L’assassinio di Miss Cavell

L’assassinio di Miss Cavell

L’assassinio di Miss Cavell

L’assassinio di Miss Cavell

Rygier, L’assassinio di Miss Cavell, 1917, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

L’assassinio di Miss Cavell

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Maria Rygier, L’assassinio di Miss Cavell, vittima della barbarie tedesca, Napoli, Società Editrice partenopea, 1917, serie L’Attualità, opuscolo n° 7, prezzo di copertina 30 centesimi di lire. Si tratta di un libretto propagandistico in cui si vuole ricordare la figura dell’infermiera di guerra Edith Louise Cavell (Swardeston 4 dicembre 1865 – Schaerbeek 12 ottobre 1915), fucilata dai tedeschi durante la prima guerra mondiale con l’accusa di aver favorito la fuga di molti soldati belgi ed inglesi catturati dai tedeschi.
La morte della Cavell ebbe all’epoca vasta eco internazionale, quindi fiorirono i libretti su di lei. Al di là del fatto in sé e della vicenda personale di questa donna sicuramente coraggiosa, l’aspetto che colpisce di più del libretto della Rygier, è la misoginia inconsapevole. Infatti l’autrice, nel tentativo di fare l’apologia della Cavell, si abbandona a considerazioni che la dicono lunga sulla mentalità dell’epoca rispetto alle donne. La donna è stigmatizzata come madre, il suo valore risiede nella sola maternità. Il libretto si lancia in una vera e propria predica sul valore indiscusso e supremo della maternità, con quella retorichetta da 4 soli dal sapore catto-ottocentesco:

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Troppo terribile è stata l’espiazione colla quale la Francia, ricca di oro, ma povera di uomini per una volontaria limitazione delle nascite, ha scontato e sconta ancora, coll’invasione del suo territorio e colle sue trincee piene di soldati anziani, l’errore funesto di aver disprezzato la maternità, e di averle preferito una falsa emancipazione della donna, che trascinava questa a rinnegare il più sacro ufficio del suo sesso, per poter meglio dedicarsi alle lotte e alle passioni della vita pubblica… Ora noi sappiamo, per una inconfutabile esperienza, che la forza delle nazioni riposa sulle ginocchia delle madri…

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Cosa succede quando, come nel caso della Cavell, le donne non pongono in primo piano la maternità?  Esse sono zitelle, dunque siccome non possono esser madri, cercano in una illuminata carità, una compensazione alle gioie familiari che non possono avere. Insomma se si diventava infermiere come la Cavell, lo si faceva, secondo la Rygier, per sfogare una sorta di maternità repressa. L’idea che la donna potesse avere un valore al di là della maternità, era completamente estranea all’autrice, convintissima nel suo delirio, che la donna nasca madre:

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Ma reso questo omaggio doveroso alla Maternità, dinanzi alla cui aureola divina impallidisce lo splendore di tutti i serti… poiché la maternità dà la vita, mentre il genio, l’eroismo, la scienza non fanno che migliorarla e disciplinarla, noi dobbiamo pur riconoscere, che non a tutte le donne è concessa la suprema felicità di essere madri. Ed allora, o signori, per quelle che non hanno disertato, ma che sono state escluse dalla famiglia; per quelle che non hanno potuto soddisfare gli istinti incoercibili della maternità; per quelle che non possono spendere attorno ad una culla adorata i tesori di affetto, pazienza, di sacrificio di cui è pieno il cuore della donna, la quale nasce madre, prima ancora di diventarlo effettivamente, non è ingiusto, non è inumano, pronunciare la barbara condanna all’isolamento ed all’inazione, che la società ha fatto pesare sul capo della zitella?
E non è meglio, non è più utile, anche per la società stessa che la zitella abbracci una carriera, una professione, e volga a profitto degli estranei quel bisogno esuberante di tenerezza che la natura le aveva dato perché ne fosse protetta ed allietata la fragile infanzia della sua prole?
Miss Cavell ben fece adunque, cercando nell’esercizio di una illuminata carità la compensazione di tutte le gioie familiari, che la sorte le aveva rifiutate. E forse, quando ella si chinava dolcemente sul capezzale dell’infermo, del ferito, dell’uomo forte, che il male aveva prostrato e reso simile al fanciullo nella sua commovente impotenza, ella ubbidiva ad uno slancio di maternità repressa, inappagata; e questa maternità morale dell’infermiera le faceva forse dimenticare la nostalgia di un’altra maternità, più reale, più concreta.

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Siamo alla misoginia più pura, la negazione in pieno Novecento del valore intrinseco della donna.

Di solito questi opuscoli novecenteschi contenevano anche nelle ultime pagine la pubblicità di altri libri. Tra i tanti pubblicizzati ce n’è uno in particolare che fa sorridere. È un libro di N. Oliva e E. Morelli, intitolato I poteri occulti, una sorta di corso ciarlatanesco di psichismo. Ad un certo punto nella sinossi, è scritto in maiuscoletto: La volontà della donna essendo più debole e più facilmente suggestionabile, voi potrete specialmente in amore ottenere i maggiori successi… se seguirete il nostro corso…

Questa idea della donna, ereditata dai secoli precedenti, è dura a morire.

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Comment (1)

  1. Giancarlo

    molto interessante buon pomeriggio

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