Catozzella, libro completamente inutile

L'alveare, la mafia e gli scrittori che non sanno scrivere

Catozzella, libro completamente inutile

 

Fai risuscitare i morti, credit Mary Blindflowers©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Catozzella, libro completamente inutile

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Alveare di Giuseppe Catozzella è un libro completamente inutile, dialoghi scontati, personaggi stereotipati, informazioni errate fin dalla prefazione in cui con grandiosa sicurezza, paragonando la mafia ad un alveare, si dice, testuale: “la ‘ndrangheta, la mafia più potente e ricca del mondo, assai diversa nel suo operare dal chiasso della camorra o dall’onore chiacchierato di Cosa Nostra, ha preso casa in Lombardia. La globalizzazione l’ha mossa lei, l’ha tessuta nel silenzio dell’operosità, prima ancora che si cominciassero anche solo a parlarne, che un economista le desse il nome, che un giornalista la battezzasse su un quotidiano. È lei che da quarant’anni decide oggi quello che tu farai domani”.

Forse l’autore che dovrebbe rivedere la sua prosa quando scrive “prima ancora che si cominciassero a parlarne” considerato che il si impersonale richiede la terza persona singolare del verbo cui si riferisce anziché la terza persona plurale, non sa che tutti i dati storici, dimostrano ampiamente che la globalizzazione non è affatto un fenomeno recente, sebbene il termine sia stato usato dagli economisti in tempi relativamente recenti. Si parla addirittura di “globalizzazione arcaica” in riferimento a civiltà antiche. La mafia non decide solo da 40 anni quello che “tu farai domani”, caro scrittore, ma da molto più tempo (ma evidentemente egli non sa di Petrosino e dei suoi tentativi di combatterla già agli inizi del secolo scorso quando da tempo si era, come dire? “globalizzata” negli States) e non è l’unica responsabile della globalizzazione. Questo ammettendo e non concedendo che il termine globalizzazione possa essere congruamente utilizzato parlando di mafia; globalizzazione indica in lessico economico il fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, agevolato dalle innovazioni tecnologiche, specie nel campo della telematica, che hanno determinato modelli di consumo e di produzione più uniformi e convergenti. L’autore sta parlando di un argomento che probabilmente non è riuscito ad approfondire a sufficienza. Non sa neppure che il suo romanzo, tanto osannato da scrittori perfettamente inseriti nello stesso sistema che lo vede trionfatore e scrittore a sua volta, è noioso, coi dialoghi a tratti ingenui e personaggi scontati, la sua scrittura non trascina, ha uno stile comune e trito, di una semplicità che sconfina a più riprese nell’ovvio, senza impennate di genio, evoluzioni della mente che rendono grande un testo letterario e soprattutto con evidenti strupri alla grammatica.

Del resto questo autore non fa letteratura ma pseudo-cronaca spiccia per un popolo di lettori della superficie. Non basta scrivere in italiano non sempre corretto per scrivere, occorre talento e le sue pagine trasudano conformismo, aderenza ai dettami comuni e alle informazioni che trova sui giornali e raccatta nei discorsi da bar. La prosa è a dir poco deprimente, priva di poesia, di una volgarità comune e non proprio corretta dal punto di vista sintattico: “In tutta la lucidità della mia insonnia capisco. Mi pare di percepire quella mattina per la prima volta da quando sono nato, come immerso nella grazia di un’illuminazione, la rete invisibile che ci cattura tutti, quella ragnatela che ci imprigiona come tante mosche pigre e gonfie, dopo essersi posati sulle merde di cane, dopo essercene cibati”. La vicenda di “Alveare”, non fa presa sul lettore, almeno su di noi non ha avuto un effetto positivo, è una storia come tante, condita da diverse imprecisioni storiche che denotano un’infarinatura di conoscenze appena appena utili per buttare giù poche righe che tanto l’autore sa già verranno pubblicate dal suo grosso editore di partito. Il malessere dei personaggi è tutto esteriore, l’autore non riesce a coinvolgere il lettore in questo stato d’animo, non riesce a toccare corde profonde che consentano un minimo di pathos, di identificazione. Una scrittura fredda, giornalistica. In poche parole è un libro che sembra scritto come una cronaca o un articolo di giornale. Lo sguardo della voce narrante è distaccato a tal punto che sa di sintetico. I dialoghi non hanno fondo filosofico, né stimolano la riflessione su un argomento così delicato come la mentalità mafiosa. Sono dialoghetti all’acqua di rose riprodotti fedelmente in nome di uno stile realista che ormai è ampiamente superato: “Dove sono finiti i bar di Milano? Ma non vedi che aprono continuamente posti nuovi, anche in questa zona, bar che fanno gli aperitivi ristoranti? Non vedi che ogni giorno un cinese tira su la serranda di un negozio nuovo? E chi glieli dà i soldi ai cinesi secondo te?” Capiamo il linguaggio colloquiale, ma la ridondanza di prolessi dei pronomi in una proposizione dove i nomi di riferimento sono presentissimi suona come un cazzotto nelle nostre orecchie! Siamo in un libro, non al mercato! “La mafia cinese? Seee… magari con i calabresi che restano a guardare. Sono loro che usano i cinesi per aprire i bar. Piano piano questa gente si prende tutto, sono arrivati con le toppe sul culo e adesso le toppe sul culo ce le cuciono a noi”. Vai con il tono mercatale!

Il personaggio principale è sbiadito. Volevamo abbandonare la lettura alla trentesima pagina, per tedio estremo, ma ci siamo sforzati di leggere fino in fondo. Ci siamo pentiti perché non siamo più giovani e queste operazioni masochistiche potevamo anche risparmiarcele.

Abbiamo letto dunque e capito che “Alveare” poteva anche non essere stato mai scritto. Non sarebbe cambiato nulla per la letteratura italiana, così ostinatamente corrotta dalla politica.

A noi infatti non importa che questo autore abbia preso la mitica fascetta del premio Strega per uno dei suoi romanzi, la faccenda non ci impressiona per niente, perché avendo lavorato a lungo nell’editoria, sappiamo bene come funzionano i premi letterari in Italia dove la scrittura è soprattutto politica e agganci.

Chiediamo dunque all’autore di “Alveare” che si improvvisa esperto di mafia, di guerra, di globalizzazione, tutti argomenti a lui, a quanto pare, molto cari, tanto da imbastirci fior di romanzi, è mafia solo la ‘ndrangheta o è mafia anche il salottino intellettuale degli scrittori bene che pubblicano libri inutili per lettori inutili grazie ai propri santi in Paradiso?

Una domanda destinata a rimanere senza risposta.

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Libri Mary Blindflowers

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