Ma Wulf Dorn i suoi psichiatri dove li trova?©

Ma Wulf Dorn i suoi psichiatri dove li trova?©

Di Annamaria Bortolan©

 

Gli scrittori del cactus, credit Mary Blindflowers©

Su due romanzi (La psichiatra e Il superstite) e due protagonisti, uno maschile e l’altro femminile, non se ne salva uno: due specialisti incredibilmente diversi. Okay, direte, ma guarda che è finzione, è tutta roba inventata quella lì. Non penserai mica che nelle cliniche teutoniche succedano per davvero vicende simili a quelle narrate dall’autore? Certo che no ma non dimentichiamo che zio Wulfie, come qualche booktuber lo chiama affettuosamente, ha lavorato per anni come logopedista per la riabilitazione del linguaggio in pazienti psichiatrici. In più, nei ringraziamenti posti al termine de La psichiatra, dice di avere dedicato quattro personaggi ad altrettanti cari amici (non si sa chi siano ma è certo che gli amici coinvolti si riconosceranno). Siamo a posto. Non stento a immaginare l’euforia che devono aver provato dopo essersi ritrovati catapultati in quella storia! Non che i due volumi citati, editi da Corbaccio, non mi siano piaciuti, anzi devo dire che mi sono divertita a leggerli e potrei anche consigliarli, ma qualche ragionamento bisogna pur farlo.

In primo luogo la scorrevolezza: lisci come olio, a un certo punto si incagliano. Un treno che corre e che si trova davanti un ostacolo imprevisto frena e finisce per deragliare. Il deragliamento de Il superstite è addirittura risibile. Prima di leggere l’estratto che vi propongo, pensate anche solo un momento ai tanti autori misconosciuti che non riescono nemmeno a farsi leggere dalle grandi case editrici. Scrivono male? Alcuni sì, obiettivamente bisogna riconoscere che il panorama è variegato. Altri no. Sono colti, brillanti. Ma niente da fare: in Italia o hai le giuste conoscenze o ti attacchi al mezzo di trasporto che ti piace di più. Dunque, dal predellino di un vagone puzzolente in corsa verso il nulla, mi permetto di trascrivere questa citazione tratta dal romanzo Il superstite, Tea, 2016: “I vigili del fuoco impiegarono fino alle prime ore del mattino per domare l’incendio. Pochi minuti dopo che era scattato l’allarme era intervenuta la squadra antincendio della Waldklinik, seguita a ruota dai pompieri volontari di Fahlenberg. Era stato difficile domare l’incendio” (p. 268). Più oltre, otto righe dopo, compare di nuovo la parola incendio che si materializza nuovamente alla fine della pagina seguente con la frase: “Evidentemente un mozzicone di sigaretta rimasto acceso aveva incendiato un mucchio di documenti causando così l’incendio”.

Evidentemente se il lettore si incendia per lo sdegno è perché a incendiarlo ci ha pensato l’incendio raccontato nel romanzo e non un incendio vero e proprio, poiché gli incendi immaginari incendiano quanto quelli veri… Ah! È così che si deve scrivere, vero? Vedete che con un po’ di sforzo ce la faccio anch’io, mumble mumble, io mi incendio, tu ti incendi… E, a pagina 269, zio Wulfie conclude: “Questa era stata la sua condanna a morte”. No, questa è la dipartita del lettore!

Un incidente di percorso, penseranno i suoi fans. Vogliamo parlare delle trame e dei personaggi?

Il limite di velocità all’interno della clinica era di venti chilometri l’ora, ma il tachimetro della dottoressa Ellen Roth ne segnava almeno cinquanta” (La psichiatra, p. 13, Tea). A me che una psichiatra si metta a fare le corse con la macchina dentro l’ospedale dove lavora, neanche fosse in un autodromo, mi fa girare gli zebedei che non ho. Ma proseguiamo. Arrivata in reparto, visita Walter Brenner che puzza come una fetta di gorgonzola marcescente e pensa: “Oggi avrei fatto meglio a spruzzarmi il mio Calvin Klein sotto il naso, anziché sul décolleté” (p. 16). Ha di fronte un malato che emette suoni incomprensibili, e anche qualche rutto, e lei pensa al profumo di moda come se fosse in grado di annientare un tanfo decennale. Finalmente si decide a leggere la cartella clinica del poveretto. Cerca accenni a patologie neurologiche, alla demenza senile, trova il codice F20.0 che riguarda la schizofrenia paranoide ma non sembra molto convinta della cosa per cui gli chiede candidamente se sia già stato ricoverato alla Waldklinik. Forse non si fidava del funzionamento dei computer dell’ospedale per chiederlo a un soggetto che emette solo versi? Comunque, con un colpo di genio, ordina di somministrargli una soluzione fisiologica. Vi rendete conto? Il signor Brenner viene trasportato d’urgenza dal pronto soccorso dell’ospedale pubblico alla clinica psichiatrica e solo lì si rendono conto che ha bisogno di essere reidratato. La giusta risposta la dà lo stesso Brenner a p. 20: “Eeehacciooo”, fece il vecchio. Poi scoreggiò ed Ellen fu più che felice di poter lasciare la stanza. Si affrettò lungo il corridoio, entrò di slancio nel suo studio e si richiuse la porta alle spalle”. La potenza di un peto può distruggere anche il più scafato degli specialisti.

Il protagonista de Il superstite è Jan Forstner, uno psichiatra traumatizzato dalla scomparsa del fratello, avvenuta anni prima, e dalla morte del padre. Non entro nei dettagli della storia che nella parte iniziale è ben orchestrata ma che diventa un po’ stancante quando, poco per volta, si snoda per mettere a fuoco il vero colpevole che non è, questa volta, uno specialista come nell’altro libro. Tuttavia Jan è talmente aggrovigliato nel suo percorso interiore, caratteristica voluta dall’autore, così che chi legge debba chiedersi se per caso il colpevole non possa essere lui nonostante tutto, da risultare poco credibile nel suo ruolo. È un testo molto cinematografico, il che può essere positivo per un verso ma negativo per un altro.

La vita è un cerchio. Dovunque abbia inizio, lì è destinata a concludersi, p. 434, pensa Jan. E, come un cerchio tracciato da una mano insicura, questo testo si conclude con un invito al ritorno a casa che, a questo punto della storia, va oltre il romanzo. Sciolto l’enigma, Jan può ritornare ad essere sereno, può ritornare ad essere se stesso.

Il ritorno a casa, per lui come per noi, può coincidere con l’andare incontro alla verità, anche se dura. E questo vale anche per l’autore.

Non prendertela, Wulfie!

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Complimenti al trtraduttore ! Che italiano è “impiegarono fino alle prime ore del mattino”? Impiegare è transitivo!!!

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