Contro le giornate mondiali della memoria e non©

Contro le giornate mondiali della memoria e non©

Di Mary Blindflowers©

Per il concerto, credit Mary Blindflowers©

 

Le giornate mondiali mi danno noia, da sempre, e per svariati ordini di motivi.

Il fiorire perpetuo e insistente di giornate di questo e di quello, della memoria, della Nutella, della lentezza, del sorriso e del riso, del mazzo e del lazzo, mi urta letteralmente i nervi, primo per la frequenza e la facilità con cui vengono istituite queste rimembranze o celebrazioni solo all’apparenza puramente emotive; secondo perché l’emozione che veicolano è priva di qualunque riflessione profonda, è un’emozione di massa, fittizia, come la moda del momento, perciò una finzione da post-cristianesimo mitizzante e tendente alla falsa apparenza.

C’è una giornata mondiale per tutto, per le donne, per gli uomini, per gli animali, i minerali, i concetti metafisici e astratti, i gruppi etnici, il cibo, i sentimenti, etc.

Ovviamente le multinazionali sono contente perché possono vendere il gadget adatto per la particolare occasione.

Le istituzioni sono felici, perché indirizzano le persone verso una determinata direzione che ritengono positiva e poi fanno anche una bella figura democratica, organizzando eventi, mettendosi in mostra. Se poi questi eventi sono in realtà totalmente irriflessivi poco importa, l’importante è che ufficialmente la coscienza sia monda, pura e cristallina come acqua di fonte. L’importante è che il popolo risponda positivamente.

La solidarietà finta piace a tutti, aiuta a vivere meglio, a dirsi davanti allo specchio di essere ottimi esseri umani, persone per bene, che non dimenticano i drammi della storia e magari vanno al concertino musicale organizzato apposta per ricordare la specifica occasione, oppure ascoltano il politico che, cogliendo la palla al balzo, lamenta la mancanza di memoria storica nelle nuove generazioni, sottolineando che ovviamente solo il suo gruppo risolverà tutti i problemi, perché è democratico, solidale, generoso, buono, onesto, etc.

Le giornate della memoria servono solo al business, alla politica e all’arte della banalizzazione, nonché a quei poetucoli che, spinti dall’emozione del momento e dal desiderio di rendersi simpatici a tutti i costi, improvvisano versi a tema che spesso fanno pena, per far dire a tutti: “ma come siete impegnati e sensibili, come siete bravi e consapevoli”.

Le immagini di queste poesie sono per lo più stereotipate, ricalcate dalle descrizioni dei libri studiati a scuola, i temi sempre gli stessi. Si avverte lontano un miglio l’indifferenza reale dello scrivente, la mancata vera partecipazione che è solo simulata per acquisire consensi.

Ebbene è tutto un bluff! I poeti, o quantomeno coloro che si autodefiniscono tali, non sono affatto sensibili, sono come tutti gli altri, se non peggio. Sono simili ai politici che strumentalizzano anche l’aria che respirano, cercando di mostrare al mondo un lato artificialmente costruito, splendido splendente. Mentre scrivono le loro poesie sulla fame, gli scrittori della borghesia mangiano nei loro salottini bon bon e bevono champagne; mentre tuonano contro la guerra, vanno a scaricare la vescica sulle aiuole del vicino senza farsi vedere da nessuno, oppure mandano il cameriere a espletare il compito. I poeti poveri invece sperano con le loro poesie a tema, postate nei tempi giusti magari sui social, di essere notati da qualcuno che conta, e che, nel giorno della memoria, si ricordi, oltre che della storia, anche di loro. Alle brutte ci pensano gli amici a mettere i like, colpiti dalla loro grande sensibilità.

I poeti sono come gli attori che vanno a stringere la mano ai bambini dell’Africa per farsi pubblicità, dicendo di aver donato loro una grossa somma, sorridendo ai fans con i loro denti bianchi e finti.

Scrive Elena Loewenthal nel suo libro Contro il giorno della memoria: Io rinnego il GdM (giorno della Memoria): non mi appartiene, non gli appartengo, non riguarda me e la mia, di memoria. La mia memoria non comunica: è soltanto la avvilente consapevolezza di una distanza minima, ma insormontabile. Io che sono nata poco dopo che tutto era finito, che sono vissuta circondata da quel passato, da quei ricordi – per lo più pestati sotto il tallone del silenzio, non per rimuovere quel passato, ma perché per tornare a vivere era fondamentale non lasciarlo parlare, almeno per un po’ di tempo – so per certo un’unica cosa, di quella memoria: che non potrò mai nemmeno lontanamente sentire quello che ha sentito chi è stato dentro quel tempo, quelle cose. Malgrado la mia vicinanza estrema e quotidiana, provo una frustrazione terribile che è la conseguenza di una distanza minima, ma insormontabile… il GdM è diventato un pretesto per sfogare il peggio”.

Come darle torto?

L’uomo è maestro nell’arte della finzione e della manipolazione. Ogni occasione è buona.

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