Il giorno che aspettiamo di leggere un romanzo come dio comanda©

Il giorno che aspettiamo di leggere un romanzo come dio comanda©

Di Annamaria Bortolan©

Prospettive di gelo, credit Mary Blindflowers©

 

Deve ancora arrivare, quel giorno. E forse il Padreterno non ha fretta. Di sicuro Il giorno che aspettiamo, romanzo d’esordio dell’americana Jill Santopolo edito in Italia dalla casa editrice Nord, non è il genere di testo che fa esultare di gioia e gridare al miracolo letterario. Anzi. La fascetta gialla, pubblicitaria, avverte il lettore che è in corso di traduzione in ben trenta paesi. Il risvolto della terza di copertina ha addirittura un che di minaccioso nel notificare l’incredibile, velocissima ascesa di questo libro tra il mese di agosto del 2016, quando l’editore Putnam invia agli editori di tutto il mondo il manoscritto della Santopolo, e il 22 maggio 2017, giorno in cui è stato pubblicato qui da noi e poi distribuito addirittura nei supermercati. Venduto in dodici paesi nel giro di un paio di settimane, in molti hanno sgomitato per accaparrarsi i diritti di traduzione di un’opera che se anche non fosse stata concepita non avrebbe implicato alcune perdita per il panorama letterario internazionale. Di certo noi non ne avremmo sentito la mancanza.

Laureata in letteratura inglese, cresciuta a New York ed entrata molto presto nel dorato mondo dell’editoria anglosassone, la Santopolo è attualmente responsabile di una casa editrice del gruppo Penguin Random House. Strano, non l’avevamo proprio immaginato scorrendo le pagine di questo testo dalla prosa “intensa”, come suggerisce ancora una volta la manfrina pubblicitaria delle edizioni Nord che, tra l’altro, parla anche di una certa “abilità con cui (l’autrice) ha saputo dare voce ai sentimenti”. Boh. La storia è banale. L’intensità della prosa è tutta da scoprire (e verificare). Non possiamo citare alcunché perché, prudentemente, i diritti riservati includono la riproduzione anche parziale dell’opera. Vi invitiamo a leggerlo, comunque, lo facciamo sempre anche quando proponiamo alla vostra attenzione, cari lettori, testi poco edificanti, sciocchi o semplicemente brutti, nella consapevolezza che ogni giudizio estetico è, in definitiva, soggettivo. Come già in altri romance, lo sfondo dei fatti accaduti l’undici settembre 2001 sfiora la vicenda portante della storia che è quella, romantica e languida, dei due innamorati che, con fasi alterne, si ritrovano dopo l’allontanamento di lui motivato dal riavvicinamento alla sua ex. Bellissimo, fisico scolpito e occhio azzurromare, Gabriel appare già dalle prime pagine poco affidabile. Chiunque lo capirebbe tranne la protagonista che non fa che pensare a lui e in cuor suo aspetta soltanto di affogare nei suoi abbracci. Lucy sceglie di parlargli, di rivolgersi a lui da queste pagine come se esistesse davvero, come se Jill stesse veramente parlando con un suo ex in una sorta di monologo che si snoda per 398 pagine, scorrevoli grazie alla semplicità della scrittura. Fotografo di guerra in Iraq, perché lo stare appresso alla notizia rischiando in prima persona sul posto è più importante dell’amore verso una donna, Gabe avrebbe potuto condurci per mano nell’inferno del conflitto, farcelo toccare e vivere e invece no. Niente da fare. E ci chiediamo come abbiamo potuto anche soltanto lontanamente immaginare che ciò sarebbe potuto accadere. Di solito non accade. Non capita quando un testo viene spinto avanti con forza dalla volontà di chi lo ha pubblicato, quando un romanzo vende e vende e vende oltre ogni capacità immaginativa. Purtroppo, a queste condizioni, di solito non è letteratura. Non ha uno spessore culturale soddisfacente e lo sfondo temporale che accenna a una crisi di portata mondiale, al pericolo del fondamentalismo islamico, a una guerra dolorosa come lo sono tutte le guerre in cui a morire sono gli innocenti, non viene inglobato nella narrazione al punto tale da poterci coinvolgere pienamente, al punto da regalarci un’esperienza nuova, se pur mediata dalla lettura, di un qualcosa che, fortunatamente, non ci è stato dato da vivere ma che vorremmo conoscere di più. Pretendiamo l’impossibile? Noi non smettiamo di crederci, non vogliamo smettere di sperare che, da qualche parte, in mezzo a quella massa di carta stampata che vede la luce quotidianamente in tutto il mondo ci sia qualche nuovo autore straordinario, qualcuno capace di raccontare il nuovo e l’eterno. Perché questa è l’arte, questa la letteratura. Come Arundhati Roy che con il suo romanzo d’esordio ha segnato una tappa fondamentale nell’evoluzione letteraria della lingua inglese. Come Ruth Ozeki che ha fatto sì che lo zen crei cultura, un percorso imprescindibile nell’evoluzione e nella diffusione di qualunque pensiero religioso che voglia aspirare ad una diffusione capillare. Come Augusto Romano, famoso psicanalista che ha dimostrato un talento e una cultura straordinaria nella creazione del suo primo, splendido, romanzo. Potrebbe darsi che tutti e questi tre autori messi insieme, per quanto quotati, non riescano ad eguagliare la Santopolo nelle vendite. Se così fosse, non ci sarebbe da meravigliarsi. L’arte vera non è per tutti, la cultura nella sua profondità è di dominio di chi studia o di chi lo ha fatto seriamente. Di chi ha scoperto il piacere della lettura, dell’approfondimento non di chi, pigramente e senza entusiasmo, ha dato il minimo di sé nel corso degli anni della scuola. Per questi ultimi, riconosciamolo onestamente, è già tanto arrivare al termine di questo romance senza aver perduto la concentrazione.

E allora? Siamo tutti destinati a trascinarci da una lettura poco interessante all’altra fino a chissà quando o una speranza di un rinnovamente editoriale esiste seriamente? Vogliamo pensare positivo, almeno in questo primo mese di un nuovo anno. Il giorno che aspettiamo prima o poi verrà.

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