“L’arte” a Milano tra corna e mutande appese©

“L’arte” a Milano tra corna e mutande appese©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Arte a Milano, la nuova beffa del sistema.

 

 

Posti due casi: il signor Nessuno prende una vecchia mutanda, la appende ad un muro con un chiodo e dice: “Questa è arte concettuale. La mutanda ricorda una delle vittime della seconda guerra mondiale, che perse la mutanda mentre la conducevano in un campo di concentramento”.

Nessuno darebbe credito al signor Nessuno, anzi, gli riderebbero in faccia e di gusto anche.

Poniamo ora il caso di un signor Qualcuno che dicesse: “Signori e signore, la vedete questa mutanda appesa al muro con un chiodo? Arte concettuale, in memoria di una delle vittime dell’olocausto che perse la mutanda durante il trasporto al campo di concentramento”.

Tutti sarebbero pronti a dar credito al Signor Qualcuno e gli farebbero fare esposizioni, gli darebbero uno spazio in una prestigiosa galleria d’arte.

La differenza oggi nell’arte non è data dalla qualità della produzione, bensì dal grado di conoscenze che permettono di esporre in ambienti più o meno prestigiosi.

Così accade nella mostra gratuita “Milano sculture”, organizzata nella Fabbrica del vapore, in via Procaccini 4, che ha espositori provenienti da varie gallerie d’arte, dal 17 al 19 novembre 2017. La mostra nasce per “valorizzare le arti plastiche”. Il curatore della Fiera è Valerio Dehò. Tra l’incredulità e lo stupore, possiamo ammirare un enorme corno rosso, simile a quelli venduti sulle bancarelle delle feste di paese, solo un po’ più grande. Poi ci sono dorate foglie adamitiche davanti a pudenda di statue, cuffie, padiglioni auricolari, minigonne, reggiseno, mutande, canottiere stese, manichini di donne pregne che partoriscono dita d’onore: ci domandiamo: “A sostanziare quale tipo di creazione fatta autonomamente, modellando con le proprie mani la materia prima?Questi contrabbandieri dell’arte ignorano l’etimo della parola, dal sanscrito ARTÌ, andare, mettere in moto, muoversi verso qualcuno, da cui, successivamente, aderire, attaccare, adattare, rintracciabile in moltissime parole greche come ἀραρίσκω. E poi ἀρμή, la compagine, l’unione, la sutura, ἀρμόζω, io adatto, io collego, ἄριστος, il migliore, l’eccellente, ἀρετή, la virtù e ancora parole mutuate in italiano come armonia, aritmetica, insomma la cosa ordinata ad uno scopo, l’attività umana manuale applicata alle produzioni della natura per i bisogni e i comodi della vita. I greci la chiamavano τέχνη e l’artista τέκτων, dal sanscrito TAKSAN, muovere in più direzioni, modellare, formare, preparare, mettere ordine, costruire, radice non estranea al latino e rintracciabile in parole come tela, textilis, textor. Ci chiediamo: “Questa oggettistica sparsa e già premodellata da altri e messa in bella (?) mostra, che impulso di autonoma forgia, adattamento e industria esprime? Eppure la chiamano arte, nonostante i facitori, gli artefici di essa siano altri e non coloro che l’hanno assemblata. Che cosa è stato arrangiato (parola estremamente semantica, se ricorre nel termine arrangiamento che in campo musicale indica la capacità di un artista di adattare gli accompagnamenti strumentistici più opportuni al motivo nudo creato da un altro autore) dalle mani proprie di coloro che le hanno raccattate (ché invero di veri accattoni si tratta!)? Nulla. Il nulla. Come ama dire la nostra amica Mary, men che nulla: siamo all’ipudenismo, al sub nichilismo della cultura!

Insomma qui c’è un po’ di tutto. Vi capiterà di passeggiare tra installazioni in vari materiali di fronte alle quali il cattivo gusto si scansa, pensando di aver perso il primato sul mondo. Sembra il retrobottega di un malato di mente che, andando per mercatini, ha raccolto pezzi di ferro, di plastica, pietre, mutande e ne ha fatto una mostra degli orrori per uomini senza qualità. A parte il dubbio gusto delle “opere”, ciò che dà più fastidio è il puerile quanto vergognoso tentativo, di spacciare l’orribile come utile per comunicare messaggi sulla difesa dei diritti delle donne, dei diritti umani in generale, attribuendo alla mondezza un valore di concetto forzato, atto, data la mancanza di talento, ad intenerire i cuori, con la favola buonista dell’artista impegnato. La verità è che simili artisti (?) non sono affatto impegnati, ma sostenuti da un sistema di casta che impoverisce l’arte e la depaupera a livello di “tutti possono fare arte”, basta avere le conoscenze giuste.

Così il mercato gira e i ricchi idioti che stanno all’arte come uno scarabeo stercorario al profumo, e si comprano paccottiglia di pessimo gusto, su suggerimento dei critici, che non mancano mai. L’arte è morta, dunque, seppelliamola.

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