“Cari altri”, scrittrice titolata

"Cari altri", scrittrice titolata

“Cari altri”, scrittrice titolata

"Cari altri", scrittrice titolata

Navigazione estinta, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis e Sandro Asebès©

“Cari altri”, scrittrice titolata

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Una scrittrice titolata di nome Gilda Policastro, si avvicina ai microfoni di regime, fa un colpo di tosse e racconta la sua vita in plurime occasioni e nei particolari che le va di dire: quanto è alta, quanto è stata grassa, quanto ora è magra, racconta, racconta e poi fa anche un post in cui ci illumina d’immenso sui suoi viaggi al paesello dove è cresciuta. Lì è tornata con un nome in tasca che prima non aveva e un’etichetta che prima non possedeva, ci dice di essere stata snobbata ed esclusa da alcune manifestazioni locali, per far posto a scrittrici che lei non vede e non sente, perché, a suo dire, chi non pubblica con Marsilio e Company non può essere definito scrittore:

 

Ecco, io vorrei tanto che mi capitasse di trovare qualche nome del paesello nelle collane delle case editrici per cui ho pubblicato e pubblico (Fandango, Marsilio, La Nave di Teseo), ai festival, ai premi nazionali o nelle trasmissioni tivù cui ogni tanto mi accade di partecipare. Ma no, non mi è successo. Al momento però non credo ci sia nessuna rivalità tra le scrittrici del paesello perché (e lo pongo come dato oggettivo, non come vessillo) oltre a me non ce ne sono. Se ci sono e mi sono sfuggite, vorrei conoscerle subito e farci qualcosa insieme, al paesello, il prossimo anno. Solo, una piccola specifica, per amor di chiarezza e di verità (la mia, certo). Scrittore o scrittrice, di solito, nell’accezione condivisa in campo letterario, non riguarda il self-publishing, le pubblicazioni on demand, 100 copie in tipografia o l’autoinvestitura. Scrittore vuol dire essere passato per il vaglio di una casa editrice nazionale, aver superato una selezione, aver atteso i tempi della collana, aver ricevuto un anticipo e un saldo per il proprio lavoro, aver pubblicato dei libri che si trovano nelle librerie. Io il premio paesello, raga, davvero, non lo voglio…

 

L’esimia ovviamente non tollera neppure di essere contraddetta, tant’è che ha prontamente eliminato i commenti non favorevoli, lasciando solo quelli ammirati che, come al solito accusano di invidia chiunque osi aprire un contraddittorio.

Miserie umane da censure piccole piccole, sorvoliamo.

Il post ricorda da vicino una poesia.

Parecchio tempo fa abbiamo commesso la leggerezza di leggere Non come vita, poesie pubblicate da Nino Aragno:

 

Gli altri sono:

mangiare il panino a morsi,

gridare al telefono e

sputare

             mentre lo fanno

 

I gesti che non durano,

la bambina dire ciao dalla porta,

e lui che ci hai dormito, una notte,

la mattina non ne sai il nome più

                      – ma non è come pensi

 

Gli altri sono:

il ventre che spinge

sotto le calze, e sopra i seni

le mani,

ma pensare che non resiste,

e ochéi, ci sentiamo domani

 

Un’unica forma, o misura, ha il fare,

il resto è represso

dal vestito di madre,

dal divieto,

e più chiedono, gli altri, più ingombrano,

meno ci stai

 

con gli altri sono:

i figli, morire, tu-figlia-loro-morti,

e le coperte, e il velo

e i pigiami e le giacche,

gli altri le porteranno, li butteremo,

e quel giorno non verrai

nel sogno a rimproverare

 

non come vita, ma più di dormire o meno,

adesso non ricordare, non dire il nome, che non sai

degli altri, che a te chiedono, loro,

di non andartene

 

e che hanno paura,

non vanno a letto, non si sdraiano come d’amore,

eppure non passa, non va-e-non-viene, e sono a metà

 

 

Questi pigolii della Policastro sembrano i frammenti disordinati ed incoerenti di una seduta psicanalitica venuta male con l’attribuzione agli altri, percepiti come estraneità totale, di difetti e paure incontrollate che probabilmente sono ascrivibili a chi scrive. Uno sfogo infantile, un mero esercizio di stile autoconcentrato su un sé ingombrato dall’eventuale presenza altrui.

Questa poesia che è soltanto prosa buttata a caso sulla carta seguendo il filo dei propri patemi, tradisce la stessa inadeguatezza che si riscontra nel livore del post di cui abbiamo detto prima. Il senso è lo stesso infatti, io sono io e gli altri non sono nulla.

È proprio vero che la fama non dà la felicità.

Si coglie nel balbettio infantile, imbronciato e totalmente incomprensibile delle poesie dell’autrice, una nevrosi di fondo, una inadeguatezza e un livore verso gli altri. Sono gli altri ad avere paura, a non riposare, a non godere dell’amore. Degli altri la dea non ricorda il nome ma gli altri sono tenuti a ricordarsi il suo: “non dire il nome, che non sai degli altri, che a te chiedono, loro…”

Gli altri sono dunque materia grezza, sono quelli che sputano e mangiano il panino. È chiaro che all’opposto ci sia Gilda che si sente superiore a tutto questo, tanto da non ricordarsi neppure i nomi di persone con cui ha dormito una notte, smemorella!

In buona sostanza gli altri non hanno nomi, non hanno definizione, non sono, mentre lei è. È come un raccontarsela. Sia nella poesia che nel post c’è lo stesso esatto narrare che questa autrice titolata, fa a se stessa: io sono!

E l’ode dell’autoreferenzialità è sprezzantemente contenuta già nel titolo, “Cari altri”, in cui quel qualificativo formulare fornisce l’imprinting dello sfottò e della presa di distanza; come a dire, “Poveri voi, quanto vi compiango nella vostra estraneità a me medesima!”

Una presa di distanza così frettolosa e scorbutica che la poetessa (sic!) non si perita di destinarvi almeno un’ermeneutica più rispettosa forgiando le linee in lecita ipotassi! Niente! C’è un’asfittica paratassi incurante della corretta punteggiatura e dei legami logici e consequenziali con ciò che si esterna! Più che linee di poesia sono esternazioni sul lettino di Le Corbusier.

La scrittura è di base il superamento di se stessi. La Policastro è prigioniera dell’incubo dell’ego concentrato e non riesce ad uscirne, per questo motivo non raggiunge alte vette nella scrittura e nemmeno nella critica letteraria. Un libro va giudicato infatti obiettivamente per quello che offre, non per il marchio editoriale che espone in copertina. Non è l’etichetta a fare lo scrittore ma la scrittura. Lo sapevano bene tanti grandi senza marchio: Leopardi, Silone, Montale, etc. che si sono perfino autopubblicati ma con o senza etichetta hanno quella grandezza che la Policastro non raggiungerà nemmeno nei suoi migliori sogni da sveglia.

 

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Policastro, Policastro
    concentrato accampamento
    che ti schifa il borgomastro
    del paesello tuo contento
    di far festa a chi compone
    senza avere dietro il merco
    di editori in guiderdone
    che per te val solo sterco.
    Hai pensato che i reietti
    che si pubblican da sé
    possan dar ai gabinetti
    i tuoi versi fai da te?

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