Esame, coscienza, letterato, guerra

Esame, coscienza, letterato, guerra

Esame, coscienza, letterato, guerra

Esame, coscienza, letterato, guerra

Esame di coscienza di un letterato, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Esame, coscienza, letterato, guerra

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Ma certi poeti di carminio senza c,
vecchi zebù sfiancati
dalla prosa a capo e collo a v,
tutti cagati,
grondano rivoluzioni da tv di stato,
dando in pasto ai polli un marabù
per desertificare l’opinione
gridata dai forzati superfluff,
della televisione fluffy puff,
magica scatoletta per poeti da provetta
e chi più ne ha ne metta!

 

L’web in questo periodo è pieno di poesie e poesiole sulla guerra in Ucraina, elaborati che fittiziamente cercano, in modo del tutto inautentico, di comunicare il dolore della guerra vista “dall’interno” mai vissuto e che perciò sulla carta assume il valore di un mero tentativo di mettersi in mostra fingendosi buoni e bravi. Trattasi in moltissimi casi di finzione opportunistica perché non si può parlare di ciò che non si vive se non in modo ipocrita.
Siccome la mente è un universo di curiose associazioni, mi è venuta in mente una pubblicazione dei primi del Novecento: Esame di coscienza di un letterato seguito da ultime lettere dal campo, a cura di G. De Robertis e L. Ambrosini, Milano, Fratelli Treves Editori, 1915.
Confesso di essermi avvicinata a questo testo pensando che fosse soltanto concentrato sul ricordo nostalgico di Renato Serra, che, come si legge sulla copertina si spense il 20 luglio 1915, invece ci sono degli spunti di lettura molto interessanti, proprio nell’articolo che ha dato il titolo al libro e che affronta il rapporto tra valore di un’opera e condizionamenti morali nel giudicarla in rapporto all’operato dell’autore:

 

Oggi è una cosa, e ieri fu un’altra. La forza morale e la virtù presente non hanno rapporto diretto con quel che c’era di mediocre e povero e approssimativo in certi tentativi letterari. La guerra ha rivelato dei soldati, non degli scrittori. Essa non cambia i valori artistici e non li crea: non cambia nulla nell’universo morale. E anche nell’ordine delle cose materiali, anche nel campo della sua azione diretta… (p.27).

 

In parole semplici se siete dei mediocri poeti lo rimarrete anche se parlate della guerra e cercate di accaparrarvi le simpatie di una platea commossa per vittime e situazione geopolitica contingente.
Non è l’evento o la dirittura morale dell’autore a far di questi un artista.
E considerando che nel 1915 c’era una guerra mondiale e quindi i poeti nostrani parlavano di ciò che conoscevano direttamente, mentre oggi i vari versificatori occidentali non vivono direttamente la realtà della guerra sulla propria pelle, ma indirettamente attraverso le notizie dei giornali e l’aumento delle spese, del grano, della benzina, etc. per via di un mondo interconnesso, direi che la frase suindicata acquista ancora più valore ed attualità.
L’argent fait la guerre mais la guerre ne fait pas la littérature, è un dato di fatto, e non basta scrivere di essere rivoluzionari per esserlo davvero, anche perché chi lo è non lo dice, è implicito nella dinamica dei suoi contenuti, basta leggere, operazione certo poco alla moda se un autore non compare in tv, ma sempre efficace.
Del resto la moda come diceva Leopardi nelle Operette morali, non è forse sorella della morte e figlia della caducità?
E la letteratura non è stata sempre piena di poeti e scrittori mediocri elevati agli allori e definiti da altri mediocri che li lodano, grandi? Non è forse sempre esistita “la miseria de’ saggi, la prospera fortuna degl’insensati, de’ ribaldi e de’ vili”? (Leopardi, Proposta di premi fatta all’Accademia dei Sillografi).
Non si rende oggi come ieri necessaria l’esistenza di una geniale macchina mai inventata chiamata “parainvidia, paracalunnie o paraperfidia o parafrodi”? (Leopardi).
Guerra o non guerra, cataclismi, tragedie collettive, assestamenti e contorcimenti di geopolitica, la natura umana rimane quella che è, non cambia mai. Lo stesso De Robertis nella sua Dichiarazione a l’esame di coscienza di un letterato, l’aveva capito, riproponendo una domanda essenziale formulata anche da Renato Serra: toglie niente questa possibilità di guerra, o muta, alla nostra letteratura? No. 
Sempre ne l’Esame di coscienza, si legge un rafforzamento di questa risposta negativa:

 

Bisognerà ricordare quello che accade adesso, intorno a noi, per tutti quelli che prendono parte, non solo come uomini, ma anche come letterati, alla guerra; e i cronisti raccontano tante cose di professori, artisti, scrittori, che si sono spogliati delle proprie abitudini, e vanno creando, per i nuovi bisogni, secondo il nuovo spirito dell’ora che passa, una letteratura nuova? … All’infuori di qualche modificazione di accento, portata dalle circostanze, o sia guadagno di semplicità, o sia peggioramento di enfasi, all’infuori del mutar materialmente gli argomenti e le occasioni dello scrivere, tutto è com’era… Non c’è stata mai tanta retorica e tanto plaqué come in codesta roba della guerra… (pp. 12,13).

 

Discorso più che mai attuale. Di retorica ce n’è tanta, di letteratura, veramente poca. Del resto a chi mai può più interessare questa vecchia signora dimenticata?

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Rivista Il Destrutturalismo

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Comment (1)

  1. Mariano

    Tutte le man di minio
    che ‘l pezzo fan carminio
    non levano la ruggine,
    poeta simili muggine
    e tu che scrivi lieto
    per noi non vali un peto:
    retorica all’ ingrosso,
    ma poi te la fai addosso
    se indossi l’uniforme
    se un cagasotto enorme!!!

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