Iannone, premiato circuito autoreferenziale

Iannone, premiato circuito autoreferenziale

Iannone, premiato circuito autoreferenziale

Iannone, premiato circuito autoreferenziale

Occhio alla penna, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Iannone, premiato circuito autoreferenziale

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Dato che fa caldo, ogni tanto ci dilettiamo ad assistere ad alcune discussioni sui social e ci siamo imbattuti in tal Francesco Iannone che in tanti si affannano a definire “poeta” e che pare abbia vinto anche dei premi e delle coccardette nell’italietta dei geni.
Incuriositi lo abbiamo letto.
Ecco una sua poesia della raccolta Pietra Lavica:

Quello che mi manca
è una larga
comprensione
quello stare
facile
nella dedica del mondo.
Tienimi nel grano
che macina gli abbracci
tienimi nel telo
di placenta delle mani.
Perché siamo nel mistero
nella sua planimetria
perfetta
tu la conosci la grafia di Dio?
È così serio quel tramonto
quando scivola
veloce
dalle braccia del cielo.
È così serio quel pianto
quando l’uomo
spezza
il pane in solitudine.
Vorrei parole
di senso
di cotone
che unisce
con un bacio
lembo con lembo.
Vorrei parole
di girotondo
di tutti giù per terra
di ave Maria
quanto è bello il mondo.
Bisogna uscire
dall’acquario
ditelo ai poeti
(i bambini già lo sanno)
è inutile che batti
e ribatti le pinne
nell’acqua per niente.
Conosci la legge?
Se non canti
non avanzi non vai
da nessuna parte
se non stai
nel rigo accanto
al segno nel gesto
primario di un rapporto.

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Quella suindicata sarebbe una poesia con annesso e connesso interrogativo pseudo-esistenziale abusatissimo: “Tu la conosci la grafia di Dio?” Purtroppo dobbiamo rilevare, come in tanti altri casi, una prosa che va a capo, contenutisticamente innocua, ritmicamente atona, senza stile, con la ripresa di immagini note da cantilena: “Vorrei parole/ di girotondo/ di tutti giù per terra/ di ave Maria/ quanto è bello il mondo”, senza elaborazione creativa, così tanto per fare. Siamo in presenza di un elenco piuttosto vuoto con scivolate colloquiali piuttosto evidenti, segno di una profonda immaturità stilistica: “ Se non canti/ non avanzi non vai/ da nessuna parte”. Che concetti consequenzialmente logici sono quelli di un’intelligenza ampia e l’agevolezza ad esistere nella dedica del mondo? Quest’ultimo passaggio è un genitivo soggettivo oppure oggettivo? Non riusciamo ad afferrare il pensiero, forse troppo alato per noi vecchietti. Si dovrebbe capire il mondo in base a ciò che gli si dona o in base a ciò che esso dona a noi? Richiederemmo un’esegesi diretta a cura del poeta, novello Montale (brrr!) che sulle colonne del quotidiano decritta le oscurità della poesia degli sciacalli al guinzaglio e del servo gallonato in livrea. Non pensavamo che il frumento avesse funzione di mulino né tampoco che gli arti superiori fossero muniti di annesso fetale con fusione tra corion ed allantoide (misteri di un novello espertissimo ostetrico evidentemente). Stupiti apprendiamo che il mistero è misurabile bidimensionalmente, e che il Padreterno (tramandatoci come campione di cultura orale) scrive. Notiamo che l’autore è capace di metafore belle, struggenti e trite e ritrite come quella del calar del sole slittato dalle tenaglie celesti (egli ci perdonerà la parafrasi meno eterea rispetto all’originale poetico!), poi, a stretto giro, sconvolgentemente apprendiamo che quando si versano lacrime si potrebbe essere anche scherzosi, visto che il poeta pare quasi sorprendersi nel vedere qualcuno che spezza il pane in solitudine col volto atteggiato ad estrema serietà! E ci sorprendiamo noi poco dopo nello scoprire le doti tessili di un bacio nel rammendo di parole sensate e accotonate (sic!). Preferiamo fermarci qui suggerendo a Iannone di cimentarsi in una professione più adatta ai suoi mezzi: poetare non significa collezionare e collazionare metafore prive di senso e di comunicazione. Così si getta solo polvere negli occhi di chi legge e il testo rimane insipidamente oscuro. Specie se, come fa lui, lo si denuda totalmente di punteggiatura, che almeno aiuterebbe a decrittarne la nebulosità essenziale!

Ancora:

Fammi bere
dammi il sorso
che mi fa stare
sincero nel verso.
Non è originale
non è strepitoso
non sono Tommaso
ma solo ti dico
ho immerso il dito
ho spostato il verme
dalla sua fame
ho esposto il male
alla prima luce
ho estratto il ferro
dalla trave
un dolore cosciente
di stare davanti
al mistero
e non ero più
il bambino con il limone
in mano
sulla soglia di casa
non ero più
quel limone appeso
al suo desiderio
elementare.

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La scrittura che pensa di essere sfuggita al desiderio elementare attraverso un verso sincero? Cos’è? Un’auto-incensazione? Vuole forse comunicarci che non è più un bambino, ma ora è un poeta perché avrebbe spostato il verme della fame di San Tommaso? O perché avrebbe estratto il ferro dalla trave come una specie di novello Artù? Non ci ha convinti. Il verso è banale, la costruzione infantile, prosaica e in totale circuito autoreferente. L’approssimarsi a ciò che chiama mistero è dato da un insieme di parole che non creano fascinazione, ma ricreano atmosfere già viste che tradiscono oltretutto scarsa ricerca linguistica, e aspirano a qualcosa, la poesia, che non possono raggiungere e che dubitiamo questo autore possa raggiungere mai. Ma siamo proprio sicuri che tanti, giudicati oggi a gran voce “poeti” perché hanno qualche aggancio, non finiranno nel dimenticatoio di domani?

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

 

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