Quando la borghesia viaggia e tedia

Quando la borghesia viaggia e tedia

Quando la borghesia viaggia e tedia

Lucio Pistis©

Alberi morti e vuoti, credit Mary Blindflowers©

 

I ricchi borghesi viaggiano e visitano in lungo e in largo il pianeta per sentirsi come novelli pionieri descritti da Jack London o da Giulio Verne, alla ricerca di emozionanti avventure. Sapendo di essere figli di qualcuno in virtù del quale riescono a pubblicare coi grossi editori, gli snob-virgulti, rivolgendosi ad un pubblico ampio, fingono nostalgie da poveri, nonostante non siano mai stati poveri, parlano di cene improvvisate a base di sgombro in lattina, zuppe liofilizzate (che tra parentesi, oltre a fare schifo, costano pure tanto) e bottiglie d’olio che si aprono dentro lo zaino, con premi di birra calda e vino giunto a destinazione miracolosamente illeso.

I ricchi borghesi ci descrivono l’idioma affascinante dei viandanti, sostenendo che il mondo non è davvero così cattivo come sembra ad un primo sguardo superficiale, che ci sono persone disposte a regalarti frutta e altro durante il viaggio (qui il borghese si improvvisa accattone sull’onda del procedimento romantica simpatia da mendicanti). Poi passa a parlare della sua esperienza di padre, della sua amata “frugoletta”, del suo lavoro che diventa routine. Insomma il ricco si annoia, bisogna purgarsi col viaggio. Quale migliore occasione allora per scrivere un libro? Nasce così Il sogno del Drago, dodici settimane sul cammino di Santiago, autore Enrico Brizzi, editore Ponte alle Grazie, Firenze.

Lo scrivente va sul sicuro, è figlio di un professore universitario, qualsiasi cosa scriva, sia pur l’elenco del telefono, i grossi editori glielo pubblicano. Infatti è dai vent’anni che non scrive più nulla di appena presentabile, però pubblica lo stesso alla faccia di chi non è figlio di nessuno. Misteri dell’editoria italiana. Allora via col viaggio, non prima però di aver tediato il lettore con le proprie ansie paterne che non si comprende bene che valore letterario e universale possano avere, tra virgole mancate, linguaggio desueto e la comunicazione dell’accettazione di “troppi compromessi”: “Quella bimba sarebbe diventata grande un giorno alla volta man mano che i tuoi capelli si sarebbero fatti grigi e radi e l’idea di trovarti di fronte a lei trasformata in una ragazza curiosa bastava ad innescare domande di fronte alle quali non potevi fuggire: in che stato volevi presentarti al suo cospetto quando sarebbero cominciate a fiorire le sue curiosità sulla vita? Forte, autentico, orgoglioso o ridotto a un mestierante triste afflitto dai troppi compromessi accettati per tirare avanti la baracca?”

Lo “scrittore” così parte per scrivere il suo libro di viaggio. Una specie di guida turistica con la luce puntata sul suo stesso ego, infarcita di informazioni auto-compiacenti sulla sua vita e i suoi percorsi, manchevole oltretutto di tutti i dati presenti nelle vere guide turistiche. Un libro fastidioso in cui l’autore ci dice continuamente quello che ha fatto, ci comunica i suoi stati d’animo, si preoccupa di dirci i nomi dei compagni di viaggio, di descriverci i suoi incubi che arrivano quando la vita si fa precaria, il fallimento del proprio matrimonio. Poi, ciliegina su una torta guasta, arrivano gli intermezzi storici da quinta elementare che avrebbero lo scopo, nella mente contorta dell’autore, di spezzare la routine del ritmo narrativo, con pie notazioni da Bignami su Filippo Il Bello e Luigi XIV ad esempio, digressioni che chiunque può andare a leggersi su un libro di storia e che nel libro di Brizzi non sono state elaborate creativamente. Anche le notazioni di filosofia spiccia sulla trita e abusata etica del camminare o i dialoghi che sembrano usciti da un film di quarta categoria, infastidiscono, tanto che ti viene voglia di buttare il libro fuori dal balcone. C’è una saccenteria di fondo nella onnipresenza costante e ininterrotta dello scrivente all’interno del testo che ti fa pensare come possa essere ossessionato da se stesso mentre confessa come se fosse niente che per lui la scrittura è diventata arida routine.

Allora caro Brizzi, non scrivere solo perché gli editori ti pubblicano, la letteratura non ha davvero bisogno di te e anche io, che ingenuamente ho comprato il tuo libro, avrei potuto impiegare meglio i miei soldi.

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

 

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