Spazio, tempo, struttura, Destrutturalismo

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Spazio, credit Mary Blindflowers©

Angelo Giubileo©

Spazio, tempo, struttura, Destrutturalismo

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Per gli antichi e moderni stoici non esiste alcuna certezza inerente alla determinazione di una “cosa” (latina) o “ente” (greco), quale che sia. La fisica e quindi la scienza stoica è costruita in primis sul concetto di “corporeità”; in secundis, si ritiene che i corpi siano penetrati dal “pneuma”, una presunta sostanza in qualche modo assimilabile al “moderno etere elettromagnetico”[1]. Insieme, corpo e pneuma, formerebbero pertanto la struttura “continua” del cosmo. Estremamente “più complessa rispetto al semplice continuo geometrico di Parmenide”[2].
Il continuo stoico suddetto reggerà l’impalcatura della fisica “classica” fino alla nuova impostazione teorica della moderna fisica quantistica. Allo stesso modo, possiamo anche dire che la concezione e quindi la struttura dell’ente nella fisica classica si caratterizza mediante due elementi: la concretezza e l’ubicazione univoca. Qualcosa che ha ancora moltissimo a che fare con il tanto decantato e ancora attuale “comune buon senso”.
In sintesi, Filone scrive che “il nesso fisico è un vincolo assai forte. È lo pneuma che ritorna su se stesso. Esso comincia al centro della sostanza e si estende verso i margini esterni … e ritorna ancora indietro verso il punto da cui è partito”[3]. Il fondamento di una scienza siffatta, oltre a un’insufficiente allora fase sperimentale, necessitava quindi soprattutto di una teoria capace d’interpretare gli “influssi” derivanti dal pneuma.
Le relative difficoltà spinsero gli stessi a fare ritorno alla teoria astronomica di coloro che Aristotele nel libro λ della Metaphisica (1074 b) chiama “i nostri progenitori delle più remote età”. In estrema sintesi, ciò ha significato e significa costruire una teoria scientifica e quindi un’interpretazione dell’essere e degli enti secondo un duplice ordine ripetitivo dei fenomeni che cadono sotto gli occhi dei sensi e della mente umani. Ciò che conduce alla determinazione di una legge, un dogma, essenzialmente un rito. Il giorno segue alla notte, una stagione segue all’altra, un anno segue all’altro.
E tuttavia: ogni costruzione della fisica classica e così l’intero castello della scienza stoica cadrà a opera dello stesso Newton e la sua prima legge della gravitazione universale, che egli giudicherà “matematicamente inoppugnabile, fisicamente inspiegabile. Egli dovette limitarsi ad accettarla: <Io non la capisco, e non intendo inventare ipotesi>”[4]. Fino al colpo di grazia decisivo della fisica di Einstein, di cui famoso resta il detto: se è certo non è fisica, se è fisica non è certa.
La fisica quantistica moderna, come scrive oggi uno dei più grandi divulgatori scientifici, il giornalista inglese Jim Baggott, sovverte il principio della corporeità, relativo agli “atomi duri e pesanti” di Democrito e della fisica classica, e lo sostituisce con il principio energetico, che in qualche modo aveva ancora a che fare con la teoria della fisica classica: “la massa è solo un comportamento dell’energia”. Gli enti sono solo forme, espressive, che derivano dall’interazione dei campi energetici.
Ma, tra le pur diverse fonti, la Treccani dice in sintesi e brevemente che: l’energia è la grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema fisico di compiere lavoro, a prescindere dal fatto che tale lavoro sia o possa essere effettivamente svolto. Avete capito, credo, fin troppo bene: che cosa sia l’energia, esattamente e cioè in sé e per sé, nessuno lo sa e, aggiungiamo, nessuno potrà mai saperlo con certezza.
Ha detto il poeta Paul Valery: (questo è) le grand don de ne rien comprendre à notre sort. Ogni costruzione è incerta, ogni struttura è incerta, ogni fisica è incerta, ogni scienza è incerta, ogni cosa è incerta; anche se ogni ente continua a dimorare ed è diviso, secondo il comune buon senso, attraverso un tempo passato presente e futuro e abita ed è diviso tra uno spazio “reale” e uno “virtuale”. Che differenza passa ora tra questo autore e il suo avatar, ciò che gli hindu per primi hanno chiamato esattamente avatara? E, in primis, tutti gli avatara di Krisna destinati dalla sorte delle stelle a dimorare questo nostro più antico spazio.
Seguendo la ripetizione dei fenomeni – che accadevano sotto gli occhi di entrambi gli ordini, secondo l’agire proprio e diversificato sia dei sensi che della mente (idiota di un Descartes, come hai fatto a non capirlo!) – e alzando gli occhi al cielo stellato di quell’India che precedeva l’anno 6.500 evo antico, gli hindu raccontavano, così e a tutti coloro che potessero in qualche modo capirne il significato, la storia del Mito dell’Anno ovvero la storia originaria e forse originale dell’arciere Rudra, della preda Prajapati e della stella più luminosa e inarrivabile, Rohini. Altrimenti detta poi Aldebaran.
Prajapati – detto anche Ka, traducibile con il pronome interrogativo Chi? -, il vedico “signore di tutte le cose” s’invaghisce della sua figlia più bella, Rohini, e l’insegue nel cielo, aldilà dei tropici del Cancro e del Capricorno – che individuano lo spazio abitato della “terra di mezzo” -, inseguito da un altro dio, l’arciere Rudra (Sirio), in compagnia del proprio cane (Canis Major) e del proprio arco (noto anche ai testi astronomici cuneiformi della Mesopotamia come Kak.si.di o Sirio o la Stella-freccia, oltre che alla stessa costellazione cinese, dove la freccia appare più corta e Sirio non è la punta della freccia, ma il bersaglio, lo sciacallo celeste[5]). Rudra ha ricevuto l’incarico da parte dell’intera comunità degli dei (siamo già in una corrispondente e tarda epoca metafisica) di punire il pensiero e l’atto incestuoso di Ka. Ka viene colpito dalla freccia esattamente alla propria testa (laddove nel cielo appaiono le tre stelle più luminose che poi rappresenteranno nelle diverse e successive storie metafisiche “la cintura (del cacciatore) Orione”. Le tre stelle fanno parte di un’immagine che raffigura, per gli antichi hindu del tempo, un’antilope. Si dirà poi: un cervo. Quello stesso Cervo che sarà quindi Saturno, Kronos, e in definitiva l’Anno.
La storia termina con l’uccisione di Rudra, che vendica il peccato di Ka, ma in un’altra versione si narra che Ka abbia scelto in pratica di suicidarsi, una volta giunto alla fine del proprio viaggio. Rudra è cioè l’anno nuovo che consente il sacrificio di Ka e cioè l’anno vecchio. Rohini è la stella di un corpo fisico o metafisico, mortale o immortale, come la struttura del tempo: passato, presente e (forse) futuro. Così che: in ogni discorso, perfino in ogni parola, c’è sempre un’incognita. Ovvero, ripetiamo, è: le grand don de ne rien comprendre à notre sort (!).
Ma – immagino – che non abbiate dimenticato il continuo geometrico di Parmenide a cui abbiamo accennato qui in principio. E dunque: “Suggerisco pertanto di trattare ovunque la parola <Essere> come termine indefinito, sostituendola in tutto il testo con x (…) Ora, se teniamo la mente ‘monda di pregiudizi’, come suggeriva Bacone, e cerchiamo di definire x unicamente dal contesto, troveremo che esiste un altro concetto, e solo quello, che può sostituirsi a x senza generare assurdità o contraddizioni, e questo concetto è il puro spazio geometrico stesso”[6].
In definitiva, questa incognita caratterizza sia ogni parte che l’intera struttura del cosmo. Parmenide è il primo, stando a ciò che dice Plutarco nell’Adversus Colotem, anche dei destrutturalisti ante litteram.
Allora di via resta soltanto una parola, che <è>. [7]

[1] G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico, Sansoni 1966, pag. 306.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] G. de Santillana – H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi ed. 2000, pag. 91.
[5] Ibidem, illustrazioni 17 e 17a.
[6] G. de Santillana, Fato antico e fato moderno, Adelphi ed. 1993, pag. 103,s.
[7] Parmenide, Poema sulla natura, frammento 7/8 v. 6, trad. G. Cerri, BUR 1999

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