Deledda, Pirandello, chiusura, oltre

Deledda, Pirandello, chiusura, oltre

Deledda, Pirandello, chiusura, oltre

Deledda, Pirandello, chiusura, oltre

Dentruovo, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Deledda, Pirandello, chiusura, oltre

 

Pirandello e la Deledda, un rapporto controverso, perfino di ostilità, quando la prima impedì la pubblicazione di un libro dello scrittore siciliano con Treves, tanto era potente all’epoca. Eppure quel libro, Suo marito, io l’ho amato, indipendentemente dallo sfottò riservato al maritino della Deledda e l’ho apprezzato per la feroce ed attualissima critica della borghesia che Pirandello mette in moto in modo ammirevole e che va al di là del personaggio stesso, come accade sempre in ogni buon libro che si rispetti.
Tra la Deledda e Pirandello ho sempre preferito il secondo e non solo perché la meschina attività della prima tesa ad impedire la pubblicazione di un libro, me la rende antipatica, ma soprattutto perché mentre Pirandello critica, la Deledda si imbalsama nella natura mitica affrontando sempre gli stessi temi, identici in tutti i romanzi, tant’è che se ne leggi uno li hai letti tutti. I personaggi infatti sono sempre gli stessi, pastori, contadini, piccoli borghesi, uomini e donne agitati da passioni elementari. Le trame molto simili. Gli sfondi anche, sempre identici, raggiungendo il massimo di espressività artistica in Canne al vento. Basterebbe leggerlo per inquadrare tutto il mondo deleddiano, gli altri romanzi sono pleonastici, una coazione a ripetere, preparatoria nel caso di quelli scritti prima del capolavoro, aggiuntivi quelli scritti dopo. I temi? Gelosie, conflitti, miserie esistenziali, amori e odi, sono la base su cui si innestano tutti i romanzi che alla fine risultano ripetitivi e acritici.
Pirandello invece è un esploratore di personaggi, volti, maschere, trame e situazioni tutte diverse in cui l’uomo di fronte a se stesso si scopre debole e manchevole, talvolta meschino e rapace, alienato. Lo sfondo cambia di continuo, talvolta è la città, talaltra la campagna, può essere un treno o un set cinematografico, dei negozi o l’aula di un corso di formazione professionale, un negozio di sartina, etc. Ambienti vari in cui l’animale uomo viene analizzato pezzo per pezzo, anima, corpo, difetti e pregi.
Mentre i racconti della Deledda sono fiacchi e spesso poco convincenti, le novelle di Pirandello appaiono come piccoli capolavori di stile e contenuti in cui il vecchio e il nuovo si scontrano, si rincorrono nella forsennata capacità dell’uomo di vedersi senza nemmeno guardarsi. Mentre Pirandello anticipa l’alienazione novecentesca dell’uomo-macchina nello scontro con la tradizione, la Deledda rimane nell’Ottocento e dentro la bottiglia del tipico, dimostrando una certa chiusura mentale rispetto a mondi diversi dal suo. Frequentatrice di salotti su suggerimento del marito, non riesce a criticare l’ipocrita borghesia che le fece fare del resto, successo. Perfino Cosima, il romanzo della maturità, è ostinatamente ambientato in Sardegna, insomma dall’Isola la Deledda non esce, anche se di fatto per fare carriera n’è uscita eccome. Questo il suo limite enorme. Da borghese non riesce a fare una critica alla sua stessa classe sociale ma concentra la sua attenzione su servi pastori e personaggi stereotipati. Ostinatamente non va oltre come non va oltre oggi nemmeno la poesia sarda inganglita dentro una scatola tradizionale che le impedisce di muoversi. Si ripetono versi rimescolati ma identici, non c’è nessun tentativo di innovazione. La poesia sarda è terribilmente immobile, perfino i poeti migliori non vanno oltre ritmi tradizionali, per cui si assiste ad una carrellata di déjà-vu, un immobilismo che si riflette in ogni aspetto della vita sarda, dalla politica, all’editoria, all’economia che non migliora. È tutto fermo. Questa litica mancanza di movimento è inevitabile che si rifletta nella letteratura. In fondo anche i libri di Niffoi non sono tutti uguali? Cambiano i nomi dei personaggi ma sfondi, situazioni e passioni restano le stesse. Basta leggerne uno e li hai letti tutti. Scritti bene, certo. Belle descrizioni sensoriali tipiche ad effetto, bella scrittura che ti fa sentire i tanto decantati odori e sapori della Sardegna, ma oltre l’autore non riesce ad andare perché l’Isola isola, e anche l’editoria sarda è un’isola per pochi, identica se non peggiore di quella del resto d’Italia perché gli editori sardi pubblicano solo libri sulla Sardegna o ambientati in Sardegna scritti da autori rigorosamente presentati da qualcuno o da professori universitari che già sanno che appiopperanno il loro libro in un noioso corso monografico, altrimenti chi se lo comprerebbe?
All’università una volta fui costretta a comprare un libro sui carburanti per autotrazione, utile a detta dello stesso prof. che lo aveva scritto, bontà sua, per l’esame di geografia!
Evitando di proseguire in divagazioni, concluderei dicendo che l’ostinazione alla chiusura non fa bene alla letteratura, per questo Pirandello riesce ad andare oltre. Leggerlo è un’avventura sempre nuova ed esaltante perché non è mai uguale a se stesso, non si arrocca nel solo tipico, riesce a superarlo brillantemente e innesca una feroce critica della borghesia che la Deledda non ha mai avuto il coraggio di affrontare.

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Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    Verissimo. Deledda e Pirandello due isolani agli antipodi. Provinciale l’una, internazionale l’altro. Osservatrice statica la prima, indagatore dinamico il secondo.

  2. ppp

    perfettamente ragione …dopo Canne al vento , hai letto tutto

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