Social e personalizzazione dell’oggetto

Social e personalizzazione dell'oggetto

Social e personalizzazione dell’oggetto

Social e personalizzazione dell'oggetto

Le tentazioni di Sant’Antonio, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Social e personalizzazione dell’oggetto

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Sui social c’è la pericolosa quanto assurda tendenza alla personalizzazione dell’oggetto.
La realtà oggettiva inizia a colorarsi di vita impropria, diventa soggetto partecipante e sensibile, fino al raggiungimento di una identificazione totale oggetto-soggetto che nella realtà non esiste affatto ma viene percepita come reale da alcuni utenti e dai loro amici. In genere coloro che confondono il soggetto con l’oggetto fanno parte di un branco i cui membri cercano di compiacersi l’un l’altro per sentirsi “accolti”.
Così il dato di fatto, la statistica, l’argomento sociale, insomma qualsiasi cosa di cui si parli e che dovrebbe essere affrontata con punto di vista sereno e distaccato (oggetto), subisce un processo di somatizzazione da parte di un’utenza che non riesce a mantenere la distanza tra il suo sé e gli argomenti che vengono sciorinati in rete. Qualsiasi riferimento si immagina ad personam e si sente l’esigenza di giustificarsi, di svelare la propria esperienza individuale (soggettivizzazione), come se facesse testo nell’economia di una discussione sul generale.
Il particolare, ossia la vita di chi parla, il soggettivo a tutti i costi che vede pezzi di sé ovunque, ossessivamente, come in uno specchio rotto, invade ogni spazio, tanto che ormai non si può più parlare, bisogna stare attenti ad ogni virgola, per paura di “offendere”, usare eufemismi ridicoli che fanno ridere i fagiani in padella, mettere i puntini per evitare segnalazioni, evitare le parole casta, borghese, il cosa dici (che non vi scappi, per carità), espressioni percepite alla stessa stregua di parolacce.
Un poco colpa del politicamente corretto, un poco del perbenismo da finteducande che devono sempre dare un’immagine di sé corrispondente alle aspettative dei contatti branco, si finisce sempre con lo sprofondare ogni qualsivoglia argomento nella psicologia del mellifluo io sono così, io faccio questo, pure io ho sofferto, anch’io vado al bagno e ora ti dico a che ora e quando tossiscono le ascelle delle pulci. Se poi rispondi ma chi se ne… sei un mostro, insensibile e cattivo.
Per esempio, se analizzate e decostruite nei suoi elementi essenziali una frase qualsiasi pronunciata da un qualsiasi interlocutore, questi recepirà la decostruzione, come un fatto personale, anche se la frase era riferita al generale e non alla sua vita privata, quindi la vostra è una demolizione dell’oggetto non del soggetto.
Una frase come questa: il povero merita di essere povero, cha a me far girare le scatole, di base tendenzialmente classista, non può essere giudicata tale senza ottenere come risultato una sorta di impermalosimento perenne del pronunciante, il quale si sentirà non soltanto offeso nella sua infinita bontà social, ma svierà l’attenzione dall’oggetto (discorso sui poveri) al soggetto, parlerà dunque di sé e poi accuserà: io sono, anche io ho sofferto, questa è la mia esperienza di vita, io sono buono, tu mi giudichi, tu non sai, etc. Nessuno in realtà lo ha giudicato, ma ha soltanto sottolineato la violenza classista insita nella sua frasettina social. Non potendo giustificare quello che ha detto, cercherà di mostrare di essere colto. Quindi preparerà un bel minestrone per il suo branco di riferimento, ci metterà parti della sua bio, delle sue pene personali, qualche pezzo tratto dal Vangelo, qualche articolo preso da qualche giornale reazionario che difende la carica rivoluzionaria di Cristo, e poi un grammo di fisica quantistica, che oggigiorno va di moda, insomma sta bene un po’ su tutto come il prezzemolo, una spruzzatina qua e là di fisica quantistica e il piatto è pronto.
Tecniche per impressionare, per dire io sono sensibile e buono, io soffro anche se sono upper class! Francamente, a costo di sembrare un poco bestia, me ne infischio sia della fisica quantistica applicata a San Francesco o ai giornali reazionari, che sarebbe come fare una torta e usarla come navicella spaziale, sia delle sofferenze dell’upper class che insomma, può farsene tranquillamente una ragione, non è esente dalla morte e dal destino, esattamente come tutti noi.
La morte infatti è l’unica vera democrazia esistente, non guarda in viso nessuno, non le importa se sei ricco o povero, ti falcia, ingiusta, crudele e senza senso, per lei siamo tutti uguali e se sei ricco ma non riesci a curarti nemmeno pagando il più costoso chirurgo del mondo, devi inoltrare una protesta scritta alla morte non al povero diavolo che ha già i suoi guai e non ha alcuna voglia di sentire i lamenti altrui se interviene in un post in cui si parla di argomenti generali che non dovrebbero mai sfiorare il particolare.
L’esibizione della sofferenza, l’ostentazione dell’io, denota una personalità istrionica incapace di affrontare il nodo della questione oggettiva e di prendersi le responsabilità di quello che ha detto, distraendo il branco dall’argomento principale scomodo, l’infelice frase sui poveri che puzza di classismo.
Se dici che il povero merita di essere povero e poi mi racconti le tue disgrazie personali, la frase che hai pronunciato, con tutto il suo valore sociale, resta, non puoi giustificarla con l’assioma che siccome tu, ricco, soffri a tua volta, il povero si è scelto la sua sorte e peggio per lui.
Insomma non si ragiona con i buchi del groviera pronti a perdere acqua da tutte le parti e poco importa se si decide di condire con gli aromi del vino di Cristo e dell’esperienza personale le proprie esigenze di dominazione, infatti la compiacenza di appartenere ad una classe di privilegiati, non giustifica affatto la dinamica sociale dello sfruttamento e dello snobismo verso chi è più svantaggiato e non ha avuto le stesse possibilità di chi racconta i suoi patemi per mania di protagonismo e per attirare simpatie.
Chi scrive e lo fa per passione, non ha il dovere di essere simpatico al benpensante, al punto da rassegnarsi a non reagire di fronte alla scempiaggine di evidenti castronerie classiste.

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Rivista Destrutturalismo

 

 

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