La meditazione non mai è isolamento

La meditazione non mai è isolamento

La meditazione non mai è isolamento

Di Mary Blindflowers©

 

Tramontidee, foto Mary Blindflowers©

 

Nella mia seconda seduta in Zazen ho appreso il concetto di meditazione. E mi viene subito in mente il famoso ma sempre illuminante mito della caverna di Platone. Ecco uomini da sempre incatenati dentro una spelonca. Non possono volgere lo sguardo indietro dove c’è un fuoco e gente che si agita su una strada, affaccendata nella vita di tutti i giorni. Gli uomini prigionieri non possono vedere se non le ombre della verità, proiettate dal fuoco sulla parete di fronte. Se un uomo in catene riuscisse a liberarsi e a vedere direttamente la realtà fuori dalla caverna, rimarrebbe in un primo momento sconcertato della sua scoperta. Il suo desiderio sarebbe quello di liberare gli altri per far capire loro che sentono soltanto echi di voci e ombre di corpi. Vorrebbe che anche i suoi compagni di prigionia vedessero e si risvegliassero dalla doxa, la falsa opinione che scambia apparenza per realtà. Ma gli altri prigionieri forse si sono abituati al buio e non hanno voglia di esplorare, hanno paura, non ritengono che valga la pena di correre il rischio del passaggio dal buio alla luce. L’esplorazione comporta sempre un certo grado di mistero, azione, energia e forza, elementi fondamentali per rompere le catene.
In un certo senso lo Zazen è la rottura delle catene del pregiudizio e delle false ombre. Si tratta di un viaggio che ha rovesciato la mia idea preconcetta di meditazione. Nel linguaggio comune occidentale  il verbo “meditare” suggerisce l’idea di un individuo isolato che  si perde estraniandosi dal mondo. Il pensiero corre all’anacoreta (ἀναχωρητής) dedito alla contemplazione e totale austerità, oppure al Santo in macerati spasmi. Lo stato edenico si raggiunge con la ferita e l’illividimento del corpo, prescritto ad esempio dall’acredine misogina e castrante di San Paolo. Ottica distorta dell’indebolimento del corpo in vista dell’annullamento del vigore e quindi dell’asservimento dell’anima superiore. Quest’idea tutta cristiana è notevolmente superata dall’anti-ideologia zen con la rivalutazione del ritmo e dell’energia, in vista della valorizzazione di corpo e anima contemporaneamente nella loro interdipendenza. Postura, equilibrio, pensieri, fisico e metafisico. Occorre assecondare i ritmi degli altri, aspettare che si sollevino dal cuscino, che  lo rimettano a posto con tre dita, per giungere le mani e inchinarsi ritualmente. Quindi l’idea dell’isolamento è esclusa da Zazen.  Scrive Platone ne L’apologia di Socrate che una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta:

Io sono persuaso di non aver fatto mai, volontariamente, ingiuria a nessuno; soltanto, non riesco a persuaderne voi: troppo poco tempo abbiamo potuto conversare insieme. […] Ecco la cosa più difficile di tutte a persuaderne alcuni di voi. Perché se io vi dico che questo significa disobbedire al dio, e che perciò non è possibile io viva quieto, voi non mi credete e dite che io parlo per ironia; se poi vi dico che proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri, e che una vita che non faccia di cotali ricerche non è degna d’esser vissuta: s’io vi dico questo, mi credete anche meno. Eppure la cosa è così com’io vi dico, o cittadini; ma persuadervene non è facile. E d’altra parte io non mi sono assuefatto a giudicare me stesso meritevole di nessun male”. (Platone, Apologia, 37 a-38 c; trad. di M. Valgimigli, In Opere complete, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Bari 1971, 62-64). 

Zazen dunque come esplorazione curiosa, osservazione non giudicante, mantenendo i contatti con la realtà attraverso i segnali del corpo, la respirazione, la posizione e l’attenzione, dato che siamo comunque vincolati al nostro involucro di carne non disprezzabile. Zazen non come isola circondata da un oceano di subumana indifferenza ma come sole che irraggia energia da tutti i pori della pelle e della mente consapevole.

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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