Dal carcere al balcone

Dal carcere al balcone

Dal carcere al balcone

Dal carcere al balcone

Free Man, tecnica mista su tela by Mary Blindflowers©

 

Giorgio Infantino©

Dal carcere al balcone
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Dopo anni, era tornato in quella casa, un appartamento in uno dei tanti condomini anonimi che si susseguivano uno dopo l’altro sulla vecchia strada che portava verso le colline. Al citofono rispose suo padre.“Sali, ti ricordi il piano, vero?”.

“Terzo, papà”.

Il click automatico di apertura del portone che non varcava da sedici anni, poi sempre lo stesso rumore sordo dell’ascensore che lo portava al piano, molto lentamente, come faceva da sempre, lo riportarono ai ricordi della sua infanzia.

L’incedere lento di quel parallelepipedo colorato di giallo che da ragazzo lo esasperava, ora sembrava prepararlo a quel momento che aveva atteso da tanto. Poteva rivedere i suoi genitori e, francamente, in quelle lunghe notti passate in carcere, non ci sperava più.

Quando le porte si aprirono li trovò entrambi schierati sul pianerottolo, anche loro con l’aria dei sopravvissuti. L’unico figlio che avevano accusato di un delitto che non aveva commesso. Si erano svenati per lui, per dimostrarne l’innocenza oltre ogni ragionevole dubbio. Inutilmente.

Ora che se lo ritrovavano davanti era perfettamente inutile parlare del passato. A che sarebbe servito? Era finita. Era fuori. Era libero.

L’abbraccio durò minuti interi. Lì, esattamente sul pianerottolo. Prima la madre, poi il padre.

“Entriamo”, disse alla fine suo padre.

Lo fecero entrare per primo, come accadeva sempre quando era bambino, quando loro aprivano la porta e lui sgattaiolava in casa attraverso la prima fenditura, prima che la porta si aprisse del tutto e, come quando era bambino, andò in quella che era stata la sua stanza, aprì la porta finestra e uscì.

Il balcone era lì, ad aspettarlo. Come sempre, attendeva che il suo sguardo abbracciasse l’intero panorama che aveva davanti, da una parte le colline, dall’altra il mare e uno spicchio del porto; attendeva che quel bambino cresciuto troppo in fretta iniziasse di nuovo a sognare ad occhi aperti e a scrivere quei sogni in qualche quaderno; attendeva, con fiducia, di sentire ancora tante altre volte il calpestio delle sue scarpe su quelle mattonelle mai cambiate rispetto al capitolato iniziale fatto col costruttore.

C’era in effetti un sogno che quell’uomo ormai di cinquant’anni stava facendo. In tutti quegli anni e vivendolo da dentro si era convinto dell’assoluta inutilità del carcere: a che serve, se non a togliere di mezzo gli indesiderati? Né più, né meno lo stesso ruolo che avevano un tempo i manicomi. Ecco, se abbiamo tolto di mezzo i manicomi, ora sarebbe toccato al carcere. Sarebbe stato quello d’ora in poi il suo progetto.

“Che fa? Non viene a mangiare?”, chiese la madre al padre.

“È in balcone. Tra poco arriva”, rispose il padre.

Sorrisero, quando un istante dopo sentirono dire: “eccomi”.

Era la vita che proseguiva, insieme ai sogni.

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