Cos’è veramente la volgarità?

Cos'è veramente la volgarità?

Cos’è veramente la volgarità?

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

 

Forme di vita, credit Mary Bindflowers©

 

La volgarità, lo spauracchio, la forma di vita, il terrore del benpensante azzimato e tirato al lucido specchio delle proporzioni del suo ego ristretto da contagocce calibrato che cerca di imbrogliare le carte del gioco con educazione, rispetto al polietilene espanso e ritinto, e un tetto di carta dipinto su cui nessuno può mingere, perché ricettacolo di lacrime sintetiche di amici plaudenti.

Cos’è veramente la volgarità? Deriva da vulgus, popolo. E stigmatizza il linguaggio di quella parte della società meno economicamente e culturalmente avvantaggiata. Eppure la volgarità può diventare l’arte del volgo che non cede l’ano al fallo del potente.

Ecco Giuseppe Gioacchino Belli in Sonetti Romaneschi, Er padre de li santi:

Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.

Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello.

Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.

Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.

E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.

Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.

(Roma, 6 dicembre 1832)

E che dire dei Carmi Priapei, del Satyricon, di Aristofane, che nella commedia Gli Acarnesi fra molti scrive: «Tu che al culo focoso il pelo radi, tanta barba, o scimmiotto, al mento avendo, cammuffato da eunuco, ti presenti?». E Giovenale nelle Satire: “«O ancora quando t’impone di farti in là gente che si guadagna i testamenti ogni notte, gente che la via più sicura oggi a far fortuna, la vulva d’una vecchia danarosa, porta alle stelle… Non fidarti dell’apparenza: le strade sono piene di viziosi in cattedra. Condanni l’immoralità tu, proprio tu, che degli efebi di Socrate sei il buco più noto? Il corpo rozzo e le braccia irte di setole prometterebbero un animo fiero, ma dal tuo culo depilato, con un ghigno, il medico taglia escrescenze grosse come fichi”.

Poi Dante nel canto XVII dell’Inferno, parla della “sozza e scapigliata” Taide, “puttana che là si graffia con le unghie merdose”, e del suo vicino Alessio Inteminei: “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s’era laico o cherco”.

Vogliamo poi ricordarci Merdeide? Cos’è? Un poema di Tommaso Stigliani: “Stanze in lode delli stronzi della Real Villa di Madrid. Piuttosto esplicito, sin dall’incipit:

D’una Villa Real i sporchi umori

Gran desio di catar m’ingombra il petto,

E come in vece di purgati odori

V’han li stronzi, e la merda albergo e letto

Anche la chiosa è abbastanza esplicita:

E tu Villa real, fregio, e decoro

De l’Ibero terren, Donna del Mondo,

Già che rinchiudi in te si bel tesoro,

Tù non cadrai nel cieco oblio nel fondo

Muta nome per Dio, che più sonoro

Sarà il tuo vanto fetido e immondo.

E dì, pe i stronzi si famosi, e belli

Merdid ogn’un, no più Madrid, m’appelli.

( L’edizione canonica contiene anche lo scritto Mentre Fillide vien baciata da Filleno, questa per dolcezze si lasciò scappare una Correggia)..

E il Boccaccio, l’Aretino, che dire di loro?

Fottiamci, anima mia, fottiamci presto
perché tutti per fotter nati siamo;
e se tu il cazzo adori, io la potta amo,
e saria il mondo un cazzo senza questo.

E se post mortem fotter fosse onesto,
direi: Tanto fottiam, che ci moiamo;
e di là fotterem Eva e Adamo,
che trovarno il morir sì disonesto.

– Veramente egli è ver, che se i furfanti
non mangiavan quel frutto traditore,
io so che si sfoiavano gli amanti.

Ma lasciam’ir le ciance, e sino al core
ficcami il cazzo, e fà che mi si schianti
l’anima, ch’in sul cazzo or nasce or muore;

e se possibil fore,
non mi tener della potta anche i coglioni,
d’ogni piacer fortuni testimoni

Sonetto altamente trasgressivo nel ribellismo semantico a tutti i vincoli coartatori del bigottismo religioso, gravido e pregno dell’impulso più genuino e popolare a non curarsi dei divieti imposti dalle Sacre Scritture, pulsione che non potrebbe essere di ugual nerbo e sferza se non si appalesasse condito di parole tronfie di etereità: il vulgus si ribella e proclama in esso il suo diritto alla sessualità scevra da vincoli e catene. E la parola del volgo (vulgaris, appunto) si fa veicolo di questo scassinamento!

E il poeta Giorgio Baffo e Bukowsky? Gli esempi sono infiniti.

Sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 25 agosto 2012 si legge: “Andria «Quello spettacolo è volgare, offende il buon costume e quindi deve essere interrotto». Evidentemente all’agente di polizia municipale non piace Charles Bukowski, visto che è intervenuto in maniera decisa e fin troppo autoritaria per sospendere la rappresentazione teatrale («Confessioni da bere») ispirata ai testi del noto scrittore americano, messa in scena in un locale della centralissima piazza Catuma”.

La volgarità può diventare un’arte che non tutti comprendono.

Ma allora qual è il limite?

Il limite è l’occhio di chi guarda e non vede che le parole sono piccoli abissi di mondi nascosti, che dietro ogni parola c’è un significato legato ad un contesto. Tutte le parole hanno la stessa dignità che cambia a seconda di come le si usa.

La volgarità non esiste, esistono solo le persone ignoranti che etichettano le parole e i gesti che descrivono senza valutare il motivo per cui le si usa, dimenticando che l’arte è anche volgarità, ossia linguaggio di un popolo troppo spesso dimenticato o snobbato.

A comprova di ciò un comportamento singolare, riportato dallo storico dell’Africa B. Davidson (1969), mette in luce come il concetto di volgarità sia estremamente relativo e connesso alla cultura di origine. In passato, presso i Venda del Transvaal (Sudafrica) le ragazze non sposate mostravano orgogliosamente le natiche, con prevedibile disappunto dei primi missionari che abitavano nei loro villaggi. Tale atteggiamento non era considerato irriverente all’interno della società Venda: infatti, essendo ritenuto sconveniente che una ragazza non avesse rapporti con uomini prima del matrimonio, i giovani erano incentivati a intrattenere un’attività sessuale. Questa però doveva essere controllata, in quanto sarebbe risultato oltremodo grave che una ragazza rimanesse incinta: un figlio nato fuori dal matrimonio non avrebbe avuto una sua collocazione nella struttura parentale della società. Alle ragazze veniva quindi insegnato a costringere il partner a estrarre il pene prima dell’eiaculazione, per poi serrarlo tra le cosce fino al termine del rapporto. Tale gesto fisico, secondo i Venda, rafforzava le natiche delle ragazze; ne conseguiva che il mostrare in pubblico glutei forti, al contrario di quanto potesse sembrare ai nostri missionari, era un segno di alta moralità. 

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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