La tessera di partito
Giorgio Infantino©
.
Il telefono squillava ma Franco non rispondeva. Dopo una pausa di silenzio durata quindici secondi, di nuovo l’aggeggio inventato da Meucci, ma che aveva fatto diventare miliardario Bell, squillò.
“Fabbri’? Fabrizio?”
“Papà, eccomi”.
“Non l’hai sentito?”
“No, stavo in cucina, con le cuffiette in testa”.
“Ma stai sempre a rimbecillirti con sta musica. E mo’? Chi era? Sta’ a vedere che erano i nipponici”.
“Papà, tranquillo. Arriveranno puntuali. Alle 13,30 hanno detto e alle 13,30 arriveranno”.
“Vabbè, ma tu stai in campana con il telefono. Lo sai, papà tuo è un po’ duro d’orecchi”.
Fabrizio sorrise e tornò in cucina, stavolta senza mettersi le cuffiette. Sapeva benissimo che Franco, un po’ sordo d’udito, ci marciava anche, perché stava ancora ad ultimare in sala i preparativi per accogliere al meglio la comitiva dei giapponesi, organizzatissimi come al solito nello scegliere i periodi di bassa stagione, per godersi in pace Roma e risparmiare. Come previsto da Fabrizio i figli del Sol Levante spaccarono il minuto e riempirono quasi tutto lo spazio del locale restando a bere e a mangiare per due ore di fila. Il menù turistico dai Pagnoncelli era a prezzi abbordabili e Luigino, una specie di faccendiere abilissimo a procurare ai ristoranti romani di periferia la clientela turistica che altrimenti sarebbe stata dirottata al centro, glieli aveva mandati con reciproca soddisfazione.
Un’ora dopo, Fabrizio aveva finito il turno in cucina. Per lavare ci avrebbe pensato l’aiuto.
“Papà, io vado”.
“Vai, vai. Ci vediamo stasera”.
“Non lo so se torno”.
“Vabbè, ma vedi che domani questi ritornano”, disse indicando con un’occhiata i giapponesi.
“Eh, lo so, lo so. Dormo da Valeria e domani mattina, alle dieci, sarò qua. Tranquillo, pà”.
Mentre i giapponesi si alzavano da tavola, il telefono iniziò a squillare di nuovo e neanche stavolta Franco riuscì a prendere, impegnato com’era a rispondere agli inchini e ai complimenti degli orientali. Sgombrato il campo, insieme al cameriere ed all’aiuto cuoco, sistemò il locale e lo chiuse per la pausa pomeridiana. Andò al piano di sopra, dove viveva insieme al figlio Fabrizio e, anche in quel caso, si trovò alle prese con un telefono che squillava.
Stavolta prese in tempo.
“Pronto?”.
“Finalmente! Pronto? Casa Pagnoncelli?”.
“Sì”.
“Ci scusi, abbiamo telefonato a lungo al locale ma, visto che non rispondeva nessuno, ci siamo permessi di telefonare anche a casa di Fabrizio”.
“Eh. Volete prenotare un tavolo? Avete bisogno?”.
“No, no. Volevamo solo dare un’ottima notizia a suo figlio”.
“Ah, e appunto! Può dire a me che sono il padre”.
“Sarebbe personale, ma va bene, per voi Pagnoncelli facciamo un’eccezione”.
Franco adesso era curioso e fremeva, ma tutti quei salamelecchi neanche i nipponici prima li avevano utilizzati e un po’ si era messo in allarme. Così si espresse con un rapido: “dica”.
“Abbiamo pronta la tessera per Fabrizio, dovrebbe dirgli di venirla a ritirare”.
“Che tessera?”.
“Quella del partito. Sono Cinzia, la responsabile giovanile della sezione del PDS della Nomentana”.
“Mi spiace. Mio figlio ha traslocato. Non abita più qua”.
.
DESTRUTTURALISMO Punti salienti