Platone, Hannah Arendt, Destrutturalismo

Platone, Hannah Arendt, Destrutturalismo

Platone, Hannah Arendt, Destrutturalismo

Platone, Hannah Arendt, Destrutturalismo

Riflessioni, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo©

Platone, Hannah Arendt e il Destrutturalismo

.

Da Platone a Wittgenstein, la filosofia occidentale ha ripercorso l’intero cerchio del pensiero dell’essere, attraverso il quale, a causa della propria condizione, l’uomo ignora “che cosa” e “perché” l’essere sia. La condizione umana trova così compimento nel processo del fare – inclusa l’attività del pensare non più intesa come mera contemplazione di una verità eterna e immutabile a discapito di tutte le altre: e quindi “come” fare, prescindendo sia dal “perché” che dal “cosa” fare. Ancora, occorre che l’uomo non operi come animal laborans, bensì come homo faber, e cioè sia artefice di quella “creazione” che costituisce il prodotto visibile della propria attività sia intellegibile che sensibile. Il senso o significato più profondo di questa esperienza – che è l’esperienza umana – è compreso da Platone, ma finisce per essere smarrito, attraversando la teoria delle idee dell’Ateniese, dalla tradizione filosofica post-socratica. Plutarco dice a Colote che la teoria delle idee è infatti servita a generare confusione nel linguaggio della filosofia dell’Accademia fondata da Platone.

E dunque: fino ad arrivare a Wittgenstein, l’intera tradizione occidentale, per la maggior parte, non ha compreso ciò che in effetti Platone, come un orologiaio, aveva invece inteso precisare. Ovvero ciò che Hannah Arendt definisce il “rovesciamento” del rapporto tra contemplazione e azione, laddove l’attività contemplativa dell’antico sophos restava fissa e immutabile nell’esperienza della propria condizione di sapere di non sapere. Con il rovesciamento e il primato dell’azione sulla contemplazione, Platone non aveva inteso sconfessare questa verità. Anzi. Egli aveva piuttosto inteso estendere la conoscenza dell’esperienza della condizione umana del saggio a tutti coloro, philosophoi, che, nell’ambito della polis, avrebbero potuto praticarla. Costoro avrebbero dovuto rispondere per se stessi a una sola domanda: come fare cosa. Né cosa fare, né perché fare cosa. E mettere così la propria esperienza al servizio della comunità politica.

E’ la stessa Arendt a fornirci un’altra importante nota esplicativa, che rende ancora più esplicita l’essenza più profonda della nostra “umana esperienza”: … il fatto che la tradizione di pensiero platonica, sia in filosofia sia in politica, prese le mosse da un rovesciamento, e che questo rovesciamento originario predeterminò in larga misura le direzioni di pensiero in cui cadde quasi automaticamente la filosofia occidentale quando non fu animata da un grande e originale impeto filosofico. Sta di fatto che la filosofia accademica è stata sempre dominata dagli infiniti rovesciamenti di idealismo e materialismo, trascendentalismo e immanentismo, realismo e nominalismo, edonismo e ascetismo e così via. Ciò che importa qui è la reversibilità di tutti questi sistemi, che li si possa cioè volgere da un lato o dall’altro in qualsiasi momento della storia senza che per questo rovesciamento siano necessari eventi storici o mutamenti negli elementi strutturali in gioco (n.d.r.: è a tale proposito che entra in gioco la logica del Destrutturalismo, che serve a evitare che un sistema, quale che sia, si mostri e presuma di essere umanamente irreversibile). I concetti rimangono gli stessi, comunque vengano collocati nei vari ordini sistematici. Una volta che Platone riuscì a rendere reversibili questi elementi e concetti strutturali, i capovolgimenti nel corso della storia intellettuale non richiesero più altro che una esperienza puramente intellettuale, un’esperienza entro la cornice dello stesso pensiero concettuale. La vita o meglio il modo di vivere “comune” diventa quello della polis e quindi prende forma e si organizza nella polis, la quale – scrive la Arendt: serve a riunirci insieme e a impedirci, per così dire, di caderci addosso a vicenda (H. Arendt, Vita activa).

Sono parole queste che disvelano, a seguito della tecnica d’insegnamento appresa dal suo maestro Martin Heidegger, l’intera logica dell’antichità che prosegue nella modernità, inaugurata da Platone; da ricomprendersi innanzitutto mediante il passaggio da una condizione umana nomade, di raccoglitore e cacciatore, a una condizione umana stanziale, di agricoltore e allevatore sia di animali che di uomini. Un nuovo mondo, comune, che finisce con l’essere intriso e pervaso da un senso comune. Come fare in modo che, mediante i numeri e la teoria, 2 più 2 due faccia sempre 4.

E infatti, sin dall’inizio, la logica aristotelica ha preso spunto dalla matematica; smarrendo tuttavia, progressivamente, il senso o il significato viceversa reale degli “elementi”; che in Euclide, in quanto assiomi o postulati, determinano la relazione reciproca e, rovesciando ancora una volta la prospettiva, inaugurano l’era moderna del fraintendimento o del comune buon senso. In effetti, ciò che nella realtà andava inteso, alla stregua della Arendt, era viceversa “il senso condiviso della realtà” (Alessandro Dal Lago), che restava e resta, sempre e in ogni caso, incerto. Il nostro mondo è così come il mondo del Lego, dove ogni bambino impara a suo piacimento l’arte di smontare, montare e rimontare i mattoncini o elementi che appartengono al proprio essere e in definitiva alla propria condizione umana. Nulla a che vedere dunque con il comune buon senso che oggi conduce l’originario homo faber platonicus verso un processo piuttosto di massificazione e alienazione. Contro il comune buon senso, l’opera disvelatrice della Arendt rivela infatti che per gli antichi greci solo l’azione è l’esclusiva prerogativa dell’uomo; né una bestia né un dio ne sono capaci, ed essa solo dipende interamente dalla costante presenza degli altri (Ibidem).

In tempi di pandemia, abbiamo continuato a ragionare, secondo il malaugurato comune buon senso, affidandoci esclusivamente al Dio (e quindi al sapere) degli scienziati, con cui la Arendt conclude il suo saggio. Allora, Ella già avvertiva che: l’azione degli scienziati, poiché agisce nella natura della prospettiva dell’universo e non nel tessuto delle relazioni umane, manca del carattere di rivelazione dell’azione come della capacità di produrre vicende e storie, che insieme formano la fonte da cui scaturisce il significato che illumina l’esistenza umana. E pertanto, è stata generalmente di nuovo malintesa la natura dell’esperienza scientifica o conoscitiva, legata alla nostra condizione umana di appartenenza. Tra gli stessi scienziati, esiste da circa un secolo un feroce dibattito tra teorici della fisica “classica” e teorici della fisica “moderna” o quantistica. E tuttavia, Albert Einstein sosteneva che se la fisica è certa allora non è fisica. Allo stesso modo, Richard Feynman, premio Nobel e padre dell’elettrodinamica ha affermato: credo di poter dire con sicurezza che nessuno capisce la meccanica quantistica, chiunque afferma di capire la teoria dei quanti mente oppure è pazzo.

Vero è però che, da circa un secolo, la meccanica quantistica funziona. Contro il comune buon senso, essa non fa che ribadire il senso comune: sappiamo come funziona ma non perché funziona.

.

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Video – The Black Star of Mu

Rivista Il Destrutturalismo

 

Post a comment