Paracelso e Fioravanti tra dio e alchemici intrugli

F.T. Paracelso, Scritti magici, alchemici ed ermetici, Brancato, 1991

Paracelso e Fioravanti tra dio e alchemici intrugli

Di Mary Blindflowers©

F.T. Paracelso, Scritti magici, alchemici ed ermetici, Brancato, 1991

F.T. Paracelso, Scritti magici, alchemici ed ermetici, Brancato, 1991, credit Antiche Curiosità©

 

Philip Theophrastus Bombast von Honenheim, meglio noto come Paracelso (1493-1541) era un famoso umanista noto per aver criticato la medicina accademica del suo tempo. In realtà per via di conoscenze, era riuscito a ottenere l’incarico di professore di medicina nell’Università di Basilea, quindi Paracelso era a tutti gli effetti un accademico. Riuscì tuttavia a scandalizzare i colleghi perché anziché rifarsi alle autorità consolidate, come Ippocrate, Avicenna e Galeno, che tutti citavano e a cui si riferivano, dichiarò nelle sue lezioni che la scienza medica doveva basarsi anche sull’esperienza acquisita sul campo.

Nei suoi scritti magici, alchemici ed ermetici, Paracelso, difende la scienza empirica contro gli accademismi:

Secondo la gente io dovrei valere di meno perché mi piace viaggiare, ma nessuno se l’abbia a male se io protesto contro questa accusa. I viaggi che ho compiuto finora mi hanno rivelato molte cose, e la causa di ciò è ben semplice: a nessuno cresce in casa il maestro e nessuno trova l’insegnante dietro la stufa della propria camera. Le arti non sono chiuse nella casa ove si è nati, ma rimangono distribuite in tutto il mondo, nè si ritrovano in un solo uomo o in un sol luogo. Bisogna raccogliere, prenderle e cercarle là dove si trovano. Tutto il firmamento mi conferma che le inclinazioni sono sparpagliate e non stanno solo in quel paese dove ciascuno dimora”.

In realtà questa concezione non era soltanto paracelsiana, perché pure Leonardo Fioravanti (1518-1588), bolognese, distillatore, alchimista, agronomo, medico e bonificatore di terre, spirito bizzarro tra il ciarlatanesco e il genio, considerava essenziale l’esperienza nell’arte medica, unita anche alla conoscenza teorica. Egli non disdegnava la medicina popolare. Durante il periodo milanese venne infatti accusato dal Collegio di Milano di praticare una medicina non conforme all’autorità della tradizione e perfino imprigionato per otto giorni.

Paracelso e Fioravanti non si incontrarono mai e neppure mai si scrissero.

Dalla lettura degli scritti di entrambi tuttavia si ricava che avevano una concezione della medicina svincolata dalla liticità statica della tradizione galenica. Paracelso era tuttavia più teorico nell’esposizione, più pesantemente vincolato alla religione, al senso di dio, e meno aneddotico. Fioravanti col suo stile arruffato, riusciva però a descrivere situazioni reali, episodi di vita come racconti, specialmente relativi al periodo siciliano. Perlustrando le campagne siciliane si imbatté in personaggi che considerava saggi nel vivere e nel curare i mali delle persone:

un vecchio mi disse di essere d’età di cento e quattro anni; e io, che andavo cercando la conversazione di tali homini vecchi, solo per sapere che vita era stata la loro e che regole aveano tenuto nel vivere per arrivare a quella età così decrepita, un giorno convitai il detto vecchio a desinare con meco, il quale venne volentieri per farmi piacere; e essendo a tavola assettati, il vecchio cominciò a mangiare e quella mattina mangiò molto sobriamente e non volse mangiare se non certe cose a modo suo; e io li dissi perché lui non aveva mangiato di quelle vivande che gli erano state poste davanti e il buon vecchio rispose e disse: “Sappiate che passano più de settanta anni che sempre ho vissuto con questa regola… la regola mia è sempre stata levarmi a buon’ora e mangiar la mattina per tempo e sempre il primo bicchier di vino che ho bevuto la mattina l’ho voluto del meglio che io abbi potuto avere e non ho mai mangiato più di due volte al dì… e sempre la sera sono andato presto in letto… io non ho mai tolto medicina in vita mia, ma è ben vero che sempre la primavera ho usato pigliare una volta sola la soldanella, che qua noi ne abbiamo assai, e ogni volta che io la piglio, sappiate che mi fa vomitare perfino alle budella e mi lascia lo stomaco tanto netto che per un anno non posso star male. E ancora ogni anno il mese di maggio ogni mattina piglio tre cime di ruta, tre di salvia e tre d’assenzio e tre di rosmarino e le metto in infusione in un bicchier di buon vino e lo lascio così fino all’altra mattina e poi lo bevo a digiuno e questo io lo faccio per quindici o venti mattine… con l’aiuto di dio penserò a star bene tutto l’anno”.

Dio è nominato verso la fine del discorso e come incidentalmente. Paracelso invece pone il divino al centro della sua riflessione:

La fede è capace di creare da sé ogni specie di erba medica, seppure lo faccia in modo invisibile e così la forza della fede è in grado di produrre tutto ciò che cresce nella natura terrestre, come viceversa è in grado di produrre tutte le malattie… Dio agisce in tutte le piante ed è un padrone che si ritrova in ogni cosa”.

La continua e assillante presenza di Dio e dello Spirito Santo negli scritti paracelsiani, li rende agli occhi di un lettore contemporaneo estremamente pesanti e ripetitivi, mentre Fioravanti offre buoni spunti episodici di medicina e intruglioneria popolare che possono essere gustati come racconti. Tra l’altro scrisse novelle molto divertenti che quasi nessuno conosce, anche perché tutti parlano di Paracelso e nessuno di Fioravanti. Peccato.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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