Dante risponde ai Fedeli d’Amore (parte I)

Dante, Fedeli d'Amore (parte I)

Dante risponde ai Fedeli d’Amore (parte I)

 

Fiat Lux, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Dante risponde ai Fedeli d’Amore (parte I)

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Scrive Luigi Valli ne Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore»:

Gabriele Rossetti nelle sue opere, scritte tra il 1826 e il 1847, poneva la tesi arditissima e inaudita che tutta la poesia d’amore di Dante e dei suoi amici fosse costruita secondo un gergo convenzionale e che, sotto la finzione dell’amore per la donna, nascondesse le idee iniziatiche di una setta segreta che aveva speciali intenti politici e religiosi. Come il Caetani dopo la prima intuizione del Foscolo aveva posto saldamente un punto dell’interpretazione della Divina Commedia, così Francesco Perez nel 1865 fissava un punto dell’interpretazione della poesia d’amore, dimostrando limpidamente che il De Vita Nova di Dante è racconto mistico e simbolico nel quale si parla, non della moglie di Simone de’ Bardi, ma della mistica «Sapienza», della donna stessa della quale si parla nella Sapienza di Salomone e nel Cantico dei Cantici”(1).

Nel 1925 René Guenon dà alle stampe L’esoterismo di Dante in cui sostiene che l’opera dantesca è ermetica, ricca di simboli massonici e di riferimenti iniziatici che denunciano la sua appartenenza alla dottrina segreta dei Fedeli d’amore, interlocutore privilegiato di Dante nel De Vita Nova. Precisa infatti lo stesso poeta: “Con l’aggiunta dell’altre rime dal poeta scritte sia per il suo stesso piacimento, sia per replicare ad altrui sollecitazioni, che siano esse al medesimo Dante dirette o generalmente al mondo”.

E quelle generiche, allusive, misteriose, “altrui sollecitazioni”, quel “mondo”, a cui il poeta risponde per le rime, mediante la figura di Beatrice, attraverso un suo linguaggio costruito di simboli e iterazioni numeriche, sarebbero quindi segreti di iniziazione. Il De Vita Nova descriverebbe le tappe di un’illuminazione, dalla chiamata, attraverso l’esperienza della bellezza di Beatrice che il poeta vede a nove anni, fino al tentativo da parte della Chiesa corrotta, nelle spoglie di Lisetta, di trarre Dante fuori dalla setta d’Amore, tentativo non riuscito, a disdoro della sfrontata donnetta.

Ma chi erano o meglio chi si suppone che fossero i Fedeli d’Amore?

Sicuramente Stilnovisti, ma non solo… La parola Amore non andrebbe intesa in senso profano o romantico, perché sottintenderebbe invece un’esperienza mistica e profondamente religiosa. Dice Giovanni Villani nella sua Cronica del 1308, che durante la festa di San Giovanni nella Firenze del giugno 1283 sfilò “una nobile corte vestita di bianco dietro un signore detto dell’Amore”(2).

Una setta ereticale? Una confraternita? Una loggia con tendenze antipapali e ghibelline? Un movimento ermetico di stampo massonico?

Guénon trova corrispondenze tra Fedeli d’amore e temi del sufismo islamico. Le dame celebrate dagli stilnovisti non sarebbero donne in carne ed ossa, realmente identificabili con figure femminili reali, ma rappresenterebbero tutte la stessa “Dama”, celata sotto diversi nomi, ossia l’intelligenza trascendente. Anche Ibn ‘Arabî celebra nella donna una figura teofanica. “La giovane figlia Sophia fu per ‘Arabî ciò che Beatrice fu per Dante”(3). Secondo Henry Corbin gli ‘Oshshâq mistici iraniani e i Fedeli d’Amore, professavano infatti una “religione segreta”.

Evola parla di milizia ghibellina e di movimento esoterico superiore ai Catari, Guénon scorge l’influenza islamica e l’affiliazione ai templari, il Valli associa i Fedeli d’Amore ai Rosa-Croce. Il plagiario Eugene Aroux (4) e Joséphin Péladan sostengono l’ipotesi di un Dante aderente ad una setta di stampo eretico-albigese. Péladan rimane letteralmente incantato dal poeta fiorentino e parla di enigma immenso: “Homère de l’ère chrétienne, c’est le plus grand de toutes les poètes. La Vita Nuova se présent à nous, par sa date, comme le premier mot d’un immense énigme… Amoreux-fidèles… cette appellation désigne non une catégorie flottant des soupirants, mais une secte…”(5).

Scrive Luciano Pirrotta: “Nella molteplicità degli approcci critici come nella diversità dei loro esiti, emergono alcuni punti fermi sui quali tutti questi autori sembrano concordare: I Fedeli d’Amore costituivano una società segreta impiegante un linguaggio che si articolava su un duplice binario semantico: quello essoterico della poesia e trattatistica amoroso-galante del tempo, e quello esoterico del messaggio iniziatico-politico per la cerchia ristretta di chi sapeva intendere”. Alla setta sarebbero appartenuti non solo Dante, Cavalcanti, Guinizzelli, Cino da Pistoia ma anche Dino Compagni, Giovanni Villani, Francesco da Barberino, Cecco d’ Ascoli; come dire il fior fiore della cultura letteraria italiana dal XIII al XIV secolo.

Che ipotesi del genere non fossero completamente infondate e prive di agganci plausibili, secondo taluni sarebbe dimostrato dal fatto che lo stesso mondo accademico, nella persona di alcuni suoi rappresentanti, non rimase indenne da certe suggestioni, come se poi il mondo accademico fosse infallibile (e non lo è per nulla!) Solo per rimanere all’Italia, basti ricordare nel secolo scorso Francesco Paolo Perez, titolare di letteratura italiana a Palermo, poi senatore e ministro, che nel 1865 diede alle stampe la Beatrice Svelata, e Giovanni Pascoli, che influenzato dalle sue letture mistico-occultistiche pubblicò nel 1898 Minerva oscura, poi Sotto il velame e La mirabile visione.

Scrive il Perez a proposito della Beatrice che la critica ufficiale scambia con la figlia del Portinari: “Ne’ manoscritti che s’hanno della Vita Nuova, né più antichi di certo, la parola beatrice non ha l’iniziale maiuscola che poi, commentando, vi apposero gli editori. So bene che la ortografia di quel tempo non distingue bene per iniziale maiuscola i nomi propri, ma appunto per questo io credo che non fosse lecito agli editori alterare la forma grafica di quella parola. Iniziandola per maiuscola vennero ad eliminare l’ambiguità che presenta né manoscritti, mercé cui, sotto il rapporto grafico, si può ritenere o come un semplice aggettivo esprimente l’atto della cosa o della persona che bea (beatrice) o come nome proprio di donna (Beatrice). Nelle stampe, ripeto, l’ambiguità fu fatta sparire, costringendo a leggervi non altro che un nome e in nessun caso un aggettivo verbale”.

Poi esamina la parola donna che ai tempi dell’Alighieri significava ancora domina, dominatrice, dato che soltanto successivamente il vocabolo donna assunse il significato di femmina. Dunque leggendo Beatrice e donna il lettore non deve incorrere nel facile errore di leggervi un nome e femmina, potendo la prima esprime la qualità della cosa o persona che bea, l’altra la qualità di chi signoreggia. Ai critici cattolici che interpretano i versi di Dante sulla morte di Beatrice dicendo che essa è morta nello splendore della sua verginità, il Perez ricorda che nel 1287 Messer Folco Portinari fece un lascito a Madonna Beatrice, sua figlia, moglie di Simone De Bardi. Allora come fanno i critici come Ozanam (6), che sostengono che la Vita Nuova è la storia degli amori di Dante e della figlia di messer Folco Portinari, a giustificare la morte di Beatrice nel 1290 “in tutto lo splendore della purezza e della verginità?”(7).

Ma l’ambiente universitario ortodosso, in mancanza di una documentazione storica probante, posto di fronte alla scarsa filologia (surrogata da un’abbondante ideologia) di molti fra questi esegeti, se lascia cadere nel silenzio le “scoperte” degli esoteristi su Dante e i Fedeli d’Amore (a volte anche per sostanziale ignoranza di alcuni testi in materia), non può tollerare che fra le sue stesse file si coltivino “fumose fantasticherie”. Avviene così che alla presentazione del volume Minerva oscura all’Accademia dei Lincei, presidente di commissione il Carducci, questi deplorerà le presunte novità scoperte dal Pascoli, rimproverandogli la scarsa conoscenza della vasta critica esistente sull’opera dantesca. E il Croce, sempre implacabile contro ogni tendenza misticheggiante, bollerà il secondo volume pascoliano Sotto il velame (fra i più cari al cuore del suo autore) come «singolare aberrazione»”(8).

Eppure la lettura del testo dantesco rimanda continuamente a simboli iniziatici, che fanno pensare ad un doppio registro, letterario-poetico e iniziatico-esoterico, per pochi. De Vita nova, il titolo stesso allude ad un nuovo percorso, tema ricorrente nelle religioni misteriche, nella massoneria e in tutte le filosofie esoteriche. La donna schermo è l’espediente per celare ai profani verità oscure, deviando la vista verso mete soltanto apparenti. Scrive nel capitolo XIV: “questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele d’Amore; e a coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole”. Soltanto gli iniziati possono comprendere il senso oscuro di certe parole. È appunto agli iniziati che Dante risponde nel De Vita Nova, alludendo alle tappe del suo ingresso nei Fedeli D’amore. Scrive infatti a proposito del sonetto di apertura, nel capitolo III: “propuosi di fare uno sonetto, ne lo quale io salutassi tutti li fedeli d’Amore; e pregandoli che giudicassero la mia visione, scrissi a loro ciò che io avea nel mio sonno veduto. E cominciai allora questo sonetto, lo quale comincia: “A ciascun’alma presa”… a cui rispose il primo degli amici, interlocutore privilegiato, Guido Cavalcanti, con “Vedesti al mio parere omne valore”. Si interagisce alla maniera medioevale e platonica, ossia tramite un linguaggio che gli interlocutori sanno decifrare, mediante una minima indicazione, mentre gli altri comuni mortali, pensano di aver capito, ma non sanno cosa si celi veramente dietro la comunicazione scritta di sogni, visioni e allegorie.

Inutile poi negare le implicazioni mistiche del numero fortemente simbolico, che ricorre in continuazione nell’opera e che rimanda ad un alto misticismo esoterico.

Note:

1 Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore», Luni Editrice, Milano, 1994, parte prima, dalla prefazione.

2 (Lib. VII, cap. LXXXIX).

3 H, Corbin, L’immaginazione creatrice, le radici del sufismo, Laterza, 2005, p. 47

4 In Francia la tesi di un Dante eretico è stata divulgata dal plagiario Eugenio Aroux, pubblicando a nome suo, le opere del Rossetti in fin di vita a Londra, e a cui ebbe accesso perché era il suo editore. Scrive l’Aroux in Chiave della Commedia anticattolica di Dante, Carmagnola, Arktos, 1981, p. 13, alla voce Beatrice: “la parola-pensiero, la sua fede settaria, il suo animo e il suo spirito personificato. Ennoia che riunisce sotto questo nome-epiteto gli attributi della ragione, della verità e della libertà. La stessa sotto i nomi diversi di Laura, Lucia, Fiammetta, della Stella d’Oriente o di Siria, del fiore o della rosa per eccellenza, con tutti gli epiteti che poteva ispirare l’enfasi mistica ai fedeli d’Amore. Conformemente alla formula rituale dei massoni, io ho pianto e riso, Beatrice piange nell’Inferno e nel Purgatorio, mentre è raggiante di gioia nel Paradiso, dove il suo riso non cessa di farla risplendere”.

5 Joséphin Péladan, Les idées et les formes, in La doctrine de Dante, Sansot, Paris, 1908, pp. 6, 13.

6 Dante et la philosophie catholique au treizième siècle, par M.A.F. Ozanan, Louvain, Chez C.J. Fonteyn, 1847, cap. IV.

7 La Beatrice svelata, preparazione all’intelligenza di tutte le opere di Dante Alighieri, per Francesco Perez, Palermo, 1865, pp. 80 e ss.

8 Articolo apparso sulla rivista Abstracta n° 12 (febbraio 1987) pp. 16-23.

 

(Stralcio tratto da M. Blindflowers, Dante risponde ai Fedeli d’Amore, quello che le scuole non dicono, in De Vita Nova e le rime tutte, Nettarget Edizioni, 2015).

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