Antidoti, scelte delle case editrici

o per un romanzo, se fatto nel modo giusto, dà anzitutto un’impressione positiva

Antidoti, scelte delle case editrici

 

Titolo, case editrici, scelte

Il cigno, credit Mary Blindflowers©

 

Anna Maria Dall’Olio©

Antidoti alle scelte delle case editrici

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Selezionare un titolo per un racconto o per un romanzo, se fatto nel modo giusto, dà anzitutto un’impressione positiva ai lettori, che decideranno di acquistare il libro che lo contiene. Avere controllo sul titolo è un antidoto alle eventuali scelte fuorvianti della casa editrice.
Non è facile trovare un titolo adatto a un’opera letteraria: è il genere letterario più sintetico, perché presenta un’autonomia propria. Si ricordi, per esempio, “Il senso di Smilla per la neve”, “Figli di un dio minore” e “La terza sponda del fiume”.
Anzitutto, un titolo deve essere memorabile (“Il giro del mondo in 80 giorni”, “Viaggio al centro della Terra”, “I Milanesi ammazzano il sabato”). Se possibile, deve essere una sintesi dell’opera (“David Copperfield”, “Gente di Dublino”, “L’amante di Lady Chatterley”, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”), eventualmente giocandoci sopra. Inoltre, deve essere evocativo (“Musica per organi caldi”). Infine, deve essere sonoro, possibilmente rispettando le regole metriche (“La coscienza di Zeno”, “Il partigiano Johnny”, “I sette messaggeri”).
Una soluzione è attingere dal repertorio degli ossimori (“Medioevo prossimo venturo”, “La costruzione del nulla”, “Giuda baciava da Dio”, “Il mare verticale”) o di simboli estranianti (“Museo di tutto”, “Un silenzio troppo umano”, “Le anime morte”). Sono particolarmente efficaci anche le frasi interrotte (“Se questo è un uomo”) e canzoni (“Ciao amore ciao”) o citazioni di opere letterarie famose (“Tenera è la notte”, “L’urlo e il furore”). Possono essere utili anche immagini: “Una scrittura femminile azzurro pallido”, “Morte nel pomeriggio”, “L’arcobaleno”, “Ritratto di famiglia con catastrofe”, “Donne dai grandi occhi”).
Uno dei migliori titolisti è stato Gabriel García Márquez: “Amore nel tempo del colera”, “Dell’amore e di altri demoni”, “Cento anni di solitudine”, “Nessuno scrive al colonnello”.
Tra l’inizio del racconto / romanzo, tra il sommario e l’inizio del libro o la dedica, gli scrittori spesso inseriscono le epigrafi, brani di altre opere letterarie (o saggi). Ricercarne una è molto piacevole: basta ricreare lo spirito del testo, confrontarlo con opere conosciute e scegliere un brano che sia in piena sintonia col proprio testo. Infatti, ogni libro è una sorta di sinfonia e l’epigrafe è una delle parti costituenti.
In primis, l’epigrafe è un gesto di delicatezza nei confronti del lettore, perché introduce a un certo tipo di atmosfera. In secondo luogo, è un ossequio a un autore che si ammira e che ci precede (più o meno inconsciamente, è un’allusione alla tradizione letteraria a cui si aspira di appartenere): a tal riguardo, esemplare la breve epigrafe di Mike Gayle in “My legendary girlfriend” (1998):
“Please, sir, I want some more” (C. Dickens).
A volte, l’epigrafe è una citazione molto lunga come quella di “The inheritors” / “Uomini nudi” di W. Golding (1964):
“Noi sappiamo pochissimo dell’aspetto dell’uomo di Neanderthal, ma quel poco … sembra far supporre un’estrema pelosità, una bruttezza, una repulsiva anomalia dell’aspetto sulla e sopra la fronte bassissima, i sopraccigli sporgenti, il collo scimmiesco, la statura nettamente inferiore … Dice sir Harry Johnston, in un saggio sull’ascesa dell’uomo moderno nella sua opera Views and reviews: “Le vaghe reminiscenze razziali di siffatti mostri simili a gorilla, dalle menti scaltre, dall’andatura sgraziata, dai corpi pelosi, dai denti fortissimi e con ogni probabilità dalle tendenze cannibalesche, possono rappresentare il germe degli orchi di cui parlano miti e leggende popolari. …” H. G. Wells (“Breve storia del mondo”).

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