Montale: Mottetti, simmetria, assonanze

Montale: Mottetti, simmetrie, assonanze

Montale: Mottetti, simmetria, assonanze

 

La simmetria dell’albero, oil pastel on paper, by Mary Blindflowers©

Mariano Grossi©

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Montale: Mottetti, simmetria, assonanze

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L’asimmetria delle assonanze costituisce una prerogativa direi quasi unica di Montale ed emerge profondamente dall’analisi dei “Mottetti” che costituiscono una sezione specifica nella raccolta “Le occasioni”.

 

La gondola che scivola in un forte

bagliore di catrame e di papaveri,
la subdola canzone che s’alzava
da masse di cordame, l’alte porte
rinchiuse su di te e risa di maschere
che fuggivano a frotte—

un sera tra mille e la mia notte
è più profonda! S’agita laggiù
uno smorto groviglio che m’avviva
a stratti e mi fa eguale a quell’assorto
pescatore d’anguille dalla riva.

 

Il poeta insegue direi volutamente un diagramma impazzito, alternando le baciate alle alternate e alle incrociate e mescolandole con assonanze extra clausulam in una unicità di difficile riscontro altrove; e questo rincorrersi di omeoteleuti crea un gioco ad incastro con altre figure retoriche reiterate e altrettanto ricorrenti come le consonanze, riscontrabili in una serie di parole dove ritroviamo incessantemente il nesso dentale – rotante e viceversa (forte / catrame / cordame / porte / frotte / smorto / stratti / assorto / pescatore).

 

Infuria sale o grandine? Fa strage
di campanule, svelle la cedrina.
Un rintocco subacqueo s’avvicina,
quale tu lo destavi, e s’allontana.

La pianola degl’inferi da sé
accelera i registri, sale nelle
sfere del gelo . . . — brilla come te
quando fingevi col tuo trillo d’aria
Lakmé nell’Aria delle Campanelle.

 

Anche in “Infuria sale o grandine?”, lirica talmente acquatica e quasi sublimata nel passaggio dalla solidità dei fiori alle immagini del gelo, il poeta fa slalom tra baciate (cedrina/s’avvicina) ed alternate (da sé/come te – sale nelle / Campanelle), ma l’impulso asimmetrico lo permea ed ecco al secondo verso uno svelle extra clausulam che richiama le rime della seconda strofa anticipandole; e l’incastro segue nelle assonanze tra brilla e trillo, così come tra da sé/ come te Lakmè (acrostico nuovamente extra clausulam). E le consonanze martellano e fisicizzano la fluidità ambientale, talché in un Montale tipicamente rotante e sibilante (come vedremo in corso d’opera) stavolta registriamo un’orgia di liquide scempie e geminate, metafora e simbologia del ghiaccio che permea tutta la  lirica (sale / campanule / svelle / la / quale / lo / s’allontana / la / pianola / degli / accelera / sale / nelle / del / gelo / brilla / col / trillo / Lakmè / nella / delle / Campanelle).

 

Perché tardi? Nel pino lo scoiattolo
batte la coda a torcia sulla scorza.
La mezzaluna scende col suo picco
nel sole che la smorza. È giorno fatto.

A un soffio il pigro fumo trasalisce,
si difende nel punto che ti chiude.
Nulla finisce, o tutto, se tu folgore
lasci la nube.

 

Perché tardi?” pare essere l’essenza più intima dello svincolo di Montale dalla levigatezza e dalla simmetria; è una lirica tra le più amare e pregnanti nell’antitesi tra la prima strofa lentissima, inneggiante alla lentezza e al ritardo e la rapidità evanescente della seconda con le sue immagini di soffi, fumi e folgori. L’autore non si produce in alcuna rima, ma esprime tutta la sua versatilità ed attitudine alle assonanze extra clausulam con scorza /smorza, fatto / tutto, trasalisce / finisce, coda / chiude. Un Montale altresì capacissimo di giocare e flettere le consonanze a specchio dell’angustia che si dipana lirica durante per il ritardo del ritorno dell’amata, ed ecco il picchiettio delle occlusive velari sorde e delle vocali di timbro scuro (scoiattolo /coda/ torcia / scorza / picco / chiude) e le rotanti sempre aggressive, sempre  corrosive specularmente all’ulcerazione interiore del poeta (perché / tardi / torcia / scorza / smorza / giorno / pigro/ trasalisce / folgore)

 

Lontano, ero con te quando tuo padre
entrò nell’ombra e ti lasciò il suo 
addio.
Che seppi 
fino allora? Il logorìo
di 
prima mi salvò solo per questo:

che t’ignoravo e non dovevo: ai colpi
d’oggi lo so, se di laggiù s’inflette
un’ora e mi riporta Cumerlotti
o Anghébeni — tra scoppi di spolette
e i lamenti e l’accorrer delle squadre.

 

A-B-B-C  D-E-F-E-A in questi endecasillabi pieni di sineresi il poeta prende reiteratamente a zigzagare tra baciate (addio/logorio) e alternate (padre/squadre – s’inflette/spolette), né manca la ricorrente assonanza endostica/acrostica tra una strofa e l’altra (fino allora / un’ora) così come si alternano i versi con rima a senso compiuto e quelli in cui la stessa soggiace all’enjambement. Così come contenutisticamente il poeta rinnova la predilezione all’antitesi e al contrasto tra atmosfera del primo membro e quella del secondo; al ritmo lento e distanziato della prima strofa che pullula di  slittanti sibilanti, si contrappone l’esplosività mnemonica e più aderente della seconda, dove  tornano le vocali di timbro scuro accanto all’accoppiata sibilante/occlusiva, onomatopeica della memoria delle deflagrazioni (scoppi / spolette / squadre).

In altre il poeta crea specularità e rispondenze e alterna assonanze e simmetrie tra le strofe componenti delle poesie, come visibile nei due ettastichi di ”Al primo chiaro”:

 

Al primo chiaro, quando
subitaneo un 
rumore
di ferrovia mi 
parla
di chiusi uomini in 
corsa
nel traforo del sasso
illuminato a tagli
da cieli ed acque 
misti;

al primo buio, quando
il bulino che 
tarla
la scrivania 
rafforza
il suo 
fervore e il passo
del guardiano 
s’accosta:
al chiaro e al buio, 
soste ancora umane
se tu a 
intrecciarle col tuo refe insisti.

 

Sembra quasi che nella struttura volutamente scabra e svincolata dall’obbligo della rima il poeta surroghi scientemente il ricorso a quel debito mediante altri tipi di figura retorica (corsa/rafforza – rumore/traforo/fervore – s’accosta/soste- parla/tarla/intrecciarle).

Se alcune strutture suggeriscono un’ingegneria di foggia parallela tra le strofe componenti come appena esaminato, ve ne sono altre in cui l’artista dissimila l’ordito prosodico e metrico tra una parte e l’altra; è il caso di ”Il fiore che ripete” dove le asimmetrie e le assonanze sciolte della prima strofa, cedono il passo a rime alternate nella seconda mescolando versi di senso compiuto a rime con l’enjambement:

 

Il fiore che ripete
dall’orlo del 
burrato
non scordarti di 
me,
non ha tinte più 
liete né più chiare
dello spazio 
gettato tra me e te.

Un cigolìo si sferra, ci discosta,
l’azzurro pervicace non ricompare.
Nell’afa quasi visibile mi riporta all’opposta
tappa, già buia, la funicolare.

 

Anche ne ”La canna che dispiuma” assonanze ed asimmetrie costituiscono il leit motivstrutturale dello stile imprescindibile dell’autore, mentre l’enjambement permea e struttura quasi tutte le rime del componimento:

 

La canna che dispiuma
mollemente il suo 
rosso
flabello 
primavera;
la rèdola nel 
fosso, su la nera
correntìa
 sorvolata di libellule;
e il cane trafelato che rincasa
col suo fardello in 
bocca,

oggi qui non mi tocca riconoscere;
ma là dove il riverbero più 
cuoce
e il nuvolo s’abbassa, oltre le 
sue
pupille
 ormai remote, solo due
fasci 
di luce in croce.
E il tempo passa.

 

In ”…ma così sia” il poeta che ama l’aprosdòketon strutturale formale, dopo una levigatissima serie di alternate tutte di senso compiuto, costruisce una clausola libera definibile scazonte, nella quale si svincola dalla rispondenza rimata alternata, virando sull’assonanza distanziata con le clausole della prima strofa (cornetta / riflette / fazzoletto), ordendo un amarissimo verso di chiusura, che storna contenutisticamente il lettore dall’analisi stilistica del pezzo per lasciarlo meditabondo sul pregnante acre contenuto dello stesso; ma il passaggio all’asimmetria viene già semanticamente anticipato colla sterzata evidente sull’enjambementdegli ultimi tre versi:

 

. . . ma così sia. Un suono di cornetta
dialoga con gli sciami del 
querceto.
Nella valva che il vespero 
riflette
un vulcano dipinto fuma 
lieto.

La moneta incassata nella lava
brilla anch’essa sul tavolo e 
trattiene
pochi fogli
. La vita che sembrava
vasta
 è più breve del tuo fazzoletto.

 

In ”Non recidere, forbice, quel volto” il poeta inventa uno studiato distanziatore nelle alternate quasi invitando il lettore a ricercare le assonanze e a ritrovarle nel momento in cui lo stesso sembra aver tratto l’impressione del componimento libero e svincolato in toto:

 

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala . . . Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

 

Come si può notare, mentre tra volto e ascolto c’è un verso distanziatore, tra sfolla e scrolla i diaframmi diventano tre come tra sempre e Novembre; mentre le assonanze asimmetriche interstrofiche tra cala e cicala e svetta e belletta si realizzano rispettivamente con uno e con due versi di intervallo. In altri termini, Montale gioca d’asimmetria e orizzontalmente e verticalmente, ed anche questa mi sembra una peculiarità non riscontrabile in altri suoi contemporanei omogeneamente ermetici. Ma le peculiarità strutturali si fondono anche con quelle contenutistiche, perché se è vero che la prima strofa si chiude con la sequenza endecasillabo-settenario cui risponde a specchio la seconda nella successione invertita settenario-endecasillabo, parallelamente la contrapposizione tematica è notevole, poiché all’umidità nebbiosa della prima si contrappone il seccume fangoso della seconda.

Né mancano nei ”Mottetti” esempi di versi liberi e completamente svincolati dal gioco delle rime; direi che è il caso de ”La rana, prima a ritentar la corda”, laddove il fenomeno dei distanziatori delle consonanze e delle assonanze si spiralizza in modo ancor più marcato in un saliscendi ad organetto in cui la mano del poeta fisarmonicizza distacchi e attiguità; là, in quel movimento quasi sismico, il lettore attento nota la contiguità di nubi e carrubicavalli e scintille e gli intervalli tra stagno/campagna/lavagna o tra avara/prepara e fiaccole/zoccoli, nonché le scaltre inversioni di consonanza tra corda e tardo ovvero la verticalità simmetrica di clausole gravide di occlusive e rotanti a cornice di vocali aperte (carrubi/tardo/scarni)

 

La rana, prima a ritentar la corda
dallo stagno che affossa
giunchi e 
nubi, stormire dei carrubi
conserti dove spenge le sue 
fiaccole
un sole senza caldo, 
tardo ai fiori
ronzìo di coleotteri che suggono
an
cora linfe, ultimi suoni, avara
vita della 
campagna. Con un soffio
l’ora s’estingue: un cielo di 
lavagna
si 
prepara a un irrompere di scarni
cavalli, alle scintille degli zoccoli.

 

Basterebbe ridigitare le linee della poesia per intuire una sorta di scaltro gioco del quindici ordito dal poeta per la scomposizione e ricomposizione della sua struttura in chiave rimata seppur sempre in tono asimmetrico 

 

La rana, prima a ritentar la corda dallo stagno

che affossa giunchi e nubi,

stormire dei carrubi
conserti dove spenge le sue fiaccole
un sole senza caldo, tardo ai fiori
ronzio di coleotteri che suggono
ancora linfe, ultimi suoni, avara vita della campagna.

Con un soffio l’ora s’estingue: un cielo di lavagna
si prepara a un irrompere di scarni
cavalli, alle scintille degli zoccoli.

 

Oppure

 

ancora linfe, ultimi suoni, vita della campagna avara.

Con un soffio l’ora s’estingue: un cielo di lavagna si prepara

a un irrompere di scarni cavalli,

degli zoccoli alle scintille.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=-1pejZ6Limc

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