Lo scrittore dalla cucina al bagno©

Lo scrittore dalla cucina al bagno©

Di Mary Blindflowers©

 

Nuove strade, credit Mary Blindflowers©

 

Lo scrittore chiuso dentro la sua stanza ovattata, al coperto, lontano dai fumi della storia, distante dal suo tempo, dal sole e dalla pioggia; lo scrittore solitario che medita su concrezioni astrali, sullo spazio tra cucina,  salotto e bagno, concepito nella sua mente come metafisico e “la sola cosa che conti”.

Il poeta che, chiuso nel proprio cappotto di gelo solitario, dice di ignorare tutti i meccanismi dell’editoria, anche se nello stesso tempo scrive e propone il suo libro proprio a quell’editoria i cui ingranaggi ignora o finge di ignorare. Eccolo quest’uomo, eccola questa donna che cerca, tanto per dirla volgarmente, di evitare il più possibile di polemizzare, di criticare, di pestare i piedi a chi conta, di esprimere un parere documentato e personale che sappia anche di coraggio. Il signor “scrittore”, la signora “scrittrice”, il “poeta”, la “poetessa”, così sensibili, delicati, tacciono. La loro bocca sigillata ha il suono del non essere. E tutto questo accade perché “non si sa mai, magari domani potrebbe essere un buon giorno per fare carriera”. Se si parla e si svelano i meccanismi, qualcuno potrebbe rimanerci male, potrebbe risentirsi. Tacere dunque, chiudere gli occhi, vivere come in trance, in uno stato di costante qualunquistico sonnambulismo, trattenersi per amor di pace, coltivare il proprio piccolo verde orto senza guardare la giungla del vicino, senza capire perché mai il vicino abbia avuto l’autorizzazione per costruirsi un giardino grande quanto la foresta amazzonica e gli altri invece non possano espandersi oltre i pochi metri quadri di un orticello spelacchiato. La parola d’ordine made in Italy è non guardarsi intorno, non capire o meglio fingere di non capire, di non sapere come va il mondo. Perché avvenga la straordinaria crescita di certe male piante attorno al nostro giardino, non è affare che possa o debba riguardare i poeti o gli scrittori, gli stessi che magari si etichettano con questi nomi su bacheche e curricula. Oggi il silenzio impera tra chi dice di fare letteratura o poesia.

Lo scrittore crisalide così si chiude in sé e per non urtare la sensibile anima di nessuno, bavaglio in bocca e cerume nelle orecchie, scrive e si accontenta di quello che riesce a fare, cercando di conoscere qualcuno che lo tiri fuori dall’anonimato, cercando di aderire a quel sistema che lo cruccia e lo esclude. Si circonda così di amici che non lo contraddicono mai, non lo mettono alle strette con ragionamenti opinabili ma lucidi, in modo da vivere felice e soddisfatto di se stesso, salvo poi lamentarsi che in Italia tutto va male. Lamenti populisti e generici che fanno ottenere consensi. Non si fanno mai nomi e cognomi, non sarebbe conveniente. 

Questo è essere veri scrittori? Ignorare il giocattolo lucido e artefatto del proprio tempo è prova di acume? Non è piuttosto qualunquismo borghese? Non è pavidità?

Cosa scrivi se sei avulso dal contesto? Se non riesci a bucare la superficie perché tracci segni sulla carta, chi sei? Che metafore usi? Che ruolo intellettuale hai? Sei un produttore di lettere da fissare sul bianco del tuo vuoto, un elaboratore di consonanti e vocali che non danno fastidio a nessuno, non invitano a nessuna riflessione. Pattini sul sicuro, sull’ovatta e sei amico di tutti, mentre ripeti a te stesso: “Magari un giorno…”

Ma l’arte è follia, non ha cura né del giorno né della notte, né tantomeno dei “magari” a proiezione futura. L’arte ti dovrebbe esplodere dentro e basta, in barba a bavagli e savoir faire.

Tu, scrittore solitario e innocuo, hai la saggezza dei morti perché il compito di uno che vuol fare da grande lo scrittore, è anche e soprattutto denunciare i mali e le storture del proprio tempo, universalizzare, andare oltre se stesso e la propria contingenza, correre e volare oltre l’angusto e soffocante spazio che separa la cucina dal bagno, l’unico che molti, forse troppi, riescono a cantare.

Post a comment