René Guénon, sul plagio letterario

Guénon, sul plagio letterario

René Guénon, sul plagio letterario

Guénon, sul plagio letterario

Il mondo alla rovescia, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

René Guénon, sul plagio letterario

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René Guénon elabora Il Re del mondo, utilizzando principalmente come riferimento bibliografico due testi diversi, l’opera postuma di Saint-Yves d’Alveydre intitolata Mission de l’Inde e pubblicata nel lontano 1910 e il libro Bêtes, Hommes et Dieux del 1924 di Ferdinand Ossendowski.
Il primo dei testi citati contiene la descrizione dell’Agarttha, un misterioso centro di iniziazione. Il libro, che a tratti sembra costruito più sulla fantasia che su fatti reali, non è alieno da inverosimiglianze, tuttavia rimane la prima testimonianza dopo Louis Jacolliot, “alla cui autorità non si può fare certo di riferimento”, dice Guénon, perché “scrittore di scarsa serietà” e fantasioso manipolatore del vero, dicevo, la prima testimonianza dell’Agarttha. Poi arriva Ossendowski che elabora “racconti quasi identici a quelli di Saint-Yves. A chi ha rilevato questo fatto, sostenendo che forse Ossendowsky ha plagiato Saint-Yves, Guénon, nonostante ammetta che i due libri sono molto simili, dà dello spirito malevolo e scettico, escludendo il plagio:

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Spiriti scettici, o malevoli, non hanno mancato, naturalmente, di accusare Ossendowsky di aver semplicemente plagiato Saint-Yves, segnalando tutti i passi concordanti delle sue opere; e infatti ve ne sono parecchi che presentano, anche nei particolari, somiglianze davvero sorprendenti. Vi troviamo innanzitutto, cosa che poteva parere inverosimile anche in Saint-Yves, l’affermazione dell’esistenza di un mondo sotterraneo, le cui ramificazioni si estenderebbero dappertutto, sotto i continenti e anche sotto gli oceani, e per mezzo del quale si stabilirebbero invisibili comunicazioni fra tutte le regioni della terra; Ossendowski, del resto, non rivendica la paternità di una simile asserzione e anzi dichiara di non sapere cosa pensare in proposito; la attribuisce invece a vari personaggi incontrati lungo il viaggio.
Passando a questioni più particolari, c’è il passo in cui “il Re del mondo” è raffigurato dinanzi alla tomba del suo predecessore, quello in cui si parla dell’origine degli Zingari, i quali un tempo avrebbero vissuto nell’Agarttha, e molti altri ancora. Saint-Yves dice che, durante la celebrazione sotterranea dei Misteri cosmici… anche gli animali rimangono silenziosi. Ossendowski sostiene di aver assistito personalmente a uno di quei momenti di generale raccoglimento. E poi, tra le tante coincidenze, vi è la storia di un’isola, oggi scomparsa, dove sarebbero vissuti uomini e animali straordinari; a questo proposito Saint-Yves cita il riassunto del periplo di Iambulo… le loro descrizioni non differiscono mai… Abbiamo segnalato tutte queste concordanze ma ci teniamo a dire che non ci convincono affatto della realtà del plagio; è nostra intenzione, del resto, non addentrarci in questa sede in una discussione che, in fondo, ci interessa ben poco.

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Abbiamo dunque un Guénon cauto, che usa il plurale maiestatis per darsi più importanza e che, nonostante ammetta che i due testi coincidano, che le descrizioni siano le stesse, nega clamorosamente il plagio, argomento scottante, che, dice, non gli interessa.
Peccato che il libro di Ossendowski sia stato scritto dopo tanti anni rispetto a quello di Saint-Yves, tratta lo stesso argomento, ma Ossendowski si guarda bene dal dire che i racconti che riferisce, sono stati già raccolti in un libro precedente. Già questo basterebbe a instillare qualche dubbio circa una volontà di plagio.

Perché del plagio letterario non vuole parlare nessuno? Perché gli autori prendono le distanze da questo concetto scomodo?
È una domanda che ancora oggi occorre farsi, di fronte a testi palesemente identici e di cui si nega la volontà del copia-incolla.

Guénon insiste, imperterrito:

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Se Ossendowski avesse parzialmente copiato la Mission de l’inde, non vediamo perché avrebbe omesso certi passi di grande effetto, né perché avrebbe cambiato la forma di certe parole, scrivendo per esempio Agharti invece di Agarttha, il che invece si spiega molto bene qualora egli avesse ottenuto da fonte mongola le informazioni che Saint-Yves aveva ottenuto da fonte indù…

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A questo punto mi viene da dire, ma quando mai se uno copia, lo fa in modo perfettamente identico? Bisogna bene che cambi qualcosa per differenziare il suo plagio dal testo originale in modo che i vari René di turno poi possano dire ma… forse non è plagio… E ancora, ammesso e non concesso che Ossendowski avesse ottenuto le informazioni da una fonte diversa da quella di Saint-Yves, non avrebbe dovuto dire che tali informazioni già erano state scritte da qualcun altro anni prima di lui? Che senso ha riportare informazioni che già si conoscono?

Alla fine Guénon prende le distanze con prudenza, tirandosi fuori dal problema: “Queste poche osservazioni preliminari sono sufficienti per lo scopo che ci siamo proposti, poiché intendiamo rimanere assolutamente estranei a qualsiasi polemica e questione personale…”.

Prima lancia la pietra, poi nega e nasconde la mano.
Questo è l’atteggiamento tuttora ancora in voga quando si parla di plagio letterario. Tutti tacciono oppure prendono le distanze, discettando di casuali rassomiglianze perché l’intellettuale è mediamente vile per natura e nessuno può cambiare, purtroppo, la propria natura per amore della verità.

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Rivista Il Destrutturalismo

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