Le protezioni astrali di Maddalena Bergamin©

Le protezioni astrali di Maddalena Bergamin©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Mele fresche già cadute, credit Mary Blindflowers©

 

L’autunno ci ricorda una vecchia signora piegata e piagata dal vento, che osserva le foglie cadere assieme alle sue illusioni. Sebbene questo preannunzio d’inverno sia in genere dolce e tiepido alle nostre latitudini, abbiamo bisogno di novità, per levarci di bocca il senso d’amaro che ci sta dando la fine dell’estate, che pur detestiamo ma solo perché siamo vecchi accidiosi e disillusi. Dopo anni di lavoro in seno al meraviglioso mondo dell’editoria, dove avevamo altri nomi, altri sensi che hanno cozzato con la nostra primitiva ingenuità di ragazzi e con un magma di incandescente putrefazione esalante dai signori editor e scrittori, tutti segnalati da qualcuno che a sua volta veniva segnalato da qualcuno che era presentato da qualcuno e via dicendo… troviamo nell’epoca della nostra decrepitezza che sia ora di leggere una poesia giovane, una poesia che ci ricordi la freschezza della gioventù. Così per una volta abbandoniamo i nostri cari vecchi libri e ci addentriamo in libreria. Troviamo una “poetessa” giovane e “pimpante”. Il libraio è nostro amico e di solito ci fa leggere a scrocco qualche pagina. C’è pure un divano dove ci sediamo per consultare tra gli sguardi incuriositi di qualche sporadico cliente. Di solito, se dopo aver letto per un po’ il libro non ci convince, lo compriamo lo stesso poi lo regaliamo per Natale a chi ci sta antipatico. Scoviamo una di quelle autrici da regalare al vicino che regolarmente fa defecare il suo cane nei pressi del nostro giardino, senza ovviamente raccogliere il misfatto. Come dire do ut des.
Giovenale nella Satira VI scrive “Distat enim quae sydera te excipiant” e l’iscrizione sta incisa sulla porta che adduce alla Camera delle Aquile a Mantova. Si ammoniscono gli uomini sull’aleatorietà della sorte che si potrebbe incontrare a seconda delle stelle che ci si appalesano nel cammino. Decisamente a Maddalena Bergamin arride una stella favolosa perché essere già giovanissima un nome della cultura poietica italiana con lo spessore minimo di ciò che “crea” scrivendo, vuol dire aver una buona dose di.. sydera, le chiamavano i Latini in maniera meno prosaica di come lo chiameremmo noi!

Se tutto va bene poi si sta male
dopo le strette di mano, le pacche le forti emozioni

si aprono valli di vuoto, strapiombi, desolazioni

Se ti alzi voglia il cielo dal letto
sei costretto a respirare l’aria mattutina,

a sopportare la brezza il caffè la moina

del buongiorno dei pimpanti:

avanti! Sempre avanti!

Contro il risucchio tenebroso della notte

Darsi regole fissare appuntamenti
per restare sull’elenco dei presenti

L’ultima volta in Italia (Interlinea, 2017)

Prendiamo ad esempio “L’ultima volta in Italia” che presenta tentativi abortivi di un rimato asimmetrico ed incostante (incipit sciolto come il quarto e il terzultimo); la isometria dei versi a rima baciata è tutta un programma: il primo, quello che termina con emozioni pare un ottokaidecasillabo e così il successivo; la coppia successiva oscilla tra tetrakaideca e pentekaidecasillabi; segue una coppia ottosillabica a furia di sinizesi soffocate nel primo elemento, e la chiusura con due versi triskaidecasillabi. Parce sepulto sul labor limae, prerogativa dei rimatori del passato oramai in disarmo, ma andiamo al contenuto e alla sua logica consequenziale: exordium con un periodo ipotetico della realtà a base anacolutica e quindi molto eventuale: chi l’ha detto che se le cose vanno come dovrebbero andare la conseguenza è un malessere? Vediamo se la poetessa riesce a spiegarcelo in corso d’opera: dopo le presentazioni, i gesti approvativi e le vibrazioni cardiache per un presunto successo arriva il niente, il precipizio, la disperazione: perché? Forse il motivo è rintracciabile nel titolo che pare ambientare uno scenario desolatamente disilludente per un giovane italiano? Può essere, ma non è dato comprenderlo nella poesia che non ci sembra comunicare tale messaggio nel suo iter: lasciando nella migliore delle ipotesi il giaciglio coll’avvento della luce, la protagonista deve abbracciare la croce dell’aria frizzante, di un quotidiano beverone stimolante italiano, e, udite, udite!, “la moina del buongiorno dei pimpanti”, cioè il saluto di chi è in forma diventa una tortura: d’accordo, può essere: ma ci si spieghi perché! Perché questo benessere attorno a sé dona angoscia a chi si desta? Rimane inespresso il contenuto del dramma interiore, la sua eziogenesi. E se finora ci si adombrava l’idea di un carattere nottipeto (nel senso, non si equivochi, non evacuativo, ma propensivo alle oscurità), l’inaspettata definizione della notte risucchiatrice e tenebrosa ci confonde ulteriormente: quale dimensione temporale si attaglia alla poetessa, visto che la tenebra la trasporta nel suo vortice e visto che le regole del lume quotidiano la opprimono? Maddalena ci perdoni, ma non abbiamo compreso nulla del suo messaggio e cercheremo di scartabellare tra le parafrasi e le esegesi di critici più avvezzi di noi al suo ermetismo scolastico!

Le passeggiate di Orlando nei secoli
non hanno allungato la vita di un solo momento.
Essere giovani è camminare sul ghiaccio
parlare, tenersi per mano
strofinarsi l’uno sull’altro insieme alla sera
II pugno di terra sul quale viviamo
non è la nostra casa. Noi non siamo una famiglia
ma pugni di carne dalle dita serrate
destinate all’artrite del tempo
Le automobili non hanno una meta,
ma un colore, una forma, un marchio,
un passeggero. L’inverno è il freddo,
l’alito che diventa fumo: esisterà sempre
da qualche parte, nel mondo.
E ci sarà sempre la terra sulle sue rocce metamorfiche
e le colate di lava. Ma noi no, né il cane, né la foca
né, tantomeno, la farfalla.
Le nostre radici strappate ci sbattono
l’uno contro l’altro e ci aggrappiamo
a braccia solide e mortali.
Se questa morte mi accompagna dal mattino alla sera
come la fine a cui tendono tutte le cose
perché non posso scegliere di morire qui adesso
sulla tua bocca?

(da Comunque, la pioggia)

Forse oberata dai tentativi rimati, la poetessa avrà perso l’afflato comunicativo”, ci siam detti leggendo la lirica precedente, ed allora ci siamo addentrati in questa a verso libero, laddove il suo estro pare fluttuare più vibrante: si parte da un riferimento dotto ad un personaggio ariostesco e si vaga su un rammarico intriso di fugacità del tempo, isolamento del genere animale, horror frigoris et fervoris (tra mostruosità invernali e vulcaniche), pavor mortis. Ma alla fine questa montagna gravida partorisce un misero sorcetto: “se queste ansie mi accompagnano costantemente, perché non farla finita hic et nunc in questo amplesso col mio lui?”

Insomma son passati secoli e ci dobbiamo riascoltare il microsolco graffiato del binomio Thanatos –Eros? Bah … l’originalità di questa poetessa ci sfugge e, siccome stiamo inanellando letture di lirici contemporanei di successo, dobbiamo umilmente ammettere che non potremo mai essere all’altezza dei vertici ermeneutici dell’editoria d’oggidì.

Auguri, dottoranda Maddalena, accademica lettrice d’università, auguri a te di trovare sulla tua strada di mele fresche già cadute, sempre protezioni astrali di cui non siamo degni e che da una vita fatichiamo a comprendere.

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