto confacente a una oligarchia e a un governo sovrano che governa in forza della legge. La prima, infatti, dà a ciascuno una parte uguale in forza del numero, ma la seconda dà in base a una proporzione dei rispettivi meriti o demeriti. Essa non confonde tutte le cose insieme, ma le seleziona, ben discriminando il buono e il cattivo, di modo che ciascuno ha quello che più gli si adatta, non in ragione della quantità o del peso, ma a seconda che egli sia virtuoso o malvagio. La stessa proporzione, mio caro Tindaro, la introdusse Dio, con ciò che chiamiamo δίκη e νέμεσις; e ci insegnò a tener conto che ciò che è giusto è uguale e non che ciò che è uguale è giusto. Poiché Dio cancella, per quanto possibile, quella eguaglianza che alletta molti e che si risolve molte volte nella più grande delle ingiustizie; e usa quella proporzione che rispecchia i meriti di ognuno, definendola geometricamente secondo la legge e la proporzione.

(Plutarco, Questioni conviviali, 2, 2).

Ciò che è giusto è uguale e non ciò che è uguale è giusto. La <giustizia> è cioè una misura stabilita da chi dà la misura stessa. E’ la presunta, fideistica e dogmatica, conoscenza delle cose che accadono, e che invece, in quanto <umani>, non ci appartiene e non può appartenerci. Il <nostro> destino è quello dell’in-esattezza, dell’in-commensurabilità; a differenza di chi ancora crede che un Dio, che ancora evidentemente non si sia pentito, si mostri un giorno compassionevole e, misurando esattamente la propria creazione, la giudichi per ciò che essa stessa si rivela, e quindi sommamente ingiusta. Summum ius summa iniuria è ciò che i <veri> scienziati – al contrario di quel che dicono Platone e tantissimi altri – sanno.

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