Pirandello relativista? Non scherziamo!

Pirandello relativista? Non scherziamo!

Pirandello relativista? Non scherziamo!

 

Luigi Pirandello? Niente relativismo

Trame, credit Mary Blindflowers©

 

Pierfranco Bruni©

Luigi Pirandello? Niente relativismo.

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Relativista Pirandello? Cerchiamo di essere seri! I luoghi dell’essere sono i luoghi del tempo. Chi ha i luoghi nella geografia dell’essere ed ha come riferimento le radici non può essere considerato relativista. Il relativismo non può essere una porta aperte per chi fa delle radici delle verità assolute. I luoghi sono i luoghi che fanno della parola un immenso universale. Ovvero una metafisica. Un indefinito.
La Sicilia per Pirandello, la Calabria per Alvaro, il Piemonte per Pavese, la Sardegna per Deledda, la Liguria per Caproni, la Toscana per Pratolini, Napoli per Eduardo De Filippo. Soltanto esempi. Ma ci sono precise indicazioni che creano una ragnatela di suggerimenti onirici. I luoghi di Pirandello sono nel cerchio magico delle immagini – metafore.
Siamo personaggi o Pirandello ci ha reso pubblico? Ma che importa? Cristo ci offre il pane. Si prega. Il sacerdote dice: Cristo è Risorto. La piazza è una stretta di mani. La piazza è negli abbracci. È il luogo. Il radicamento. Dove ci sono radici c’è l’assoluto. Non c’è relativismo.
Perché è necessario contestualizzare un Novecento nelle cui opere di Pirandello il senso del tempo è una griglia simbolica e metaforica?
Pirandello è un Novecento che non smette di essere tale sia sul piano prettamente letterario che su quello antropologico. Anche sul piano antropologico (antropos) non può esserci relativismo.
La dimensione letteraria si gioca strettamente sui personaggi che campeggiano nelle sue opere (come avviene nel Pirandello tanto amato e studiato da Corrado Alvaro), perché sono i personaggi che creano e strutturano il racconto.
Nel 1934, in occasione del Nobel a Pirandello, Alvaro dirà: “La sua lingua, al principio ripicchiata e di vocabolario, diviene nel meglio della sua opera un modo d’esprimersi naturale, come si esprimono gli elementi nella luce; le sue manie a un certo punto investono l’uomo e divengono rimpianti di angeli decaduti, incubi, segni del destino. Tanto è vero che non c’è grande poeta senza idee fisse”.
Il legame tra Alvaro e Pirandello è abbastanza consistente. Proprio sul piano di una tesi relativista. Alvaro ha le sue radici che sono appartenenza. Così Pirandello si scontra con il concetto di relativo perché ha delle eredità assolute che lo introducono sia in una volontà di potenza che in una verità dalla quale non si prescinde. La terra – madre- la madre – sangue.
Per Alvaro si pensi a quell’uomo che vive il suo “labirinto” all’interno di un viaggio che ha una sua geografia, ma ha anche una sua insistenza metaforica. Lo scrittore usa il linguaggio non per descrive soltanto, bensì per far vivere dimensioni metaforiche che hanno percorsi esistenziali ed onirici.
Il sogno e la vita sono in Alvaro e in Pirandello come chiave interpretativa letteraria che pone al centro l’uomo il destino l’avventura. Il labirinto per Alvaro. Il teatro come vita in Pirandello.
L’aspetto antropologico, per entrambi, è dentro la letteratura – vita. Non si tratta comunque di una antropologia dell’indagine (sarebbe sociologia). Piuttosto di una antropologia del viaggiare e dell’osservare.
La strategia del viaggio in Alvaro costituisce un dato essenziale. Legata al mito, alla grecità soprattutto, ma anche all’Oriente, una tale strategia fa dire che “la favola della vita mi interessa più della vita. La favola della vita cosa è? È il mito. In Pirandello la fabula è nella verità della sua Girgenti che resterà sino all’incontro con la madre morte.
Nella sua opera Alvaro ricorre spesso all’allegoria del labirinto. Tale allegoria si intreccia con una ulteriore metafora che è quella della maschera.
Sul tema della maschera e anche dell’assurdo vi campeggia la lezione di Pirandello.
Il Pirandello tanto amato da Alvaro e sul quale ha dedicato scritti importanti come l’Introduzione alle “Novelle”. Un Pirandello amico e amato.
Scriverà il 22 12 del 1946 sul “Corriere della Sera”, e poi nella Introduzione alle “Novelle”: “Credo sia triste, per uno scrittore quando termina l’età della lotta, e il pubblico festeggia ciò che un tempo avrebbe rifiutato, come riparando all’errore di non aver capito molte volte, e forse scontando per quello che poi dimenticherà. Non so se Pirandello lo avvertisse. Ma in quei giorni era inquieto. Pensava di trasferirsi a Milano, o di andare a lavorare in una stanza qualunque a Parigi. Invece si ammalò. Lo vidi proprio quel giorno che tornava dall’avere assistito in un teatro di posa alla ripresa d’un film tratto da un suo dramma; aveva i brividi, camminava su e giù per lo studio, impaziente come tutte le volte che subiva un contrattempo. Gli stavano preparando il letto. In quel letto pochi giorni dopo moriva.
“Non ero andato neppure a trovarlo durante la sua malattia, che fu breve, perché mi dicevano che scherzava, si burlava del medico, si burlava delle medicine. Una mattina, quella mattina, m’ero levato presto. Sentimmo uno schianto in casa, come un mobile che si spacca pel caldo; cercammo dappertutto, non si era rotto niente, non era caduto niente. Qualche minuto dopo, una voce piangente al telefono ci diceva che Pirandello era morto in quel momento. Fummo sicuri che quello schianto era stato un suo avviso, come se avesse picchiato forte chissà a quale porta. Chi telefonava era la sua nuora Olinda, con la voce del pianto che non si conosce mai nelle persone, ci diceva di telefonare a un prete nostro amico e letterato perché corresse, e che corressimo anche noi”.
Una riflessione non solo sull’opera pirandelliana quanto su una comparazione tra l’io alvariano scrittore e il noi pirandelliano dentro i riflessi di uno specchio che pongono da una parte il labirinto e dall’altro la recita e la finzione per tentare di aggrapparsi ai capelli di Arianna.
Una metafora? Viviamo di metafore. Alvaro nasce poeta e nasce con il linguaggio del viaggiatore, le sue poesie che hanno il vestito grigioverde sono lì per essere comprese, e delle frontiere da superare e continua questo suo percorso con il pensiero – riferimento che è dato dal comprendere il concetto di labirinto che diventa inafferrabile, poi l’Aspromonte e la sua gente e il resto è un immaginario in cui la geografia fisica si trasforma in una grammatica della metafisica proprio andando alla ricerca dei Mediterranei oltre la sua terra.
Pirandello nasce anch’esso poeta e fa della sua poesia il viaggiare tra i luoghi di civiltà che depositano memoria e storia nel Mediterraneo. Quel Mediterraneo che sarà al centro di un paesaggio onirico e reale delle sue prime poesie. Un Mediterraneo delle etnie sommerse vive nel Pirandello della magia e nell’Alvaro del viaggio.
Per Pirandello e Alvaro il Mediterraneo resta indefinibile ed infinito, ma è un viaggio che non smette di viaggiare tra i cerchi e i fili che permettono di oltrepassare le linee dei mari. Questa è antropologia nella letteratura. Ed è appunto questa metafora che diventa pirandellianamente un ulissismo in cui quel Nessuno ha il volto dell’infinito viaggiatore che tocca Itaca e ritorna tra i mari di Dante a sorseggiare la vita e la morte portandosi dentro la cecità di Omero.
Perché per poter condividere la vita e la morte in un tempo immenso bisogna essere vissuti come Omero. E Pirandello e Alvaro ciò lo sapevano molto bene. Perché ad Omero devono la contraddizione del relativismo. In loro il viaggio diventa illuminazione illuminante e il loro itinerario è il percorrere le isole del proprio coesistere con il mare e la terra tra i sogni senza mai disubbidire alla realtà che non è dentro la letteratura ma dentro la vita che si consegna a un kafkiano disegno che è quello della recita oltre il teatro dell’esistere.
Musil disegna l’inadeguatezza dell’uomo definendolo senza qualità. Dostoewskij lo aveva collocato nel “sottosuolo”. Proust nel tempo perduto e ritrovato. Pirandello nella maschera. Zambrano nella confessione. Alvaro porta dentro il personaggio il labirinto in una chiave interpretativa greco – latina. ovvero Mediterranea.
Il labirintico senso delle metafore è nel vivere la letteratura come un viaggio percettibile e indecifrabile. Da qui nasce la letteratura della riflessione. Ed è una lezione pirandelliana, la riflessione, come anche il “sentimento del contrario”.
Il viaggiare in Pirandello e Alvaro, è stato un fissare il linguaggio sulla riflessione di una antropologia delle etnie della parola, osservando, ascoltando, impastandosi con il sentiero – sentimento del contrario. Il sentimento del contrario è, appunto, la dissolvenza del relativo. Ogni memoria ha il suo senso di assoluto.
Fa della sua idea politica una filosofia. Il suo Fascismo, nel 1924, è nella tradizione di un pensiero filosofico.
Sia Pirandello che Alvaro sono dentro le radici che fanno del loro camminare, tra le parole e i linguaggi, un assoluto dell’esistere nella metafisica del non dimenticato. In Pirandello e in Alvaro la dissolvenza del relativismo è nella certezza delle radici e sono le radici che diventano rivelanti modelli ontologici. Dove c’è metafisica non c’è relativismo. Pirandello non è mai stato relativista. La Sicilia è l’assoluto nell’universale. La madre è l’humus radicante. Il resto è teatro. Ma l’uomo e il personaggio sono la metafisica dell’esistenza.

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