Lettera: Caro Congiuntivo Italiano

Lettera: Caro Congiuntivo Italiano

Lettera: Caro Congiuntivo Italiano

Lettera: Caro Congiuntivo Italiano

Evergreen, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Mariano Grossi©

Lettera aperta al modo congiuntivo italiano

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Caro Congiuntivo,

 

ti scriviamo con il cuore in mano, consci del fatto che oggigiorno vieni trascurato, maltrattato, insultato da gente di ogni risma e condizione: dall’accademico nelle sue sublimi castronerie, all’uomo della strada, dal laureando al qualunquista. Secondo alcuni non suoneresti bene, saresti difficile da capire, inopportuno, fastidioso perfino…
Ecco che sui social riportano frasi che fanno “eco” per la loro sgrammaticatura: “credo che ciò che diventiamo dipende da ciò che i genitori ci insegnano…”. Il corretto “dipenda”, secondo i postanti, sarebbe cacofonico e l’espressione (presa chissà dove e chissà se riportata fedelmente), sarebbe correttissima e perfetta così com’è.
Ebbene, caro Congiuntivo Italiano, noi ti chiediamo umilmente perdono per come ti stiamo trattando, perché veramente non meriti di essere strapazzato in questo modo. Arriveremo al punto che chi ti userà in modo corretto verrà biasimato come cattivo soggetto, come persona sospetta di gravi reati?
Ci riempiamo di vergogna per averti escluso dalle temporali proiettate nell’avvenire, dove non avvertiamo e non abbiamo mai avvertito, che ciò che accadrà sia pertinenza dell’eventuale e, come tale, giurisdizione tua, e ci ostiniamo a dire “Quando verrai” anziché “Cuando vengas”. Non sappiamo se tra breve tu ti accinga (pardon, ti accingi!!!) a sparire anche dalle dipendenti ottative e prescrittive, laddove perfino gli anglofoni, che non ti conoscono, rispettano quello che loro chiamano subjunctive, togliendo la s alla terza persona del presente, per far capire che si parla di possibilità (“I hope he come” = “Spero che egli venga”), visto che ti notiamo già defunto perfino nelle interrogative indirette, in cui la rigidità e la categoricità dei padri latini pare urticare i neo-laureati ( i “non so chi tu sei” sono pane comune negli ambulacri accademici e vengono ratificati dalle Accademie delle Crusche).
Rabbrividiamo quando ascoltiamo nei talk-show illustri esperti romaneggiare cancellandoti al presente e sostituendoti con l’imperfetto come dovrebbe essere pertinenza dei mercatanti. E stiamo parlando di un’esortazione in chiarissima forma di frase principale per la quale non potrebbe essere ammesso il passaggio all’indicativo finora esaminato solo nelle proposizioni dipendenti “Venisse qui a dirmelo in faccia!” “I sindacalisti non si mettono d’accordo con noi? Bene! Facessero lo sciopero!

Ebbene, noi tuoi utenti superstiti, ti chiediamo umilmente perdono se la pletora dei giovani battezzati nelle Facoltà umanistiche della Repubblica ti relegano al rango di un’affezione del bulbo oculare (“Mi fanno male i congiuntivi, mi lacrimano!”) e continueremo a difenderti strenuamente, convinti come siamo che la certezza, l’indicatività di un assunto debba essere circoscritta solo ai verba declarandi, gli unici che ci autorizzano ad assumere la responsabilità individuale di ciò che asseriamo come frutto del nostro pensiero: tutto ciò che ci pone in alternanza dialettica con l’interlocutore (speranze, divieti, auguri, domande, dubbi) va ratificato dal crisma dell’incertezza, che è figlia di un serio spirito democratico e compartecipativo, canoni che, ahinoi, in questa società autoreferenziale risultano via via più indigesti!
E il nostro intento non è mero attaccamento concettuale al purismo della lingua, all’immobilismo del parlato, alla prescrittività di ciò che va detto e che non. Sappiamo benissimo che una lingua evolve ed è proprio questo che ci turba, perché se di evoluzione si trattasse non si dovrebbe assolutamente dimenticare la eventualità di un pensiero per scevrarlo dalla sua effettività. Per noi una lingua che accomuna ciò che si dichiara con ciò che si opina o si augura è una lingua puramente in fase involutiva!
Faremo del nostro meglio, ma se non ci riuscissimo, lasciaci la speranza del perdono da parte tua: speriamo ardentemente che tu ci riesca!!! (o ci riesci? Stanno ubriacando pure noi!!!)
Intanto per non saper leggere né scrivere come le nuove leve rampanti dell’alta borghesia già imparata e destinata ad un avvenire di sicuro folgorante splendore nei corsi di scrittura creativa a pagamento dove va chi, pur avendo fatto la scuola dell’obbligo, finge di non sapere o non sa veramente i modi dei verbi, ma conosce solamente l’infinito presente di ungere e pagare, noi ti invitiamo umilmente a colazione, pranzo e cena.
Sei sempre il benvenuto a casa nostra dove non regna l’asserzione dell’indicativo, ma permane sempre uno sguardo sulla possibilità. Qua, te lo garantiamo, non verrai mai preso a pesci in faccia e potrai godere di un momento di relax anche da quel tanto decantato Pavese che non ti ha mai amato e rispettato troppo o da quel tal Rossi cantante che grida “Voglio che sei tranquilla”, assieme ad altri che di te hanno fatto e continuano a fare scempio, politici compresi, e altri ancora che non sapendo come impiegare il loro prezioso tempo privo di creatività vera, scrivono interi libri piuttosto commerciali sugli errori più comuni a te legati, sull’uso che di te si fa nei social, etc.

Riposati dunque, guarda e vivi ancora. Non vogliamo che tu muoia perché con te morirebbe l’incertezza, il dubbio, la tensione verso mondi possibili e in via di realizzazione, con te trionferebbe la noia totale del qui ed ora, la supponenza e l’arroganza che esclude il dubbio.
Noi ti amiamo.

Lunga vita a te, caro, amato, congiuntivo!

Vale

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Comment (1)

  1. giancarlo rosati

    Beh, io non mi esprimo, so sbagliare benissimo da solo. Buona serata.

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