Guglielmo Campione, poesie fulminate

Guglielmo Campione, poesie fulminate

Guglielmo Campione, poesie fulminate

 

Pomeriggio autunnale, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis©

Guglielmo Campione, poesie fulminate

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Il pomeriggio autunnale è uggioso, carico di vento, di foglie decomposte. Cambia il tempo. Il mio amico Sandro è dovuto andare in ospedale per una visita di controllo. Ogni tanto capita alla nostra età. Gli acciacchi si fanno sentire. Mi ha lasciato un volume con alcune poesie. Vuole un mio parere. Il poeta si chiama Guglielmo Campione. Il libro “Il lungo cammino del fulmine”, pubblicato con il Mio Libro. Leggo la sinossi: “Una raccolta di versi che testimonia un percorso nomade del pensiero e del cuore che parte dalle vicissitudini giovanili dell’amore e del disamore, passa attraverso l’amore come luogo privilegiato per interrogare il significato dell’esistenza e termina con l’aprirsi all’amore per il Divino. L’amore umano, dunque, occasione mondana e profana ma anche luogo psicologico di riflessione, di confronto con il Sacro, attraverso il dialogo con gli elementi empedoclei della Natura e la dimensione escatologica della Fine”.

Forse ripete troppe volte la parola amore per risultare accattivante agli occhi di un vecchio scettico come me. Proseguo comunque la lettura. Scelgo una lirica a caso:

 

Incontro il desiderio d’incontrarti

M’incontro

Incontro il mio desiderio di incontrare in te

una carezza

Mi incontro con la mia tenerezza

Risuona ancora incessante in dolce tortura

Dardeggiando nel cielo d’agosto

Il cicaleccio caotico

Dal cuore degli Eucalipti d’Asia

Giganti delle tue strade alberate

Dove correvo

Sudato

In cerca dell’azzurro

E dei variopinti luccichii

Del dorso d’ un granchio

 

La pioggia un poco mi intenerisce, il temporale mi invita a riflettere, il fulmine e i suoi percorsi non mi allettano al punto tale da pensare che i versi suindicati possano somigliare lontanamente a qualcosa che abbia a che fare con la poesia. Il terzo verso è la ripetizione pleonastica del primo con la sola aggiunta di una nota carezzevole, un gioco puerile di parole, una specie di loop psicanalitico che ha una bambinesca sete affettiva, confermata immediatamente dalla parola tenerezza. I temi proposti e direttamente scopiazzati dal repertorio classico, non hanno nulla di originale; la ricerca dell’azzurro non è modulata in un contesto sufficientemente creativo; le notazioni “fisiche”, chiamiamole così, relativamente al la corsa e alla conseguente traspirazione, con richiami nostalgici da liceale, non comunicano nulla al lettore, per lo meno nulla che esuli da una sensazione strettamente privata, abortita nel suo tentativo di universalizzazione. I variopinti luccichii del dorso di un granchio sono puramente decorativi, come fiori muti e senza effettiva ragione concettuale, modulando solo un richiamo puramente estetico, slegato dal contesto. Colpisce altresì la completa assenza di profondità, di pathos. È una lirica di plastica per farla breve, incapace di suggestionare, di coinvolgere.

Prendiamone un’altra:

 

Uscendo dal tempio

onorata tomba

per colui che porta

nome di vittoria

e un libro con tre sfere d’oro in mano

si mescolavano

profumi d’incenso, urina, semola, ragù e alghe

nel vento freddo di maestrale

e nel mio cuore

il senso del mistero infinito

del viaggio

della casa

e delle urgenze carnali

 

Qui siamo in ambiente esoterico, attacco di trombone per iniziare i giochi, e poi un libro con tre sfere (forse quelle che ha fatto girare al lettore), il tempio, ben presto sfregiato dall’urina, la semola e il ragù che, insomma, ci azzeccano come un pugno nell’occhio o come il formaggio sulle vongole o la marmellata di pere su un arrosto di vitello. Il poeta sente nel cuore un senso di infinito mistero e ce lo dice prosaicamente, poi assieme a questo senso oscuro del vivere mescola le urgenze carnali, in un chiaroscurale mal concepito, mal amalgamato. Sembrano immagini da lettino d’analisi, appiccicate alla rinfusa senza una connessione logica, in un tentativo di accumulazione che peraltro lascia indifferenti come la ricetta di un medico dalla pessima scrittura o peggio l’elenco del telefono che, quantomeno ha una sua utilità pratica.

Ho restituito subito il libro a Sandro, mostrandogli il pollice verso.

Da perdere.

Sembra che Campione voglia dare alle stampe un altro prezioso volume di liriche fulminate simili a queste, sempre a sue spese. Qualcuno dovrebbe dirgli di smettere. Perché farsi del male?

 

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