Un Espresso belato d’Arminio

Un Espresso belato d'Arminio

Un Espresso belato d’Arminio

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Un Espresso belato d'Arminio

L’insetto, credit Mary Blindflowers©

 

Ogni settimana sull’Espresso una parola commentata da una firma, in poche parole una bella rubrichetta di poesia da servire al popolo bue che non sa che due più due non fa due. Sinteticamente parlando, un’esposizione spesso prosaica e senza alcun talento di sedicenti poeti che farebbero la differenza tra prosa e poesia.

Leggendo la poesia di tal Franco Arminio che pare sia un poeta affermatissimo e che venda moltissimo, rimaniamo un attimo perplessi fin dai primi versi: “L’Aquila non deve morire/, mano a mano che viene ricostruita/. Sigillare le ferite/ non vuol dire togliere/ l’aria dall’aria,/ l’anima dall’anima…”

Questi sarebbero dei versi?

Poi continua, imperterrito con la sua semplice e populista prosa:

“Per puntellare un luogo ci vuole/ il muso delle vacche, ci vogliono le zampe/ poderose degli insetti/e poi la forza sacra delle pietre,/ la bella faccia delle ragazze italiane…/

Non c’è un solo verso. Abbiamo semplice prosa che va a capo. Una moda diffusa nella poesia contemporanea che segna l’annullamento della poesia stessa, senza più ritmo, senza più assonanze, senza più temi graffianti, ma soprattutto prosa e sempre e solo prosa che improvvisamente e senza alcuna ragione che abbia senso, va a capo, autodefinendosi pomposamente poesia finché non si trova un canale ufficiale che confermi questo assioma.

Perché questo signore viene definito un poeta, se non scrive nemmeno un verso che possa essere definito tale?

Ah, dimentichiamo.

Secondo le nuove teorie nessuno può o deve prendersi l’onere di definire che cosa sia e che cosa non sia poesia, così con questa bella scusa, siccome la poesia sarebbe indefinibile e nessuno può permettersi di dire nulla su di essa, qualsiasi cosa diventa poesia, pure i belati di Arminio.

Ebbene, noi, nella nostra ingenuità, continuiamo a chiederci perché questo signore venga pubblicato sull’Espresso, dato che qualsiasi poeta di fb potrebbe tranquillamente fargli le scarpe, infatti non vediamo nulla che possa farci dire: “Caspita! Com’è bravo! Che ritmo e che densità di sensi propone questo poeta!

A che titolo allora è stato scelto?

Ah, questo per noi rimane un mistero pari a quello della Madonna di Fatima. Un mistero piuttosto chiaro, a dire il vero, che attesta per l’ennesima volta come del talento, di cui questo signore è completamente privo, e non ci vuole un grande critico letterario per capirlo, non importi nulla a nessuno.

In alcuni punti il sommo poeta diventa addirittura sgradevole:

“Una città nel cuore dell’Appenino/non poteva essere la palestra/per mostrare i muscoli di un furbastro,/non può essere un incrocio di case e affari…/”

Oltre che prosa è anche terribilmente antiestetica, in un parola, brutta, in barba ad eleganza, originalità ed elaborazione stilistica.

Ed è la prosa di un comizio anche piuttosto fiacco e poco trascinante per propaganda di partito, visto che l’autore si permette delle apostrofi ad un presunto uditorio acclamante che lo starebbe ad ascoltare (“Andate a L’Aquila ora che è ancora viva, cercatela prima che la polvere diventi tappeto per passi inerti, plastica da sedile”, “Salviamola da ogni somiglianza, salviamola da questa Italia brutale e annerita”), apostrofi accorate che dovrebbero essere marcate da un punto esclamativo finale che magari chi scrive ha scordato tra le righe dei suoi sedicenti versi; versus appunto da verto, is, verti, versum, vertere, “voltare, andare a capo”; ciascuno dei membri maggiori in cui si articola un periodo ritmico, alla fine del quale, nella scrittura, di solito si va a capo, definibile come l’incontro di uno schema metrico e di una sequenza ritmica variabile secondo leggi diverse nella metrica quantitativa ed accentuativa: quale di tali succitate peculiarità hanno le righe sparse di Arminio? Non v’è alcun ritmo, alcuno schema nelle sue frasi; ci si astenga dal chiamare la sua produzione “poetica”, da poieo, creo dal nulla, genero emozione; sono linee assolutamente sterili sul piano emotivo, finanche come comizio; figuriamoci a livello di lirismo!

La realtà è che per avere il patentino di poeti sbandierato sui media che contano, sempre molto politicamente agganciati, non importa che cosa si sappia fare e come si scriva, ma chi si conosca. È la parrocchia ciò che conta non il contenuto dell’orazione.

Cicero pro domo sua.

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Comment (1)

  1. roberto marzano

    Una volta mi è capitato di comprare dei bastoncini di pesce. Una confezione della solita marca (“Primia” della “Basko”) e, visto che erano con un ottimo sconto, ho voluto prendere, solo per pura curiosità, anche i mitici “Findus” quelli del “Capitano”.
    Arrivato a casa, ho sottoposto la mia famiglia ad una sorta di test degustativo: senza svelargli qual era l’uno e quale l’altro, glieli ho fatti assaggiare. Uno era saporito e sotto la panatura c’erano dei veri filetti di merluzzo, mentre l’altro conteneva una poltiglia gommosa e spugnosa al “gusto pesce” (probabilmente pelle, spine e chissà cos’altro) abilmente triturata ed emulsionata.
    Credo sia inutile dire che il prodotto di bassa qualità era proprio quello arcinoto. Anche come consumatori, non solo nella “cultura”, siamo un popolo di coglioni.
    Chissà perché questo articolo mi ha fatto venire in mente proprio questo episodio.

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