Grande Madre dei canti

Grande Madre dei canti

Grande Madre dei canti

Grande Madre dei canti

La madre, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo & Mary Blindflowers©

Grande Madre dei canti

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La Madre dei canti, la Madre di tutto il nostro seme ci generò tutti al principio. È la Madre di tutte le razze degli uomini e di tutte le tribù. È la Madre del tuono, dei fulmini, degli alberi e del grano. È l’unica Madre che abbiamo ed Ella sola è la Madre di tutte le cose. Ella sola. (Canto degli indiani Kayaba, Colombia).

 

Mediante una sintesi, estrema e mirabile, Marcel Granet ha scritto nell’Introduzione al suo Danze e leggende dell’antica Cina, pubblicato per la prima volta nel 1926, che: Ancora meglio che a Roma, in Cina possono essere studiati – studiati nella loro evoluzione e nelle loro connessioni – l’instaurarsi del potere signorile proprio del capo politico e quello del potere signorile proprio del capo famiglia. In Occidente, Roma diventa infatti il crogiuolo di antichissime storie, narrate nel nord, sud, est e ovest delle rispettive terre di origine -, mescolate al fine di costruire e ricostruire un’unica tradizione a gloria dell’attualità. Lasciando l’analisi della tradizione cinese a Granet e tutti i suoi allievi, siamo attratti dalla via percorsa dall’Occidente… Non prima però di dover necessariamente precisare che il Culto degli Antenati, originario e originale di cui Granet ha saggiamente detto, sia, come di fatto è, fondato già su un dogma, che come riteneva Immanuel Kant sia proprio della nostra mente di uomini: il dogma o il principio della causalità necessaria. Il principio, che nella Modernità e ancor più nell’attualità diremmo antropocentrico, nell’Antichità era  “matriarcale”. Sottolineando, in proposito, come fino a un recentissimo passato, in base al meccanismo della cosiddetta selezione naturale, mater (erat) semper certa pater numquam.

La stessa parola RVCh, Ruach ha-kodesh, רוח הקודש, citata nel Talmud e nello Zohar, vento, soffio, Spirito Santo, è femminile, diventa maschile nella traduzione delle Sacre Scritture. «Per qualche ragione a loro nota, i traduttori della Bibbia hanno accuratamente lasciato fuori ed eliminato ogni riferimento al fatto che la Deità è insieme maschile e femminile. Essi hanno tradotto un plurale femminile con un singolare maschile nel caso della parola Elohim» dall’ebraico אלהים, divinità o coloro che sono venuti dal cielo. In Genesi IV, 26: «Ed Elohim disse: “Facciamo l’uomo”. Egualmente come poteva, Adamo, essere fatto a somiglianza di Elohim, maschio e femmina, a meno che anche gli Elohim non fossero maschi e femmine? La parola Elohim è un plurale formato dal singolare femminile ALH, Eloh, aggiungendo IM alla parola. Ma poiché IM è solitamente la terminazione del plurale maschile, ed è qui aggiunto a un nome femminile, esso dà alla parola Elohim il senso di una potenza femminile unita ad un’idea maschile e quindi capace di prolificare. Sentiamo parlare molto del padre e del Figlio, nelle comuni religioni attuali, ma nulla si dice della Madre. Nella Qabalah, però, troviamo che l’Antico dei Giorni si conforma simultaneamente nel Padre e nella Madre e così genera il Figlio. Questa Madre è Elohim». (Magia della Cabala, la Kabbala svelata, i libri dello Zohar, a cura di S. L. MacGregor Mathers, vol. I, Edizioni Mediterranee, 1981, pp. 29-31.) La prima vaga percezione dell’uomo, per quanto riguarda la procreazione, è femminile, poiché si conosce meglio la madre che il padre. Per questo motivo, prima dell’avvento del Cristianesimo, le divinità femminili erano considerate più sacre di quelle maschili. (Si veda a tal proposito H.P. Blavatsky, La dottrina segreta, sintesi della scienza, della religione, della filosofia, l’evoluzione cosmica, Fratelli Bocca, 1949, p. 69.)

«Binah, La Grande Madre, chiamata qualche volta anche Marah, Il Grande Mare, è chiaramente la Madre di Tutti i Viventi. Essa è l’utero archetipale attraverso il quale la vita viene alla manifestazione. Qualsiasi cosa fornisce una forma per servire la vita come un veicolo appartiene a Lei… Binah è il terzo membro del Triangolo Superno… La parola Marah, che è la radice di Maria, significa anche amaro, e l’esperienza spirituale attribuita a Binah è la Visione di Dolore… la Vergine piangente ai piedi della Croce, col cuore trafitto da sette spade», (Dion Fortune, La Cabala Mistica, Astrolabio, 1974, pp. 129-133, 143).

Galimberti, ripetendo cose note scrive: «Oltre al simbolismo del vaso, che come il grembo materno contiene l’oscurità primitiva, il cielo notturno generatore, la forza ctonia della terra capace di dare alla luce, la Grande Madre viene rappresentata anche come albero della vita che, saldamente piantato con le sue radici nella terra che lo nutre, si innalza verso l’alto e con i suoi rami e le sue foglie genera quell’ombra protettiva dove la materia vivente trova il suo rifugio. Non a caso la parola madera (legno) ha parentele con madre, materia, a cui pure si connette il greco madaros, (umido, inzuppato), e il latino madidus (madido, bagnato). Al carattere materno dell’albero appartiene non solo il nutrire ma anche il generare, e come la madre-vaso, diventa col suo grembo trono del figlio, così la madre-albero diventa in Cina “l’albero dell’anno”, sotto cui rami si raccolgono gli animali delle dodici costellazioni che presiedono alla nascita di tutte le cose; in Egitto il pilastro Ded che, conficcato nel monte è il “legno della vita da cui nascono gli dei”, fino alla più recente simbologia giudaico-cristiana dove il figlio della vergine nasce nella mangiatoia di legno e muore sulla croce, “albero della vita e della morte” La materia lignea oltre che madre della vita è madre della morte, è il sarcofago divoratore di carne, la cassa che racchiude nella sua forma dell’albero-pilastro, Osiride nel suo legno», (Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 94.)

Ma, occorre fare ancora un passo indietro alla ricerca della Tradizione, la vera tradizione che, alla maniera heideggeriana, potremmo dire è “l’inizio dell’inizio che è” o, alla maniera parmenidea, è la via che: “è”.

Infatti, prima che diventi principio, autorità e guida, via verità e vita, l’immagine della madre è stata, originariamente, patrimonio esclusivo di un’altra immagine, che è quella della Sfinge. In un bellissimo saggio dal titolo Cristo e la Sfinge. La storia di un enigma, Romeo De Maio scrive che “Maria, in affinità con la Sfinge, era <enigma a se stessa>. D’altra parte non solo dallo scienziato Jung fu osservato che <l’enigma della Sfinge era la Sfinge stessa>, ma anche dal vorticoso poeta Péladan: <sono io stessa l’enigma che pongo>. E dunque una Tradizione che, sin dall’inizio, l’inizio dell’Accademia, come precisa bene Plutarco nell’Adversus Colotem, si nutre di scetticismo. Sarebbe falso, e vano, pensare e dire il contrario.

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Rivista Il Destrutturalismo

 

 

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