Il limite vero della sincerità

il limite vero della sincerità

Il limite vero della sincerità

Di Mary Blindflowers©

La finzione, credit Mary Blindflowers©

 

Quando andavo alle scuole superiori avevo un’insegnante di educazione artistica, bassetta, bionda tinta e col viso avvizzito di un mirtillo secco che aveva la curiosa abitudine di regalare quelle che pomposamente definiva “le sue opere” agli alunni, degli acquerelli abborracciati su carta spessa che ritraevano sempre case o alberelli verdi, e un po’ come fanno i bambini piccoli, dopo averci regalato i frutti del suo lavoro di “artista”, che a noi sembravano piuttosto orribili, ci guardava, inclinava leggermente la testa da un lato e aspettava che esplodessimo in complimenti epocali che arrivavano e puntualmente solo dai più falsi. Questi, ridendo sotto i baffi, sottolineavano la maestria dell’obbrobriosa esecuzione, con lodi finte quanto sperticate e sorrisi di condiscendenza per rendersi simpatici e ottenere crediti positivi durante le immancabili, future interrogazioni e prove di disegno.

L’ultimo anno la stessa professoressa decise di organizzare un incontro degli insegnanti con tutti gli alunni, una specie di pranzo d’addio che avrebbe potuto condire con lacrime sul tempo che passa e frasi fatte di circostanza caprina. Di solito la prof. sbagliava pure i congiuntivi, tanto che ci chiedevamo come avesse fatto a ottenere un posto fisso di insegnante, ma nel paese delle verità perpetue estrapolate solo a metà, era ed è ordinaria amministrazione far lavorare gente che non vale niente e far stare a riposo persone produttive, quindi la nostra, era una merviglia contenuta. Ascoltammo dunque il suo sproloquietto saccente sulla necessità di un’integrazione culturale extra-scolastica docenti-alunni, tra uno sbadiglio e un occhio alla campanella che non suonava mai. Dopo il giorno della magica integrazione tra due gap generazionali, la professoressa ebbe il gradito buon gusto di mandare a tutti gli invitati al magico incontro, un suo “ricordino”. Non si trattava della deiezione di un cane, ovviamente, ma ci andava vicino, era il ritrattino di ciascun alunno intervenuto alla festa. Tutti ebbero il ritratto tranne quelli che non erano andati alla festa stessa, me compresa, per sgarbo. Non consegnarci una sua opera, nella sua testa significava punirci, privarci sadicamente di un bene essenziale, di cui in realtà facemmo volenteri a meno.

Ci risparmiò la fatica di buttare la crosta nel secchio ma non gliel’abbiamo mai detto, o meglio, io volevo dirglielo, ma gli altri mi hanno fermato, convincendomi a lasciar perdere.

A questo punto la domanda sorge spontanea.

Qual e il limite vero della sincerità?

Secondo Tocqueville la finzione è il solo punto immobile del cuore umano.

Fino a che punto bisogna spingersi allora nell’esprimere le proprie idee?

Dove finisce la nostra libertà di critica e la sensibilità altrui?

È giusto mentire sapendo di farlo, per ottenere magari dei vantaggi?

Secondo me no.

Il finzionalismo invece pensa che la finzione rappresenti un certo grado di realtà in virtù di un dato valore utilitario e pratico della finzione.

Occorre fare attenzione però a due tipi diversi di finzione. La falsità che consiste nel mentire per fini utilitari e la finzione creativa che, invece, consiste nell’inventarsi delle storie per dire la verità. La prima forma di finzione è decisamente negativa, la seconda positiva, perché la prima ha come fine il falso attraverso il falso, la secondo il vero attraverso il falso.

La letteratura e l’arte in genere sono le uniche forme di finzioni positive, proprio per questo loro carattere di fondamentale verità che le contraddistingue. Senza storia inventata non c’è movimento, e senza movimento non c’è pensiero e senza pensiero non c’è verità.

I cosiddetti artisti però, e non solo loro, spesso non riescono a tracciare bene la distinzione tra finzione-falsità (che porta alla contraffazione della realtà), e finzione scenica o letteraria (che porta alla enucleazione di una verità o di una tesi filosofica fondamentale). Così confondono l’opportunità di farsi avanti lodando ingiustificatamente, con la finzione positiva, escludendo dal loro modus operandi da serpenti a sonagli tesi, chiunque non segua le loro stesse regole. Parola d’ordine mentire e dire che la palla è quadrata anche se si vede benissimo che è tonda, solo perché in quel dato momento storico-esistenziale, è utile e produttivo, cianciare sulla sfericità della palla.

In una posizione intermedia invece si collocano gli omertosi, quelli che tacciono sempre o se parlano lo fanno in modo politicamente corretto, senza mai esprimere un parere diretto. Sono i pavidi, più carrieristi e subdoli degli stessi mentitori.

Il loro movimento di pensiero calibrato e vivisezionato, l’atteggiamento perdente e scadente nella mediocrità ha inevitabilmente conseguenze sulla loro produzione artistica. Se metti in primo piano nella tua vita la menzogna, non puoi mentire dicendo la verità. L’arte si plastifica, diventa convenzionale, stereotipata, ricalcata su modelli vincenti precedenti. La cecità raggiunge il parossismo con l’intolleranza più totale alla critica, alla discussione. Le famose frasi “l’arte non si discute, non si spiega”, nascono da un approccio negativo e divistico che si autoincensa in ipotesi di successo che brilla di luce riflessa.

Meglio rischiare un fallimento vero dicendo la verità attraverso la finzione dell’arte, che un successo posticcio mentendo per mentire e salire sul podio dei reucci fatti a macchina dalla multinazionale della banalità.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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