Umberto Eco, scrittura, massa, casta

Umberto Eco, scrittura, massa, casta

Umberto Eco, scrittura, massa, casta

 

L'Eco del genio di casta

Le decorazioni, credit Mary Blindflowers©

 

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

L’eco del genio di casta

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Umberto Eco, semiologo, secondo alcuni una delle figure più influenti del Novecento letterario italiano, scrittore, teorizzatore della superiorità antropologica della sinistra, di quella sinistra che lo aveva fatto diventare Eco e che ancora dopo la sua morte, con fare da negromante non rassegnata alla sua sconfitta, ne riesuma la decantata genialità con lacrime di malinconica esaltazione. Eco avrebbe avuto il merito di avvicinare la casta accademica alle masse, tramite libri di successo venduti e pubblicizzati in tutto il mondo. Questa è la verità propinata dalla stampa che rinforza i suoi eroi fittizi con le super-vitamine dell’adesione ad una precisa corrente politica. In realtà a Eco delle masse non importava un fico secco né gli importava delle “legioni di imbecilli” che secondo lui, popolavano il web, danneggiando la società e rimpiangendo i bei tempi andati in cui le élites parlavano come oracoli mentre gli imbecilli si sfogavano nel bar dopo due o tre bicchierini di rosso, e nessuno dava loro credito.

La scrittura geniale di Eco spesso si basa su documenti già esistenti. Per esempio qualche tempo fa leggemmo Il Cimitero di Praga. Sebbene siamo vecchi e rimbambiti, abbiamo avuto il forte sentore che l’episodio riportato a pagina 153 fosse praticamente identico a un episodio che si ritrova a tratti testuale nel diario di Giuseppe Cesare Abba Da Quarto al Volturno.

Del resto già su Il Nome della Rosa sembra che il professore avesse esercitato l’arte geniale del copia e incolla, tanto che lo scrittore Costas Socratous lo denunciò per plagio, accusa da cui l’influente accademico venne assolto, alla faccia di quelle che i giudici chiamano “somiglianze” tra il testo di Eco e il testo di Socratous, Lo scomunicato, e alla faccia anche di Siatopoulos, vincitore del premio dell’Accademia di Atene, avvocato in pensione e noto critico letterario, il quale dichiarò che, avendo letto il libro di Socratous nel 1965 e vent’anni dopo la traduzione greca de “Il nome della rosa”, la trama fosse identica: “Mi ha ricordato una storia precedente che avevo letto, un caso di déjà-vu. Credo che la storia di Eco sia una copia della trama del libro di Socratous. Credo che Eco abbia preso parti o l’intera trama dal romanzo di un povero scrittore cipriota e ne abbia fatto un best-seller”.

Invece per il giudice le somiglianze non indicherebbero “analogie di significati”.

La verità vera (lo sappiamo tutti che spesso non è quella processuale), qual è? Non la sapremo mai, anche perché, ma che combinazione casuale, il libro di Socratous, è introvabile e ricercatissimo dai collezionisti bibliofili che invano si sforzano da anni e anni di reperirne una copia. Cose che succedono… I giornalisti che strombazzano la genialità di Eco, che non dimentichiamolo è anche autore dell’illeggibile Pendolo di Foucault, non hanno alcun interesse politico a leggersi il libro di uno sconosciuto scrittore cipriota per vederci più chiaro, ma hanno molto interesse a riesumare la genialità di Eco, come rappresentante di quella fantomatica cultura schierata e sottomessa al potere che fa tanto comodo ai media.

Noi, per non saper né leggere né scrivere abbiamo a nostra volta riesumato una poesia di Eco dedicata alla mamma:

Casta, santa, brava, allatta, alata gatta, cavalla, capra (narra Saba).

Fa sana panna, sala la pappa al baccalà, la dà alla panza, alla garganta, all’amata ragazza nata. Canta la nanna.

S’alza all’alba, s’attarda, abbassa tarda la lampada, ramazza, s’arrabatta, paga la rata.

Salda, parca, accatta la patata, la castagna, l’ananas, la lasagna, l’anatra, la bacca, la lana, la matassa all’arca, alla cassapanca.

Mamma: apax.

Accastata, ama papà. Ma a gara l’Altra trama la cabala, Magdala da sassata, stramba, laccata, balzana prava da caldana, barbara atta al marasma.

Pazza papà assalta, matta n’allarga la patta, la gratta, n’azzanna la palla, la slappa, la palpa, la bagna, la sbrana… Avvampa affannata, s’aggrappa alla barba, attratta accavalla l’anca anarca, alza la gamba… Ah la gazza fa gazzarra!

La casa? Spaccata, affamata. La mamma s’adatta. Ammalata d’asma, avanza stanca, la scarpa da panda, slabbrata, scalcagnata, la larga casacca strappata, la spalla abbassata.

Annaspa affranta, casca dalla scala, almanacca, s’allarma ch’accada la frana, la valanga, la cataratta all’altana, alla capanna.

Alza lagna alla navata. anta: aspra ed astra. L’Altra, prava, scaltra, ladra, mala razza da satana (salamandra da sabba), ama la cassata, la canasta, la salangana, l’allappa l’Albana d’annata (marsala, malaga, grappa), l’Alfa, fa la vasca smaccata, balla la czarda, la pavana, la lambada, la sarabanda al Gala, pazza scarta la carta a baccarà, fa l’alalà all’Atalanta, anagramma.

L’Aga Khan l’arrazza, l’appaga anal. Ama la palanca, s’abbassa a tanta manna: va a Panama, ammarra la barca, svaccata, vaga s’aggrada, vaga raccatta tanta caparra dannata, l’accapparra, l’accatasra e Calatrava, alla banca ammassa dracma, sfarfalla.

Assatanata dalla gangia, fa da ganza al gagà barabba, ah la bazza! Farà la grana, avrà la lacca, l’agata, la granata, la malacca. Ammazzala! Sbanda la madama, Lallarallà!

Ma paga la magagna! Batta la nasata! Dramma: la vacca da bassa tacca attracca alla mammana!

Passata la farsa (la scampagnata, la bravata, la cagnara, la stravaganza, la cavalcata), manca lassa la tasca. Magna cacca. Arsa dalla vana mattana, datata, sdata, baldracca scassata, frasca, cagna, fantasma, cala gabbata a Malta, a Zara.

Accaldata d’afa vasta alla savana, passa all’ambra araba, all’armata afra – aspra masnada, amalgama d’abracadabra, casamatta, santabarbara d’Ambaradam.

Basta. Amara, s’ammazza all’Asmara. Cala la bara.

Il primo, chiamiamolo così verso, è un elenco del telefono. La poesia, per chi avesse il coraggio di definirla tale, ha lo scopo della monovocalità, che poi non è uno scopo, ma un vezzo che fa perdere completamente di significato il testo, oltretutto privo di quel ritmo che una poesia richiederebbe. La lettura diventa perfino ardua, la lingua inciampa cercando di leggere dei neologismi senza senso alcuno.

Contenutisticamente questo aborto creativo si veste di un anelito beceramente consolatorio della figura della madre, antinomicamente opposta a quella dell’amante; ma la sostanza stessa, dovendo passare sotto le forche caudine di un esercizio linguistico manieristico peggiore di quello che tentano alcuni tautogrammando o acrosticando, si svilisce drammaticamente, in quanto l’autore sgrammatica reiteratamente, inventando vocaboli mai attestati nella lingua italiana e ricorrendo per asfissia creativa alle lingue straniere che rendono ancora meno fruibile alla platea il prodotto; il grande semiologo avrebbe dovuto avere la bontà di spiegare a noi imbecilli (perché poi imbecilli, cioè sine baculo,? Che nozione ha lui della virilità altrui?):

  1. che significa in italiano garganta, che è parola della lingua castigliana (la gola).

  2. a che tipo di condizione economica si può ragguagliare quella di una madre che è costretta per i figli e il marito evidentemente ad accattare ( letteralmente “cercare a qualunque costo ottenere, cioè elemosinare, mendicare patate, castagne, ananas, lasagne, anatre, bacche, lana, matassa all’arca, alla cassapanca”) generi commestibili di destinazione molteplice, da sottoproletariato a ceti abbienti e benestanti, nonché materiale tessile da Penelopi ante litteram ovvero d’antan. Appare chiaro che l’esercizio scioglilinguistico condiziona l’esito del parto letterario.

  3. la valenza semantica di quel “Mamma: apax” , tradotto letteralmente dal greco antico accostato all’italiano moderno in una costura che ricorda il quadro mistiforme aborrito nell’Ars Poetica oraziana (Humano capiti ceruicem pictor equinam iungere si uelit et uarias inducere plumas undique collatis membris, ut turpiter atrum desinat in piscem mulier formosa superne, spectatum admissi, risum teneatis, amici?): “Mamma: una sola volta”. Senso oscurissimo! Che vuol dire? Madre di figlio unico? Madre irripetibile? Boh? Scioglilingua ermeticissimo!!!

  4. che significa il verbo “accastare”? Che la mamma è innamorata se pur in maniera casta di papà? Così parrebbe di comprendere, visto che immediatamente dopo si apre la litania demoniaca che si riversa sull’amante di papà in una contrapposizione stereotipata e sdrucita (Ma a gara l’Altra trama la cabala, Magdala da sassata, stramba, laccata, balzana prava da caldana, barbara atta al marasma)

Ma non è soltanto l’uso di lemmi stranieri la spia del prodotto mal riuscito; la mistione degli stili e dei livelli linguistici traspare chiaramente in quel regionalissimo “slappa”, che nell’uso settentrionale si usa parlando di animale, significando “raccogliere rumorosamente acqua o cibo con la lingua”. Passando poi ad “anarca” diremmo che ci sembra eccessivo attribuire ad una ordinaria amante i cromosomi dell’essere dotato di sovranità assoluta dell’individuo, rifiuto del potere, mancanza di sottomissione alle leggi della società, ricerca di una legge naturale o cosmica, volontà di una forma di padronanza eroica di se stessi, ricerca della libertà come fine ultimo di ogni azione, assenza di spirito di appartenenza a una bandiera o ideologia. Anche qui siamo al contenuto soggiogato dal gioco linguistico. Meglio stendere veli pietosi poi sul livello del passaggio erotico nella descrizione della passione insana di papà per l’etera (“Pazza papà assalta, matta n’allarga la patta, la gratta, n’azzanna la palla, la slappa, la palpa, la bagna, la sbrana… Avvampa affannata, s’aggrappa alla barba, attratta accavalla l’anca anarca, alza la gamba… Ah la gazza fa gazzarra!”). Così come restiamo interdetti davanti a quell’ aspra ed astra! Che cos’è? Un maccheronismo per l’aforisma latino per aspera ad astra? Non riusciamo a capirlo! Toppo imbecilli noi per la pollutività lessicale e semantica di Eco!! Fare poi l’ “alalà all’Atalanta” che significa? Dedicare il saluto romano alla dea che fugge? Che semantica sarebbe in riferimento all’amante? Elegantissima non pare nemmeno e concettualmente e formalmente quell’apocope della e nell’aggettivo anale riferito all’appagamento carnale che la ladra di mariti riceve dall’Aga Khan, sbucato fuori da chissà dove in un contesto che l’aveva fino a quel momento ignorato! Più va avanti il professore più si perde in un giochino linguistico da quarta categoria. Conoscevamo il verbo “accaparrare”: quello con la geminazione della labiale tenue centrale (“accapparrare”) deve essere un’altra finezza del semiologo per riumiliare la nostra imbecillità ed ignoranza! Così come ci arrendiamo sulle origini di quell’ “accatasra”!

Iam satis! Abbiamo dedicato fin troppo del nostro tempo di vecchietti stanchi ed imbecilli alle genialate del semiologo! Si è perso in un esercizio verbale assolutamente deprimente, confermando che gli stupidi e i servi sciocchi ed i tesserati di partito gli avrebbero consentito di declamare anche l’elenco degli abbonati delle Pagine Gialle per definirne la declamazione una ingegnosità inimitabile! Noi ce ne andiamo a dormire dentro una lampada, allucinati da tanta insipienza creativa ed emotiva spacciata per genialità.

Che la letteratura perdoni i giornalai dell’oro colato e dell’Eco del genio di casta.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

Comments (4)

  1. Claudio

    La cosa più allucinante della questione Socratous contro Eco è che il libro Lo scomunicato di Socratous non si trova più da nessuna parte. Più persone hanno tentato negli anni di reperirne una copia, anche in un’altra lingua, per tradurlo in italiano e ripubblicarlo, ma non c’è stato verso. Questo pare il destino comune di tutti i libri che hanno visto nascere una propria copia letteraria scritta da un potente. Anche Sanora Babb, che scrisse Ignoto è il loro nome, ottenne un contratto dalla Penguin Random House ma un anno dopo, giusto un mese prima dell’uscita del suo libro, vide la pubblicazione di Furore di John Steinbeck, un romanzo con una trama quasi identica al suo. Pare che l’editor che aveva il libro di Sanora diede a Steinbeck il manoscritto di lei perché lo consultasse (perché Steinbeck voleva scrivere un libro sui contadini dell’Oklahoma e non aveva abbastanza nozioni sull’argomento). Fatto sta che il libro di Sanora non uscì mai per la Penguin e lei finì persino a fare la barbona per qualche tempo… Ignoto è il loro nome uscì solo sessant’anni più tardi grazie all’interessamento di alcuni studenti dell’Università dell’Oklahoma che avevano trovato una copia del manoscritto della Babb. Un altro caso eclatante è quello de La peste di Albert Camus e del libro di Raoul Maria de Angelis intitolato La peste a Urana. Il libro di de Angelis era uscito nel 43, ben prima di quello di Camus. Diversi passi e tutta la trama del libro di Camus sembrano ripresi dalle pagine di de Angelis. Persino il nome della città dove lo ambienta Camus è simile, Orano. Curioso come non si sforzino neppure di inventare un nome ben diverso per le ambientazioni… In ogni caso, di quest’ultimo libro oggi esiste anche un’edizione Illisso che si può ordinare da qualsiasi libreria o Store. Evidentemente, essendo morto da tempo Camus, non dava più fastidio a nessuno. Anche se, a dire il vero, non viene pubblicizzato un granché nei giornali. Meglio non disturbare mai i potenti, anche se morti. Quindi, se venite plagiati da qualcuno, non disperate, fate solo passare una sessantina d’anni e forse qualcuno, dopo, vi pubblicherà.

  2. Destrutturalismo

    Il libro di Socratous, Ο αφορισμένος (Lo scomunicato), è irreperibile, è chiaro che hanno fatto sparire le copie. In molti hanno provato a cercarlo ma senza risultati.

  3. gerardo lo russo

    grazie per vermi fatto scoprire ver poesia ermetica.

    1. Destrutturalismo

      Anche l’intervento è ermetico, si è perso qualcosa per strada…

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