Fiorella Rossi Pasotti, Il male metafisico

Fiorella Rossi Pasotti, il male metafisico

Fiorella Rossi Pasotti, Il male metafisico

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

 

Fiorella Rossi Pasotti, il male metafisico

Il male metafisico, credit Lucio Pistis©

 

Fiorella Rossi Pasotti, moglie di un diplomatico, specializzata in musica Karnataka (musica classica dell’India del sud). Ha tenuto corsi di musica Karnataka all’Università di California e Berkeley e un bel giorno ha avuto la pessima idea di iniziare a scrivere poesie. La sua prima raccolta si intitola Il male metafisico, Edizioni del Leone, 1988. La prefazione, ma che combinazione, è stata scritta da Gian Paolo Biasin, collega della Pasotti all’Università di Berkeley, il quale scrive: “Il titolo sembra richiamare moduli poetici post-ermetici o addirittura montaliani, dichiara l’inquieta coesistenza di una sensibilità individuale occidentale con un universo trascendente orientale a indicazione e suggello di una spiritualità insieme contemplativa e vitale”.

Incuriositi, abbiamo letto le poesie:

Vorrei partire

Vorrei partire

prima di sera,

prima che il manto notturno t’avvolga

e perda

la sua fragranza il tuo carnato.

Vorrei partire.

Coi dolci, sconosciuti

ricordi mattutini,

oltrepassare le mitiche colonne…

Partirò presto,

prima che arrivi

da Oriente l’alba.

Ci viene il dubbio che il prefattore non sappia ciò che dica, dato che di Montale qui davvero non ci sembra che ci sia nulla e l’ermetismo o post-ermetismo è ben lontano da questo tipo di lirica pedissequa e banale, in cui praticamente si spaccia la prosa per poesia. Eccezionale l’anelito di dipartita crepuscolare; eccezionale soprattutto il target di questo desiderio irrefrenabile; difficile certo comprendere il perché l’arrivo della sera dissipi l’aroma della carnagione dell’amato; non ci risulta che le ore mattutine e la luce del giorno agevolino la conservazione dell’olfattività dell’epidermide allotria; ma, tant’è! La poetessa (sic ea profitetur…) deve essere un’esperta del metabolismo atmosferico per quanto ha tratto con la sudorazione di chi si ama. Oddio, ci sarebbe da chiedersi anche perché una sì piana dicitrice della lingua italiana ordinaria, ricorra ad un toscanismo antiquatissimo e non comune come “carnato”; ma non è bello ciò che è bello, quanto è bello ciò che piace. Il problema ulteriore è la consequenzalità logica del tentativo lirico: partire prima del tramonto sembra l’aspirazione dell’autrice; nella seconda strofa questo obiettivo pare accelerato alle prime ore del giorno per poi precipitarsi in un’anticipazione addirittura aurorale: evidentemente la persona a cui la poesia è dedicata, all’alba profuma meglio… ma non era la notte il pericolo per l’evaporare del suo glyký dérma? Attenderemo un’autoesegesi della compositrice, noi da soli non ci arriviamo!

A Fiammetta

Piccola goccia

parte

della mia stessa acqua

insieme andremo

dove il mare è infinito.

Questa seconda lirica, dedicata alla figlia Fiammetta, poche semplici parole in prosa senza genio e senza dire nulla più di ciò che si legge, raggiunge il top dell’abilità della poetessa che qui diventa addirittura geniale nella ricerca di un fantasmagorico ossimoro concettuale: Fiammetta, nome anti-idrico per eccellenza, si fisicizza in goccia in simbiosi con l’humus interiore della scrivente. Averne poetesse creatrici di sensazioni scavate nella liaison des opposée come la Pasotti! Chiederemmo solo di capire dove il mare diventa infinito. Credevamo lo fosse dappertutto, una volta lasciata la spiaggia sulla cui battigia si infrange… sbagliavamo!

Ma a parte le considerazioni più o meno giocose su questo testo, cosa comunica lo stile? Cosa comunica il contenuto? Sensazioni banali e banalizzate in un generico infinito dove le persone diventano gocce di un mare infinito? È antico il tentativo di antropomorfizzare la natura, ma la Pasotti non è Leopardi e nemmeno il D’Annunzio de La pioggia nel pineto, quindi i risultati appaioni piuttosto deludenti.

Attesa di dio

La gola arsa,

guardo in alto

e aspetto,

di minuto in minuto

-con trepidazione-

l’arrivo della pioggia;

ma un passante distratto m’informa

che sono già

tutta inzuppata.

Altra immagine metafisicamente sconvolgente: dio, scritto con l’iniziale minuscola, metaforizzato nella precipitazione atmosferica da ingurgitare a fauci spalancate per irrorare lo spirito arido; eppure, basta un viandante, per scuotere l’autrice dal suo rapimento estatico: “Bella, riparati! Prendi un malanno!” Peccato che l’arrivo del pedone dissolva l’immagine liricissima! La poetessa fa e disfa le atmosfere in maniera…esilarante! Meglio non andare avanti nella lettura! Anche qui da un italiano levigato ed ordinario precipitiamo in un colloquialissimo “inzupparsi” degno di miglior causa. Lingua omogenea…parce sepulta!

La Pasotti dovrebbe dedicarsi ad altro. Non basta essere mogli di qualcuno per saper scrivere poesia.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comment (1)

  1. Rita

    Alla terza … ehm … poesia non mi tenevo più. Ci vuole un passante per sapere che la pioggia ti ha bagnata. Conoscere per non acquistare, grazie

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