Cinquanta sfumature di niente©

Cinquanta sfumature di niente©

Di Annamaria Bortolan©

Cinquanta rotture di tasti, credit Mary Blindflowers©

 

Lui vuole lei per i suoi sfizi, lei vuole lui ma non con tutti quegli sfizi. Lei lo ama e non può resistergli, lei si strugge e si allontana, lui non vuole rinunciare ad esercitare un potere sessuale su di lei e sembra persino disposto a ridefinire i termini dello scabroso contratto erotico che le propone, lei continua a pensare a lui e finisce per cedere ancora… Sembra la trama di una scadente commedia sentimentale in chiave contemporanea, invece è del fenomeno editoriale di qualche anno fa che stiamo parlando. Le cinquanta sfumature in tutte le loro gradazioni di colore imperversano sul grande schermo e nelle librerie di mezzo mondo.

Una boiata. Consentiteci questo termine. Una solenne boiata.

Anche gli autori più pedestri sanno che per imbarcarsi in una storia dove il protagonista è un maniaco bisogna informarsi dal punto di vista psicologico ben più approfonditamente di quanto abbia fatto E. L. James creando una trama rarefatta in cui l’antieroe di turno ha dalla sua le irresistibili armi della bellezza e del denaro. Punto. Altri pregi non possiede e c’è da chiedersi come un simile personaggio abbia potuto esercitare una così potente attrazione sull’immaginario femminile.

Qualcuno, leggendo questo articolo, penserà che chi lo scrive sia in preda all’invidia. Invidia dei soldi a palate che la James ha visto riversare copiosamente nei suoi forzieri londinesi. Invece è incredulità mista a sdegno.

Abbiamo provato, sull’esempio di Milan Kundera, a tracciare il codice esistenziale di Mr Grey. Abbiamo provato a scrutare Ana per capire se l’autrice fosse riuscita ad andare fino in fondo alla sua problematica esistenziale. Abbiamo provato, con quel poco di pazienza che ci è rimasta, a considerare l’opera nel suo complesso, senza fissarci sulle sfumature di fastidio che si insinuano durante la lettura. E abbiamo concluso che l’unica cosa sensata da fare con un libro del genere sia strapparne le poche pagine bianche che seguono la copertina, utilizzarle per gli appunti personali e buttare il resto nella raccolta differenziata. Difficilmente recuperabile un testo così.

Non abbiamo trovato una sola frase degna di menzione, non un momento di pathos o di ilarità che compensino un impianto narrativo debole. Ancora invidia, penserà qualcun altro. No, solo e di nuovo fastidio che dipende dalla constatazione che all’autore emergente in Italia viene richiesta una perfezione di struttura e di stile che non è di questo mondo, mentre con le traduzioni di best sellers del mercato anglosassone tutte le considerazioni possibili circa la buona letteratura scompaiono, restando solo quelle relative agli incassi.

Per capirci, vediamo di fare qualche esempio concreto, tratto dal romanzo Cinquanta sfumature di nero di E L James, edito da Mondadori:

Da una parte ci sono un tavolo e una panca rivestita di pelle azzurra, che può ospitare almeno otto persone. Lancio un’occhiata verso l’interno della cabina, e sobbalzo, turbata, nel vedere qualcuno. Un uomo alto e biondo apre le porte scorrevoli ed esce: è abbronzato, e ha i capelli ricci e gli occhi castani. Indossa una polo a maniche corte rosa pallido, calzoncini e scarpe da barca. Deve avere una trentina d’anni.” (Pag. 238).

Perché non ci piace questa citazione? Ci sono varie imperfezioni. In primo luogo la virgola dopo la parola “cabina” poteva essere omessa senza danno, così come quella posta dopo il termine “abbronzato”. In secondo luogo la descrizione del personaggio sembra uscita da un’esercitazione di narrativa di uno studente alle prime armi. È un vero e proprio elenco: alto, biondo, abbronzato, capelli ricci, occhi castani, la polo a maniche corte rosa pallido, calzoncini e scarpe da barca, l’età approssimativa. Un identikit per un ricercato pericoloso. Se tutte queste descrizioni vanno date (rispettiamo la volontà dell’autrice) che vengano diluite e inquadrate poco alla volta, attraverso un gesto, uno sguardo. Cosa è più importante? Un’occhiata lanciata in un certo modo o le scarpe da barca? E tanto più che se si trova a bordo di un natante, non è cosa strana né degna di nota il fatto che le scarpe siano adatte all’ambiente. Se avesse indossato un paio di scarpette rosa shocking con il tacco a spillo, ci sarebbe stato il motivo di una tale puntualizzazione.

Cerchiamo qualche altro brano da commentare:

Avvampo. È come se avesse una linea erotica diretta con la mia dea interiore, il che, ovviamente è vero. È una cosa assai sconveniente, a volte. Mi fisso le mani.” (Pag. 232).

Se è vero, perché non scrivere, ad esempio: “Avvampo. La linea erotica diretta che ci tiene in contatto è attivata. Mi fisso le mani con imbarazzo. La mia dea interiore mi sussurra che è una cosa sconveniente… eppure, anche se a volte è così, in questo momento non conta”. Perché non tentare di trasformare un telegramma in un brano narrativo?

Leggiamo infine un ultimo brano:

Lui è tornato. La mamma sta dormendo o sta di nuovo male. Io mi nascondo, rannicchiandomi sotto il tavolo della cucina. Attraverso le dita riesco a vedere la mamma. Dorme sul divano. Tiene la mano sul tappeto verde appiccicoso. Lui indossa gli stivaloni con la fibbia lucente e si china su di lei urlando. Picchia la mamma con una cintura.” (Pag. 9).

Segue una serie di insulti ripetuti e poi “la mamma singhiozza. “Fermati. Per favore, fermati.” La mamma non urla. La mamma si raggomitola facendosi piccola piccola.” (Idem).

Non è che ripetendo la parola mamma o il verbo dormire si crea automaticamente una suspence nel lettore. Se chi legge non è un asino, è facile che noti come l’idea iniziale di mostrare la scena attraverso le dita di chi osserva si sia persa nel nulla. Sbirciando da sotto un tavolo, la protagonista nota la fibbia degli stivali di quell’uomo, e va bene, ma la voce? Non dovrebbe essere la voce a suggerire nel lettore l’identità di quel bruto? Forse non sarebbe nemmeno necessario specificare che è lui a indossare quel particolare tipo di calzature, il lettore potrebbe intuirlo da solo attraverso la stessa descrizione di quella porzione di stivale vista da lì sotto. Ma quella voce che avremmo voluto ascoltare, non la sentiamo proprio.

Potremmo continuare all’infinito con le critiche e con le citazioni. O quasi, visto che per scelta abbiamo voluto escludere le pagine piccanti o volgari. E, tolte quelle, resta davvero poco.

Comment (1)

  1. Rita

    La chiave del successo, in questo secolo buio, è la volgarità. Così si spiega

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