Il nichilismo di F. Nietzsche

Il nichilismo di F. Nietzsche

Il nichilismo di F. Nietzsche

Il nichilismo di F. Nietzsche

La carta, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Il nichilismo di F. Nietzsche

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Il nichilismo di Nietzsche è «metafisica stessa perché si volge a domandar sull’ente e non sull’essere… Esso è la possibilità che a partire dalla detronizzazione dei valori finora reggenti, tutto nel suo insieme sia posto in modo diverso per giungere ad un nichilismo attivo, affermativo, compiuto. Per divenir tale, occorre che esso sia estremo, affermandosi come ideale della somma potenza dello spirito, un modo di pensare divino secondo i dettami del Dio Dioniso» (Possenti).

Il nichilismo permea di sé il 900, campeggia nelle avanguardie letterarie ed artistiche, da Kafka a Sartre, tocca «la cultura politica di taglio anarchico e populista», si tuffa nelle filosofia, imponendosi con Nietzsche ed Heidegger come «destino ineludibile dell’occidente».

A questo punto sorge spontaneo il quesito: che cos’è il nichilismo? Che rapporto ha con metafisica e realismo? La filosofia nichilista si basa su un’azione destrutturante e destabilizzante d’ogni fondamentale certezza. “Dio è morto” esprime il crollo definitivo del senso. L’uomo e il cosmo smettono di avere una finalità, per cui «la realtà è un mutevole comporsi di orizzonti senza senso: l’esistenza non ha scopo, l’energia vitale non tende a nulla, il divenire non ha termine ultimo». C’è in tutto questo la negazione del realismo. Quest’ultimo ed il suo opposto, l’antirealismo, sono determinazioni del pensiero e non dell’essere, pertanto riguardano lo spirito nella sua tensione di conoscenza dell’oggetto. Il pensiero ha rapporto con ciò dinnanzi a cui esso esiste. In pratica esistere davanti all’essere è realismo contro cui si erge il nichilismo teoretico. Il principale compito della filosofia fin dai tempi più antichi è stato quello di indagare sull’essere, alla continua ricerca della verità. L’essenza di quest’ultima infatti è relativa all’essere e di esso rivelativa. Nichilismo allude al niente in una prospettiva ontofobica. Si tratta di un nientificare la verità dell’essere, in un oblio che è sostanzialmente rifiuto della conoscenza reale, decomposta, negata con paradigma antirealistico il cui punto apicale consiste nell’abbandono del concetto di verità come conformità del pensiero all’oggetto. L’idea è che «non ci sia alcuna struttura delle cose su cui il pensiero possa regolarsi, a causa di un invalicabile abisso tra pensiero ed essere».

Il nichilista devasta il concetto di assoluto, affine al concetto di malattia e spaesamento, si trova suo malgrado proiettato nella crisi dei valori del mondo, senza punti di riferimento. Crollano le certezze nell’assioma dell’ateismo in una prospettiva antistorica e non finalistica. L’uomo è un animale come altri nell’universo, che merita di morire come ogni altra creatura vivente. Il tragico è invalicabile, la morte è ribadita, né può esservi vittoria umana contro la sua ineluttabilità. Nessuna speranza nel niente dell’assenza implacabile di Dio. L’uomo quando muore perde l’essere e torna al nulla in una dinamica anti-biblica e anticristiana. La Bibbia infatti asserisce che l’uomo non è degno di morire. Il nichilismo coglie la morte come mero fatto biologico privo di una dimensione metaempirica, niente di più che un mero decesso riscontrabile dalla scienza. La dipartita dell’uomo non ha niente di speciale, si muore, tutto qui, semplice, crudele e fisiologicamente appurabile. La meditatio mortis raduna l’io, lo pone davanti a sé stesso senza tuttavia scoprire niente sull’aldilà. Probabilmente perché non c’è niente da scoprire. Negata la resurrezione di fede cristiana, rifiutata l’idea platonica dell’immortalità dell’anima. L’idea nietzschiana dell’eterno ritorno rappresenta un tentativo disperato di evadere dalla desolante finitudine della mortalità attraverso l’eterna reiterazione della dialettica vita-morte. L’eternità di Dio che ormai è defunto viene sostituita dall’eternità diluita nei cicli cosmici del perpetuo ritorno. Morte all’infinito nella ruota dell’essere che manca di scopo e definitivo perché. La metafisica stessa in Heidegger è nichilismo volto a interrogar sull’ente e non sull’essere e in questo senso ontologia. L’errore di non pensare la verità dell’essere è necessario perché l’essere si sottrae e si nasconde. Per ente si intende tutto ciò di cui normalmente si parla e a cui si pensa ma anche ciò che siamo. La consapevolezza dell’essere è fondamentale anche per capire il suo opposto, il nulla. Quindi sappiamo cosa è l’essere però contemporaneamente c’è qualcosa che sfugge, il vero senso dell’essere rimane avvolto da un’oscura nebbia. Quello di essere è un concetto che fluttua nell’ambiguità svelato e nascosto contemporaneamente. L’uomo si dimentica dell’essere perché da per scontato la sua conoscenza. In realtà quando si pensa all’essere non si riesce ad afferrarne il senso e questo non dipende da un’insufficienza del pensiero ma dalla natura dell’essere stesso che inclina all’auto-nascondimento, ossia si ritira in una dimensione oscura, altra e inaccessibile. La filosofia di Heidegger indaga su tale problema d’oblio dell’essere e sull’invalicabile abisso tra questo e il pensiero. Il nichilismo viene così definito il movimento fondamentale della storia occidentale in quanto è metafisica spogliata della propria possibilità essenziale, in pratica mistero dell’essere, non pensato perché rifiutantesi. (V. Possenti, Terza navigazione nichilismo e metafisica, Armando Editore, Roma, 1998, pp. 25 e ss., 179, 273).

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