Aspirante ricercatore, libri antichi

Aspirante ricercatore, libri antichi

Aspirante ricercatore, libri antichi

Aspirante ricercatore, libri antichi

La rete, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Aspirante ricercatore, libri antichi.

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Aspirante ricercatore, cattolico convinto, a suo dire plurilaureato, schiocca una domanda, scandalizzato: “ma lei usa come fonte un libro dell’Ottocento?”

Se si parlasse di medicina forse la bocca storta di chi pone questo tipo di domande potrebbe avere un senso, infatti se cerchi di curare un mal di denti coi rimedi di una ottocentina o di una cinquecentina, forse potresti incappare in intrugli a base di mercurio o di sterco, ma insomma, si parlava di un libro che riportava i dialoghi del processo a Giovanna d’Arco, quindi l’utilizzazione di un libro antico ha più che senso, anzi sarebbe stato forse preferibile una fonte ancora più antica.

Il nostro aspirante accademico non sa infatti che quasi tutte le conoscenze degli accademici attuali derivano in buona parte dai libri antichi senza i quali sapremmo ben poco specialmente di letteratura.
I critici letterari non fanno che ripetere quello che c’è scritto nei summenzionati libri ed è sempre stato così, innescando perfino reazioni a catena in cui un critico A legge un libro antico e ripete quello che c’è scritto, poi un altro B si rifà ad A, ed entrambi si rifanno ad altri che a loro volta si rifanno a testi antichi.
Per esempio, riguardo il Poliziano “nel vecchio Nannucci si ritrovano inevitabilmente le preferenze minuziose e talvolta superflue della critica erudita fine-Settecento”, come ammette lo stesso Antonio Russi in Poesia e realtà, La Nuova Italia, prima edizione 1962. A sua volta il Carducci si rifà a Nannucci che si era rifatto ai testi antichi, ed entrambi saccheggiano ampiamente dal Forcellini e dalla Crusca che, ancora, si appoggia all’Alberti di fine Settecento e così via:

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Nonostante il suo gusto di scrittore e la spigliatezza di stile e di immagini, il Carducci, non aveva, come critico, uno modo di avvicinarsi ai testi diverso, in sostanza, dalla tradizione impersonata dell’abate Nannucci, di cui egli corregge e abolisce i richiami inutili e sfasati e ne aggiunge dei nuovi; ma accoglie tutto il resto, che non è poco. Così anche al verso “E quanto per sue cure disacerba”, il Carducci ripete col Nannucci: “leva l’acerbezza, addolcisce, mitiga”. Pur restando quindi i meriti del Carducci, soprattutto come editore, quelli ormai ben noti, non è facile dire per quanto riguarda il suo commento che “della ricerca delle fonti non ha che l’apparenza”. Ne ha invece anche la sostanza, altrimenti occorrerebbe attribuire buona parte dell’elogio al buon Nannucci, di cui si può dimostrare, testo alla mano, che il Carducci incamera circa il sessanta per cento delle note. Ma c’è di più: tutti e due, l’abate fiorentino e il filologo poeta, hanno avuto i loro maestri ed autori, più di quanto non si immagini, nel vecchio Forcellini e nella benemerita Crusca. I significati del “disacerba” sono quelli del dizionario della Crusca, registrati già più sinteticamente… sul finire del Settecento dall’Alberti e passata poi senza colpo subire nel Manuzzi e nel Fanfani e finalmente nel Tommaseo-Bellini, dove ognuno li ha oggi a portata di mano e dal quale nessun commentatore penserebbe a scomodarli, proprio perché il lettore è in grado di farlo da sé, se lo ritiene indispensabile. Ciò significa che del sessanta per cento, che il Carducci deve al suo predecessore, per lo meno il quaranta va scaricato sui due dizionari… (Russi).

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Se avrete la pazienza di leggere L’Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio scritta dal Manni a metà Settecento, capirete quante cose affermate dagli accademici riguardo Boccaccio, provengano dai libri antichi. In poche parole i professori universitari che oggi vengono considerati gli dei della cultura, non si sono davvero inventati nulla, tranne ogni tanto qualche fantasiosa interpretazione dei testi smentita poi da altri loro pari, ma utilissima per scrivere saggi poi confutati da altri saggi di diversa corrente politica, in una sorta di catena di sant’Antonio che non ha mai fine.
Leggere i libri antichi significa capire direttamente la fonte, senza intermediari, senza ricorrere al filtro accademico attuale. Leggeteli, dunque. La nota dolente è che costano. Però adesso è possibile consultare anche le digitalizzazioni on line in modo gratuito e facilmente accessibile, a dimostrazione che non sempre la tecnologia è nemica delle belle lettere.

 

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