Eleonora Duse, Gabriele D’Annunzio

Eleonora Duse, Gabriele D'Annunzio

Eleonora Duse, Gabriele D’Annunzio

 

Remington, credit Antiche Curiosità©

 

Di Pierfranco Bruni©

Eleonora Duse, Gabriele D’Annunzio

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A 160 anni dalla nascita di Eleonora Duse.
In una delle ultime lettere, datata Marina di Pisa, 17 luglio 1904, Gabriele D’Annunzio, l’amore di una vita, rispondendo ad una missiva di Eleonora sottolinea:

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E veramente dunque, dopo tanta vita e sì diversa – tu giungi verso me a questa parola : orribile? E la tua bontà di un’ora di pace, non ti aiuta a vedere?
Il bisogno imperioso della vita violenta – della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza,- mi ha tratto lontano . E tu – che talvolta ti sei commossa fino alle lacrime, tu ora puoi farmi onta di questo bisogno?
Ma, dalla mattina in cui ebbi la gioia d’incontrarti, fino a quest’ora desolata, io non ho avuto in me un pensiero e un sentimento che non fossero e che non sieno di devozione, di ammirazione, di riconoscenza , d’infinita tenerezza verso l’anima tua.
Tu invece, mi hai sospettato di continuo, e mi hai abbassato e mi hai creduto (ah, orribile veramente!) un nemico scaltro!
Ti sei ingannata , e non dispero che tu riconosca l’inganno…
Ora mi sono rimesso al lavoro, con pena.
Poiché tu sei la sola rivelatrice degna di un grande poeta, e poiché io sono un grande poeta, è necessario- dinnanzi alle sacre forze dello Spirito- che tu dia la tua forza alla mia forza – tu Eleonora Duse a me Gabriele d’Annunzio.
perciò come io avrò compiuta la mia nova opera, te la manderò, te la offrirò.
Non posso non far questo.
Tu potrai rifiutarla,
ma non avrai se non una ragione per rifiutarla- che l’opera sia brutta.
Mi sforzerò di farla bellissima.

Gabri

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Eleonora, con la sua dolcezza e il suo cipiglio malinconico, scriverà:

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Ahimè- Non alterare la verità, difendo parlandoti la rovina completa e la verità assoluta, due cose che mi rimangono, le amo…
Ti rispondo ora , che la forza che tu dici oggi esistere in me , cioè , nel mio nome di Lavoro, essa non può più esistere che per riparare un disastro finanziario- che rigrava la catena di tante cose- ma la mia gioia – che era il lavorare per l’opera tua,- non esiste più.
Mi dichiaro non più necessaria all’opera tua, ora , che hai vinto-e vincerai-ho creduto che questa era la sola parola adatta per tutti-visto che sparire dalle tavole del palcoscenico non posso…
… tutto è detto-
Non ho altro di dicibile da dire-
Il resto muore e vive , vive e muore, ogni giorno , con me, come me.
Ti ripeto solo: Non alterare la Verità…
Vien da lontano l’oggi di oggi, ciò che avevo diedi-
Morire e tacere- o non arrivare al conoscimento troppo profondo -di ogni esistenza!-
Infine se io cerco di fissare la Verità, se mi sforzo di comprendere la tua legge – ti consiglio di non svisare la mia-
Te ne prego-… Lascia- Non parliamone più- Sono vane parole.
Lascia la spada e la penna, quando mi pensi…
Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso: Così è – così sia- Ci siamo uniti per essere divisi- Il mondo è pieno di tali miserie!”

Eleonora

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La Duse, (ovvero La Divina) de “Il fuoco” di Gabriele D’Annunzio (a 80 anni dalla morte, era nato a Pescara il 12 marzo del 1863 – e morto a Gardone di Riviera il 1 marzo 1938) domanda una parola di verità. Il romanzo – diario che vede la luce nel 1900.
Un romanzo che umilia Eleonora e nonostante lei ebbe a dire: “Un’opera d’arte vale più della sofferenza di una creatura umana”. Il primo incontro avviene a Roma nel 1894. Eleonora ha 36 anni. Gabriele 31. Si ritrovano due anni dopo a Venezia. Lei era affascinata dal romanzo “Il trionfo della morte” pubblicato proprio nel 1894.
Incisa è la frase di D’Annunzio:
C’è sulla Terra una sola ebrezza durevole: la sicurità nel possesso di un’altra creatura, la sicurezza assoluta, incrollabile” .

Gabriele ed Eleonora.

A farli incontrare è stata Matilde Serao. Ma Gabriele nel 1903 pubblica la poesia di “Alcyone”, dove verrà chiamata con il nome di Ermione nei versi de “La pioggia nel pineto”: “…e piove su le tue ciglia, Errmione. piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere”.

Alla notizia della morte di Eleonora, Gabriele dirà soltanto: È morta quella che non meritai”.

La donna “madre” di Gabriele. L’amante dolcezza e passione, nel segreto, di Arrigo Boito per circa quattro anni, si erano incontrati nel 1884.
Una attrice che ha rotto gli schemi di un teatro oltre il teatro. Una donna viaggiante. Una donna intellettuale che ha saputo leggere il tempo della recita nel sublime di un destino e di una vocazione.
Una donna tradita? Le famose parole dedicate al Vate:
Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”.

Nasce e muore in un albergo.

D’Annunzio, appunto, il grande amore della sua vita? Forse sì o forse no? Eleonora è l’interprete di un D’Annunzio magico e tragico. Le assenze da “La città morta” a “La figlia di Iorio” hanno forse contato più della sua presenza sulla scena. Una attrice che ha saputo dare scena, costume, volto e personaggio a un solo film.

Un film che, in molte occasioni, sembra rappresentarla. “Cenere” fu, infatti, l’unico film interpretato da Eleonora Duse. L’autrice del romanzo, Grazia Deledda, pare che abbia scavato nel legame di una storia vera, ovvero nell’amore tra Scarfoglio e la cantante Bessard. Il romanzo della Deledda rivela una sorprendente somiglianza. Rivelazione di grande suggestione letteraria e umana.

Nel 1916 Eleonora Duse (nasce a Vigevano, in un albergo, il 3 ottobre 1858 e muore in un albergo a Pittsburg, 21 aprile 1924) partecipava così al suo unico film. Tratto dal romanzo di Grazia Deledda (nasce a Nuoro il 27 settembre 1871 e muore a Roma il 15 agosto 1936) dal titolo “Cenere”, pubblicato a puntate nel 1903 sulla rivista “Nuova Antologia” e l’anno successivo in volume. Il film ha come contestualizzazione ambientale la Sardegna, ma gli esterni vengono girati, siamo in pieno conflitto mondiale, nelle Valli di Lanzo, ovvero nel Piemonte provenzale.

Eleonora con Arrigo Boito

È l’unico film, dopo una vita da attrice di teatro, di girovaga per destini culturali e di capo comica, di Eleonora Duse, ed è il primo film tratto da un romanzo di Grazia Deledda. È la storia di un amore, ma anche di un abbandono e di un suicidio.

Olì si innamora perdutamente di un uomo già sposato. Da questa relazione nascerà un figlio, Anania. Ma l’uomo abbandona Olì e resta con la propria famiglia. La donna è disperata, viene scacciata dalla propria famiglia e trascorrerà alcuni anni a casa di una parente del suo amante. Crescerà il ragazzo sino all’età di sette anni, ma un bel giorno decide di abbandonare Anania, (il figlio), davanti alla casa del padre, facendogli indossare, al collo, un amuleto.

Il ragazzo, che viene accudito dalla moglie dell’amante della madre, crescendo non riesce a darsi una consolazione per questo abbandono.

Cerca la madre tanto che riesce a trovarla. Prende atto dello stato di dissipazione in cui è finita Olì, la madre. La quale per non dare ulteriori dispiaceri al figlio, e per liberarlo di una “condanna” di una madre “sciagurata, si uccide.

Il film, tratto, appunto, dal romanzo, viene reso grande dalla figura di Eleonora Duse, che incarna magistralmente il personaggio drammatico di Olì, mentre Anania è interpretato da Febo Mari, che dirigerà la scenografia.

Viene prodotto da Arturo Ambrosio per la Casa Ambrosio Film, con le musiche di Philip Glass e la fotografia di Eugenio Bava, Giuseppe Gaietto e Pietro Marelli.

Dura trenta minuti in bianco e nero con l’audio muto. È stato restaurato nel 2015, e sono stati recuperati 8 minuti di pellicola per la durata complessiva di 38 minuti.

È una storia drammatica, alla quale la Duse partecipa, inizialmente con poca convinzione, ma è il dramma di un vissuto dentro il quale emozioni, vita e letteratura si intrecciano. È nel suo vissuto tragico che Eleonora recupera la “cenere”.

A consigliare di leggere, comunque, il romanzo della Deledda, ad Eleonora Duse fu Matilde Serao(nata a Patrasso il 7 marzo 1856 e morta a Napoli il 25 luglio del 1927). La Serao e la Duse erano molto amiche, sin dal legame amoroso di Eleonora stessa con il direttore del “Corriere del Mattino”, Martino Cafiero (nato a Meta di Sorrento nel 1848 e morto 1884 a Pugliano), resterà amica sino alla fine.

La Duse confiderà alla Serao, in riferimento alla sua esclusione da “La città morta”,

Un bel giorno mi sono sentita stroncare in due”.

I carteggi tra la Duse e la Serao dimostrano proprio questa forte vicinanza. Erano anche, quasi coetanee, due anni di differenza.

Perché la Serao consiglia con forza la lettura di “Cenere” ad Eleonora Duse?

Un interrogativo che apre diverse chiavi di lettura. Per la drammaticità della storia, per il senso tragico che, in quegli anni, particolarmente lacerava la Duse, per la reale importanza del romanzo della Deledda, oppure per altri motivi?

C’è un fatto che va menzionato, un storia importante e non un semplice dettaglio che riguarda proprio la Serao.

Eduardo Scarfoglio, ( nasce a Paganica il 26 settembre 1860 e muore a Napoli il 6 ottobre 1917), il marito di Matilde Serao, tra le sue tante avventure amorose, che erano sempre a conoscenza della scrittrice napoletana, ebbe una relazione, cominciata nel 1892, con la cantante e ballerina di teatro Gabrielle Bessard.

Dopo due anni di incontri, frequentazioni di amanti, e di passioni Gabrielle ebbe una figlia da Scarfoglio, ma il giornalista e scrittore non volle mai lasciare la Serao (sarà poi la Serao e lasciare Scarfoglio) per andare a vivere con Gabrielle.

Gabrielle era innamoratissima di Eduardo. La mattina del 29 agosto del 1894 si presenta davanti alla porta di casa di Scarfoglio – Serao, bussa, lascia la bambina e un biglietto dedicato ad Eduardo con su scritto: “Perdonami se vengo ad uccidermi sulla tua porta come un cane fedele. Ti amo sempre”, e si spara.

La bambina di nome Paolina verrà affidata alla Serao.

Qual è il senso delle due storie?

Un fatto reale, di cronaca, e un romanzo di Grazia Deledda, Nobel 1926.

Il fatto reale accade nel 1894. Il romanzo di Deledda viene pubblicato a puntate nel 1903.

L’interrogativo resta? Perché la Serao consiglia alla Duse di leggere il romanzo di Grazia Deledda? Perché Grazia Deledda scrive “Cenere”? Perché è proprio la Duse a interpretare il film, la quale aveva avuto una storia quasi simile con Martino Cafiero dal quale ebbe un figlio che però morì subito dopo il parto. Ma per Eleonora l’enigma onirico resterà sempre il Vate fino al punto di dire: “D’annunzio lo detesto, ma lo adoro”.

Eleonora si ritira dalle scene a 51 anni. Era il 1909.

Nel 1922 D’Annunzio le scriverà in una improvvisata missiva:

Ti bacio le mani. Nel mio occhio destro è la tua immagine, e nessun’altra. Lodo quella tua semplicità divina per cui sembra che ogni tuo atto incominci dall’infinito e si compia nell’infinito. Ti amo meglio di prima… Ti bacio le mani tanto che te le consumo”.

Gabriele aveva già perso un occhio. Eleonora non risponderà. Un amore vissuto un decennio. Lei scriverà sempre a Matilde Serao, riferendosi a D’Annunzio, queste parole:

Se lo avessi amato come crede, avrei dovuto morire quando ci siamo lasciati, e invece sono sopravvissuta”.

Gabriele forse resterà ancorato alle sue parole de “Il fuoco” che riportano ad una potente sensualità:

Tu esalti la mia forza e la mia speranza, ogni giorno. Il mio sangue aumenta, quando ti sono vicino, e tu taci. Allora nascono in me le cose che col tempo ti meraviglieranno. Tu mi sei necessaria”.

Così non sarà. Così non è stato.

Nonostante il fuoco sia la tragedia recitata di un amore stregato e intenso:

Stringiti a me, abbandonati a me, sicura. Io non ti mancherò e tu non mi mancherai. Troveremo, troveremo la verità segreta su cui il nostro amore potrà riposare per sempre, immutabile. Non ti chiudere a me, non soffrire sola, non nascondermi il tuo tormento! Parlami, quando il cuore ti si gonfia di pena. Lasciami sperare che io potrei consolarti. Nulla sia taciuto fra noi e nulla sia celato. Oso ricordarti un patto che tu medesima hai posto. Parlami e ti risponderò sempre senza mentire. Lascia che io ti aiuti, poiché da te mi viene tanto bene!”.

Eleonora Duse muore con l’anima sola, con accanto alcune amiche e attrici. Come, in fondo era vissuta in una solitudine spirituale.

Sola, distaccata da tutto. Il disamore dopo l’amore per tutto. Muore in una stanza di albergo di polmonite, dopo essersi bagnata per un forte acquazzone.

Muore in una stanza dello Shenley Hotel di Pittsburgh.

La salma ritornerà in Italia a maggio del 1924.

Il Mattino di Padova” scriverà:

Maggio 1924. Si celebra il funerale di Eleonora Duse. La grande attrice teatrale era morta a Pittsburgh, negli Stati Uniti, e la sua salma era arrivata per mare in Italia. Ad Asolo, dove Eleonora aveva deciso di essere sepolta poiché amava molto quelle colline, si celebra l’estremo saluto nel corso di un rito caratterizzato da grande partecipazione popolare. I carabinieri sono presenti per contenere la folla e assicurare l’ordine pubblico…”.

Funerale di Eleonora a New York

Furono celebrati quattro funerali.

New York. Napoli. Roma. Asolo.

Un trionfo in un teatro a scena aperta.

Il trionfo della vita nel trionfo della morte.

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