I giurati “selezionati” del Premio Brancati©

I giurati “selezionati” del Premio Brancati©

Di Mary Blindflowers©

L’attesa, pastel on paper by Mary Blindflowers©

Oggi parliamo del Premio Brancati, un prestigioso premio letterario italiano nato in onore di Vitaliano Brancati. Il premio si svolge a Zafferana Etnea, ogni anno, nel mese di settembre.

Ora capita che un mio contatto facebook abbia pubblicato l’elenco dei vincitori della scorsa edizione del premio. La prima cosa che ho notato è la seguente. Tutti i vincitori hanno pubblicato con grossi gruppi editoriali: Einaudi, Il Mulino, Feltrinelli, Longanesi.

Allora mi sono permessa di chiedere come mai in questi prestigiosi premi non prendano mai in considerazione autori che non sono inseriti nel megacircuito della grossa editoria. Poi ho anche chiesto come mai le persone premiate non sono mai nate dal nulla, non sono mai autori che sanno, sic et simpliciter, scrivere, bensì scrittori e poeti che in qualche modo hanno relazione con persone note, oppure provengono dalle file dei giornali a tiratura nazionale. Poesia e scrittura sembrano dunque appannaggio di un certo circuito, il circuito elitario di chi conta, di chi fa già parte di un certo “giro”. Tutti gli altri ne sono esclusi.

Vengo accusata di supponenza. Non si devono avere dubbi, il premio Brancati è serissimo, i giurati sono professionisti seri e preparatissimi. A questo punto i dubbi crescono perché il mio contatto fb che ha aperto la discussione sul premio, Ippolita Luzzo, tanto per non fare nomi, è fra i giurati.

Chiedo: “come vengono scelti i giurati?”

Raffaele Mangano precisa: “I giurati negli ultimi due anni sono stati non “scelti” ma “invitati” dal comitato organizzatore. Sono personaggi di provata onestà intellettuale e competenza. I gruppi di lettura a loro volta sono stati “invitati” e fanno capo a biblioteche comunali in tutta Italia”.

E Ippolita Luzzo continua:  “Intanto io posso dire il criterio per il quale sono stata scelta io dopo che furono letti i miei pezzi”.

Quindi, secondo la Luzzo i giurati vengono “invitati” o “scelti” dopo la lettura dei loro pezzi.

Caspita mi dico, i miracolati devono essere davvero bravi allora, per ottenere questo “invito”.

Incuriosita, ho letto un “pezzo” della brava Ippolita, che, a dirla tutta, è una simpatica persona, fa dei post carini, divertenti, finché si limita a due tre righe su fb. Il suo grosso problema è però che non riesce a reggere nemmeno un raccontino oltre le cinque righe.

Mi fa leggere un suo “pezzo”: “La favola della gabbietta”. La storia futile-inutile di un esserino dentro una gabbietta che non fa “cacca né pipì”. A parte l’insipienza del contenuto, mi chiedo se la Luzzo abbia mai preso in mano un libro di grammatica, utilissimo per legare le proposizioni in modo coerente e comprensibile ad un essere umano senziente. Credo di no. La punteggiatura infatti va e viene a seconda dell’umidità dell’aria, spesso manca il punto, e non una volta, come comprensibile refuso, che può capitare, ma più volte. Mancano gli accenti, le frasi vanno a capo a casaccio: Una gabbietta dottissima, ricchissima di travestimenti, come se un fregoli dovesse esibirsi

Ma dove?”.

Mi chiedo a questo punto cosa sia un fregoli con la f minuscola, il plurale di fregolo? Di solito infatti i nomi propri hanno il maiuscolo. E poi da quando le gabbiette studiano tanto da poter essere definite dotte?

E ancora: “Sembrava veramente un altro mondo, un altrove dove donne giovani, profumate e nude, si offrivano solo per puro piacere senza nemmeno chiedere il nome…”

L’uso dei verbi passa poi dall’imperfetto al presente senza alcuna ragione apparente, la consecutio temporum diventa una mera opinione per dotti rincitrulliti e ormai passati di moda: “I sogni ci nutrono e ci danno lo slancio per dismettere un vivere  che non piace più

Così in quella città una grande malia invase le case, un girovagare per un aldilà che portava tutti di qua e di là

Il rimedio, il rimedio, ma quale?”

Il rimedio, cara Ippolita, sarebbe quello di smettere di scrivere e dedicarsi ad altro.

Le frasi sono sgangherate, slacciate, sfibrano il lettore che cerca di capire cosa significhi quel delirio di parole buttate lì a caso, senza competenza alcuna, senza uno stile, senza punto e spesso senza un soggetto.

La Luzzo ha anche un blog che è stato pure premiato. Fa perfino recensioni molto positive a personaggi vari, e usa alla bisogna frasi che sembrano precipitate dal quinto pianto di un altro mondo impossibile da decifrare.

Ad esempio nel recensire un cortometraggio di Davide Minnella scrive frasette sibilline e da quinta elementare, sgrammaticate: “Mentre lui sta a letto il giovane, ingegnere ambientale rivela di essere, coltiva i pomodori da giugno ad agosto ed il corto si chiude sul pomodoro offerto da lui al contadino, ormai guarito, nel campo dell’amore. In abbraccio finale”.

Ma cosa vuol dire?

Sfido chiunque a capire qualcosa.

Nel recensire Paride Leporace dà veramente il meglio di sé nell’uso della punteggiatura. Riporto testuale: “Nel mio pezzo e nel parlare di Paride trovo quella consonanza di significati che vanno dal messaggio, fatto proprio lunedì sera a Paride, del figlio del giudice scomparso Paolo Adinolfi al mio inconsapevole cucire il filo del discorso proprio sulla figura di un giudice scomparso per sempre ad un uomo che ora testimonia quel sacrificio”.

La Luzzi lo sa che hanno inventato le virgole e che non si usano a caso? Le virgole non sono deiezioni di mosche seguaci del dove capita capita. Se esistono, è perché servono.

Anche un cieco si accorgerebbe che la signora non sa proprio scrivere. Ci prova, poverina, ma proprio non ce la fa. Quindi le competenze di cui parla l’esimio Mangano, qui non ci sono.

Come abbiano fatto ad invitarla ad un premio letterario importante, rimane per me un mistero, specie dopo aver visionato i suoi testi o le sue recensioni che sono terribili, per non dire orribili, scritte coi piedi e concepite forse al buio dopo aver battuto la testa contro la luna in una notte senza luna.

Ci sono autori che hanno dato alle stampe fior di libri, ma non sono stati invitati a diventare giurati del cristallino e trasparente premio Brancati, né di altri premi tutti all’italiana. Come mai?

Perché il talento non conta in Italia, non interessa proprio a nessuno. Basta riuscire ad inserirsi dentro un circuito e la ruota gira. Se poi non sai scrivere nulla e ti arroghi il diritto di giudicare quello che scrivono gli altri e di dire questa è poesia e questa no, anche se non conosci le basi elementari della grammatica italiana, poco importa, ma sei comunque una/uno del giro, poi un bel giorno premieranno anche te, se farai il bravo/a e avrai pazienza di continuare a dire che le cose sono perfette e che le favole esistono. Così il meccanismo cammina…

Ma cammina poi così bene?

I lettori sono in calo, l’editoria è in crisi, chissà come mai…

Raggiungeremo un punto di non ritorno. La società orwelliana prima o poi imploderà su se stessa. Un bel dì avverrà e io aspetterò quel giorno e se sarò viva sarò felice, se sarò morta maledirò dall’inferno il sistema che l’élite ci sta ora servendo sul piatto freddo del privilegio e della totale mancanza di competenze, talento e perfino decenza.

https://www.youtube.com/watch?v=TT8X_KdicSg

Comment (1)

  1. anna maria bernieri

    Come potrei non essere d’accordo? E’ una analisi obiettiva, anche se lascia tanto amaro in bocca.Questo è il paese dove” che tutto cambi, perchè nulla cambi” ed i privilegi allignano sulle coscienze. In questa maniera è impossibile un lavoro intellettuale onesto, trasparente e di talento. Non sono giovane, altrimenti andrei via da questo paese.

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