Talebani, narcotraffico, sistema, plagi

Talebani, narcotraffico, sistema, plagi

Talebani, narcotraffico, sistema, plagi

Talebani, narcotraffico, sistema, plagi

La cimice, credit Mary Blindflowers©

 

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Talebani, narcotraffico, sistema, plagi

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Come diceva Rino Gaetano, c’è chi ama la zia, chi va a Porta Pia, chi suda il salario, chi ama l’amore e i sogni di gloria, chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria e chi come Saviano ripete a pappagallo da anni concetti detti, risaputi e indagati da altri molto prima di lui, fingendo di aver scoperto quanto è calda l’acqua calda e fredda la fredda, sostenendo che il ghiaccio è anch’esso freddo, dopo un’analisi approfonditissima sulle sfere celesti e sulla rotazione della terra che ovviamente non è piatta, peccato che non l’abbia scoperto lui.
Avevamo davvero bisogno del Saviano di turno per sapere che i Talebani si arricchiscono con l’oppio, sentivamo l’impellente necessità di arricchire le nostre menti con la scienza infusa delle sue meravigliose scoperte intellettuali su come va il mondo, per sapere che è stato l’Occidente ad armare il nemico della democrazia e renderlo sempre più ricco, e avvertivamo la tempestiva necessità di sapere che gli americani non hanno combattuto il narcotraffico talebano, che nel 2017 tale narcotraffico ha raggiunto il suo massimo storico, per un giro d’affari di oltre 6,6 miliardi di dollari, secondo i dati dell’UNODC (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine). I giornali parlano della denuncia di Saviano. Ma veramente? Perché ha detto qualche cosa che non sapevamo già tutti da anni e anni? Ha forse scritto qualche dato in più che era ignoto al mondo intero? Ci ha illuminati su verità nuove? No. Il suo ruolo pappagallesco, del resto, esplicitato anche nei suoi libri dove ha semplicemente romanzato cose scoperte da altri e per cui si è sentito per anni addirittura “perseguitato” da chi si è sentito giustamente defraudato del suo lavoro, dei suoi articoli non citati, non è una novità. Come noto, tra l’altro, nel 2013 Saviano e la casa editrice Mondadori hanno subito una condanna in appello per plagio, visto che la Corte d’Appello di Napoli ha riconosciuto che pezzi dell’opera Gomorra risultano riproduzione di due articoli dei quotidiani locali Cronache di Napoli e Corriere di Caserta. Lo scrittore e la casa editrice, in Appello, sono stati condannati a risarcire 60.000 euro, ridotti poi dalla Cassazione a sole 6000.

Wilde diceva che Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri…
Assistiamo imperterriti ai copia e incolla degli scrittori non liberi e pensiamo che sia informazione. Dopo aver letto i loro articoli superflui ci illudiamo di aver scoperto il meccanismo su cui si regola il mondo perché abbiamo l’eco di una lezione trita. Intanto chi scrive campeggia sui giornali a tiratura nazionale, qualunque déjà-vu proponga, viene accolto col plauso generale. Lo scrittore è onnipresente, sfrutta ogni avvenimento per dire la sua, passando dalla geopolitica alla politica interna, dalla, si fa per dire, “letteratura”, alla propaganda di partito.
Va soggiunto peraltro che Luigi de Magistris asserì che Saviano lucra sulla pelle di Napoli:

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Mi occupo di mafie, criminalità organizzata e corruzione da circa 25 anni, inizialmente come pubblico ministero in prima linea, oggi da sindaco di Napoli. Ed ho pagato prezzi alti, altissimi. Non faccio più il magistrato per aver contrastato mafie e corruzioni fino ai vertici dello Stato. Non ti ho visto al nostro fianco. Caro Saviano, ogni volta che a Napoli succede un fatto di cronaca nera, più o meno grave, arriva, come un orologio, il tuo verbo, il tuo pensiero, la tua invettiva: a Napoli nulla cambia, sempre inferno e nulla più, più si spara, più cresce la tua impresa. Opinioni legittime, ma non posso credere che il tuo successo cresca con gli spari della camorra. Se utilizzassi le tue categorie mentali, dovrei pensare che tu auspichi l’invincibilità della camorra per non perdere il ruolo che ti hanno e ti sei costruito. E probabilmente non accumulare tanti denari.

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Vero è che lo scrittore replicò duramente alle parole del sindaco, ma noi siamo dell’idea che quel suo parlare continuamente di chi devia, siano essi i camorristi, siano i Talebani (guarda caso sfruttatori entrambi del mercato dell’oppio e affini), alla fine della giostra dà l’idea di agire da Arlecchino servitor di due padroni. L’esempio più classico che ci viene in mente è il Virgilio dell’“Eneide”: quella poetica così sensibile nei confronti dei perdenti, dei vinti, cos’altro era se non la ruffianissima strizzatina d’occhio al Princeps per propagandarlo come magnanimo e rispettosissimo vincitore? Saviano grazie ai suoi plagi e alle sue profonde analisi del fenomeno camorristico vive oggi negli USA e si è chiamato fuori dalla lotta sul campo, quella che per intenderci continua a fare il giudice Gratteri, alla luce di quanto dichiarato da Saviano stesso che nell’ottobre del 2008 ha deciso di lasciare l’Italia per un periodo in seguito alle minacce e al progetto di ucciderlo da parte del clan dei Casalesi:

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Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido – oltre che indecente – rinunciare a sé stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. ‘Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri – oggi qui, domani lontano duecento chilometri – spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me.

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Intanto gli incassi per le serie cinematografiche e televisive di “Gomorra” crescono e le verità conclamate di cui si inorgoglisce non contribuiscono a cambiare il sistema. Il ricco plagiario continua a fruire di congrua scorta, ma stranamente i suoi familiari non sono mai state vittime di vendette trasversali come di solito accade a chi si oppone a mafia, camorra e ‘ndrangheta. È uno status quo che fa comodo a tutti?

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Rivista Il Destrutturalismo

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