La pecora vuole essere pecora?

La pecora vuole essere pecora?

La pecora vuole essere pecora?

La pecora vuole essere pecora?

Ovino, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

La pecora vuole essere pecora?

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Un ingegnere ha scritto su fb che “la pecora vuole essere pecora”, ignorando il ruolo del pastore. Se la pecora è costretta per campare e non morire di fame, a lavorare a ritmi forsennati, stanca morta poi non è che va a vedersi una mostra d’arte e a discettarne, si siede a casa affranta per vedersi San Scemo che è fatto appositamente dai padroni perché la pecora rimanga ignorante e non pensi che a farluccherie. E quindi è la pecora a voler restare pecora o il padrone che magari è pure ingegnere, a volere che rimanga tale, così non capisce nulla e sta zitta? Io domando.
Bartolini ne Il fallimento della Pittura scriveva:

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Le arti non offrono alcun interesse all’anonimità delle attuali formiche umane, molte delle quali, anzi quasi tutte, perdono giornalmente la testa per procurarsi la pagliuzza di cibo. Poi, di sera, il povero uomo sortito dal suo carcere quotidiano (officina o ufficio) non desidera se non di distrarsi mediante divertimenti a tiro rapido, che non implichino alcun lavoro di mente, alcun anelito spirituale. La povera creatura umana oggi non ha più possibilità di pensare. Non vuol pensare…

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La pecora dunque non è che voglia essere pecora, è che non ha possibilità di essere altro perché le è stato sottratto il tempo per pensare.
La frase dell’ingegnere suindicato però, buttata così a casaccio, non è che la punta di un iceberg, la metodologia sragionativa e accomodante delle classi alte che giustificano la povertà e l’ignoranza facendo spallucce e dicendo: se sono pecore è perché vogliono esserlo, se sono poveri e ignoranti, è perché lo vogliono.
Una signora che si diverte a scrivere racconti, a sua volta scrive che, testuale: i poveri oggi hanno grandi possibilità, possono avere anche spazi in cui presentare i propri libri o se non li hanno, se li creano”. La signora ovviamente non è povera. Colui che ha appena bevuto e sempre beve pur non avendone voglia, non può capire l’assetato, è fisiologico, quindi finisce col dire innumerevoli castronerie.

Il borghese benestante medio che non riesce ad oltrepassare il proprio orticello e quindi non sa cosa ci sia oltre, è veramente convinto che chi è povero voglia masochisticamente esserlo, chi non ha spazi non sia capace di procurarseli.
Purtroppo la realtà è ben diversa.
Le biografie degli scrittori in, specialmente italiani, ma non solo, parlano da sole.
Sono tutti figli di qualcuno oppure hanno una tessera. Non si sfugge, o già ricco o servo per diventarlo. Così è più semplice, carriera più o meno assicurata.
Ma nessuno fa caso alle biografie, (quelle vere, non quelle costruite per la propaganda e il marketing) meno che mai nello Stivale, Paese distratto dal calcio e dalle manifestazioni canoro-perbeniste in cui una crosta di finta e preparata trasgressione, utile per stilare articoli sui giornali che parlano di nulla e lo impanano, smuove ipocritamente le acque di una religione stantia che ha imparato nella sua furbizia, perfino a giocare con il gossip, per sottrargli un poco di gloria nazional-popolare e vantarsi di essere al passo e allo spasso coi tempi, dalle pagine di giornali più che reazionari e totalmente dipendenti dalla gerarchia ecclesiastica.
Ne La casa dei melograni (A House of Pomegranates), pubblicata nel 1891 con le illustrazioni di Charles de Sousy Ricketts e Charles Hazlewood Shannon, Oscar Wilde scriveva, precisamente nel racconto Il giovane Re, The young King:

 

“Are not the rich and the poor brothers?” asked the young King.
“Ay,” answered the man, “and the name of the rich brother is Cain”.

“I ricchi e i poveri non sono forse fratelli?” domandò il giovane re.
“Sì”, rispose l’uomo, “il nome del fratello ricco è Caino”.

“In war”, answered the weaver, “the strong make slaves of the weak, and in peace the rich make slaves of the poor”.

“In guerra”, rispose il tessitore, “i forti rendono schiavi i deboli, e in pace i ricchi rendono schiavi i poveri”.

 

Quindi dopo che i ricchi schiavizzano i poveri, si preoccupano pure di dire: “Ma Signori, sono i poveri che vogliono essere poveri! Che colpa abbiamo noi?”

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Video – The Black Star of Mu

Rivista Destrutturalismo

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