Lessico-farmaceutico, cioccolata, intrugli

Lessico-farmaceutico, cioccolata, intrugli

Lessico-farmaceutico, cioccolata, intrugli

Lessico-farmaceutico, cioccolata, intrugli

Lessico-farmaceutico, di Gio. Battista Capello, 1770, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Lessico-farmaceutico, cioccolata, intrugli

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Nel Lessico Farmaceutico-Chimico di Gio. Battista Capello, ci sono varie ricette per preparare medicinali con una quantità impressionante di erbe e strani ingredienti che sembrano tirati fuori dal cappello a cilindro di un mago o di un praticante stregone: dal grasso di gatto alle corna di cervo, dall’acqua di ninfea alle ossa del cuore di cervo, dal nido di rondine alle rane vive, dalla limatura di ferro ai coralli, perle e pietre preziose, dal mercurio all’oppio usato perfino nei clisteri oltre che negli sciroppi, dallo sterco alla cicuta, dall’oro all’avorio e argento, dall’unghia di alce a ossa e grasso umani, etc. etc. Insomma un po’ di tutto, dalle erbe ai minerali, dagli organi interni animali agli scarti degli stessi, alle droghe e sostanze volatili. Il farmacista era uno sperimentatore e spesso non si rendeva conto, nel suo procedere empirico, della velenosità e pericolosità degli ingredienti, desumendo ricette e decozioni dalla scienza antica e dall’esperienza diretta e valutando caso per caso gli effetti di questi intrugli che spesso venivano preparati dentro recipienti di oggi provata tossicità. Tra le varie sostanze non si disdegnavano nemmeno i crani umani che probabilmente si ottenevano da cadaveri di condannati a morte dei quali c’era un vero e proprio traffico:

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Si faccia cuocere il corno di cervo raspato nella lessiva dolce copiosa, alla consummazione della mettà: filtrasi per carta e si precipita con tanto aceto stillato che basti. Quando più non si turba la lissiva, si aggiunga molt’acqua calda, lasciando il vaso in quiete per un giorno: si separi la polvere dall’acqua: si lavi e si secchi all’ombra. Dose da grani sei a venti.
Nella guisa medesima si preparano i magisteri dell’ugna d’alce, d’avorio, di cranio humano e d’altre simili cose e si adoprano nella medesima dose. Convengono, tutti i sopradetti magisteri nelle febbri maligne e credesi che possano muovere il sudore: ma assai di rado si conserva nella sperienza.

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In mezzo a tutte queste ricette curiose e raccapriccianti insieme, spunta quella della preparazione della cioccolata con vaniglia, a dimostrare che il confine tra alchimia della cucina e della medicina, spesso era labile. Si pestano insieme vaniglia e cannella e passate attraverso un finissimo setaccio, si deve “arrostire il cioccolato in bacino di rame non stagnato, di forma bislunga”, e lo si agita finché la buccia non si brucia, “allora si volta, e rivolta ben bene con la spatola di legno larga, perché si arrostisca tutto egualmente”. Quindi si rovescia il cacao sopra una tavola e lo si rompe con una mazza di legno in modo che ne esca ciò che Capello chiama “midollo”, che, una volta freddo, dovrà essere separato dalle “buccie” ed altre impurità che eventualmente possano esserci. Il “midollo” che poi sarebbe il seme del cacao, quindi si rimette ad arrostire finché non diventa del colore del “caffè carico”. Si macina poi, una volta torrefatto su una “pietra lunga due piedi, larga uno, di forma lunata”. Il cacao diventa così una massa untuosa e nerastra che va rimacinata più volte:

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… per quattro volte si deve rimacinare diligentemente, tanto che si dilegui sotto la lingua come butiro: vi si unisce allora il zuccaro poco a poco, la Vainiglia pesta, rimacinando con gran forza la massa, e replicando l’opera del macinare per sei volte: acciocché tutto bene si tramesti, e se ne faccia un corpo perfettamente unito. La massa ancora calda si spartisce in porzioncelle di tre, o quattro oncie da mettere nello stampo di latta quadro, o per darle altra forma più capricciosa…

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Poi aggiunge che lo zucchero e la vaniglia si possono mettere in minore o maggiore quantità a seconda dei gusti e che se non piace la vaniglia si deve aumentare la dose di cannella e scrive le dosi esatte per una ricettina di cioccolata senza vaniglia, specificando che la superficie su cui va macinato il cacao deve essere di granito o di altra pietra più dura, altrimenti, sostiene, “la cioccolata avrà sempre dell’arenoso, e bevendola disgusterà molto.
Sostiene che la dose di vaniglia non deve essere eccessiva perché “la cioccolata con troppa vainiglia offende il cervello, e lo perturba invece di confortarlo”, mentre se la vaniglia si usa in dose discreta:

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giova mirabilmente a moltissimi mali, massime a difetti di stomaco, e di testa, e convulsioni nervose: nutrisce abbondevolmente, e perciò giova a consumarsi presa nel latte, ed a molte altre infermità croniche ben note a Medici, il consiglio dei quali è sempre necessario di prendere, prima di usarla per lungo tempo; incontrandosi spesse volte circostanze tali, che affatto la proibiscono.

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Da notare come ancora a fine Settecento si preoccupassero degli effetti della vaniglia e del cacao, guardati in parte con sospetto, ma non avevano il minimo sentore della tossicità delle pentole di rame non stagnato.

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