Il disagio, la veste, il re, il pregiudizio stereotipato

Matilde contro Oscar Wilde

Il disagio, la veste, il re, il pregiudizio stereotipato

Di Mary Blindflowers©

Il perbenista, mixed media on canvas, by Mary Blindflowers©

 

Postata in un gruppo italiano la foto di un signore dall’abbigliamento piuttosto femminile, si accalcano i commenti dei visitatori. Tra tutti spicca quello di una presunta psicologa che, con saccenteria sostiene che la veste tradisce un disagio, e lo sostiene in modo furbo: “L’importante è che la persona comprenda il significato del suo voler farsi notare a tutti i costi. L’importante è che la persona non si metta in ridicolo e possa davvero “ non sentire” gli sguardi altrui. L’importante è che l’affermazione di sè passi in qualunque modo ma mai, alla fine, contro se stessi. Non è così semplice. Fermarsi all’approvazione o disapprovazione o indifferenza non ci permette, spesso, di comprendere il disagio che una persona vuol segnalare”.

In sintesi chi si veste in modo bizzarro e fuori norma (la norma poi stabilita per vie puramente convenzionali perbeniste) vuole farsi notare a tutti i costi ed esprimerebbe un disagio attraverso il suo abbigliamento.

Viene fatto presente alla signora che persone vestite in modo accademicissimo spesso cercano in tutti i modi di farsi notare e non è affatto detto che una persona che opti per un abbigliamento bizzarro sia disagiata, che questo modo di pensare è uno stereotipo abbastanza superficiale e generalizzante. La signora si è limitata a rispondere all’interlocutore che lei cura tutti i giorni il disagio e che perciò non si tratta di uno stereotipo, che lei lo sa. In sintesi chi si veste in modo curioso è un disagiato, dice questo e lo fa capire chiaramente. Immediatamente dopo averlo detto lo nega, rifiutando di argomentare ulteriormente, dato che si autoinveste di una autorità indiscutibile.

Lo stereotipo del disagiato che esprime attraverso l’abbigliamento la sua condizione umana di sofferenza psichica, l’incapacità di andare oltre lo sguardo; il famoso sguardo altrui giudicante di cui la signora-psicologa in oggetto parla; lo sguardo che si appunta sul soggetto diverso, mi ha fatto venire in mente un articolo che lessi decenni or sono in un libro di storia. Un aneddoto molto curioso. Una volta delle dame inglesi furono accolte alla corte di Francia, esse portavano parrucche altissime e inconsuete, tanto da suscitare il riso delle azzimate dame francesi che soffocavano le risa dietro i ventagli di taffettà, ma il re vedendo le dame inglesi lodò molto le loro parrucche, al che le dame francesi tacquero immediatamente, come impietrite, si guardarono e giudicarono troppo basse le loro parrucche. Il giorno dopo tutte le dame francesi infatti si presentarono a corte con le loro parrucche allungate, tanto da superare in altezza perfino quelle delle inglesi, per compiacere il re.

Chi è dunque questo re che decide quale sia il consono e l’adatto? Chi è l’autorità che fa ridere o scandalizzare le dame? L’occhio a quali dettami ubbidisce? Ai dettami della libertà o ai dettami dell’assuefazione ad un potere che ci vuole tutti uguali? Identici e stereotipati? Chi è il diverso, chi il mostro? Chi rappresenta lo scandalo? Chi osa vestirsi come si sente, o chi si veste come l’autorità dice che occorrerebbe andar in giro vestiti? Chi è il disagiato, quello vero? Il diverso o l’occhio vorace e conformista di chi guarda? E perché una psicologa non coglie questa differenza, sostenendo che invece sia il soggetto a doversi adeguare allo sguardo altrui? Sostenendo, in barba all’individualità di ogni specifico caso, che occorre evitare di rendersi ridicoli? Ma chi stabilisce veramente cosa sia ridicolo e cosa non lo sia? Qual è il mezzo? Il metro, la misura giusta? Qual è la misura del sé? Il conformismo o la capacità di essere veramente se stessi, sfidando le convenzioni? Far passare la libertà di vestirsi ciascuno come gli va, come un semplice atto esibizionistico, significa non riuscire a vedere oltre il senso della vista. Eppure già la filosofia greca aveva compreso quell’oltre metafisico dato dal sovrasensibile che supera il mondo dei fenomeni. Cos’è una veste se un un fenomeno oltre il quale si scopre un universo differente per ogni uomo? Cosa ci fa pensare che un individuo vestito secondo la “norma” del re, viva in perfetta omeostasi?

Parlare per stereotipi è semplice ma porta a conclusioni di volta in volta errate. E la norma prima di esser norma non era forse bizzarria? E cosa c’è di male nell’essere bizzarri e folli?

La perversione è solo nell’occhio di chi guarda.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Pasolini diceva che fino agli anni 50 affacciandosi sul balcone di una piazza si poteva distinguere dall’abbigliamento il ceto sociale d’appartenenza e nessuno delle persone deambulanti provava disagio nella diversità. Dopo è nata l’omologazione al pensiero sovrano per usare il lessico dell’autrice del pezzo.
    Gigi Meroni calciatore e disegnatore d’abiti per se stesso non mostrava alcun disagio, talché a disagio nel contrastarlo in campo e nell’emularlo in moda erano gli altri! Ne nascessero ancora di simili disagiati!

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