Chi pensa è perduto©

Chi pensa è perduto©

Di Mary Blindflowers©

Il moto congelato, credit Mary Blindflowers©

 

Chi pensa è perduto.

Ci sono molti tipi di silenzio. Il silenzio, dal latino dal lat. silentium, può essere omertoso se chi tace lo fa per paura; produttivo o artistico se chi lo usa vuole riflettere sul mondo, lo spazio e le cose, le persone che vi si agitano dentro, se stesso compreso. Poi c’è il silenzio meditativo in cui si sgombrano i pensieri, lasciandoli scorrere come su un fiume, per rilassare corpo e spirito, per esempio nella meditazione zen.

E che dire del pesante silenzio di Dio ne La notte di Elie Wiesel? Di quello denso della Morante? Di quello del montanaro della Divina Commedia quando vede per la prima volta la città? Che dire del silenzio abissale ungarettiano che nasce dallo stupore: La limpida meraviglia/ di un delirante fermento./ Quando trovo/in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso.

Primo Levi parla delle “terre zitte e solennemente silenziose” della Lucania. Per René Char compito del pittore è far risuonare il silenzio interiore. Dunque certi tipi di silenzio hanno un suono, un significato letterario, umano, artistico, una profondità d’abisso.

Il silenzio è un percorso che richiama il rumore senza esserne direttamente coinvolto, una pausa positiva o negativa, profonda o di superficie, meditata o sciocca, dipende dalle circostanze e da chi lo pratica e con quale intenzione.

Nell’aforisma che il grande pittore napoletano Salvator Rosa dipinge in un suo autoritratto, è scritto: “Aut tace, aut loquere meliora silentio”. Taci dunque, a meno che il parlare non sia meglio del silenzio.

Una massima che i frequentatori dei social dovrebbero tatuarsi in fronte in modo indelebile.

Nei social il silenzio è valutato solo in senso negativo. Si tace per evitare di esporsi, per evitare contrasti. Si passa oltre silenti come ombre al pascolo, mentre l’erba verde della rete riflette le ombre di fantasmi mediatici che interpretano personaggi lontani anni luce dal loro io, in uno sdoppiamento che ha il sapore del sintetico, salvo poi svalutare il silenzio quando non si ha veramente niente da comunicare. È a quel punto che scatta il rumore di una società non liquida, ma direi, già putrefatta, un mondo in cui non importa ciò che si dice e perché lo si dice, quello che conta è ottenere consensi, ottenere il plauso del piccolo gruppo di riferimento mediatico, in modo da poter dire a se stessi: “caspita ci sono anche io nel mondo, dunque esisto”. L’assioma cartesiano del cogito ergo sum riconducibile al celebre “Discorso sul metodo”, viene praticamente stravolto nel nuovo orientamento web-caprino: posto dunque sono.

Mi sono sempre chiesta che cosa si muova nella testa delle persone che decidono di partecipare ad un contest in un gruppo letterario utilizzando foto scattate da altri e prese dal web. Cosa spinge una persona a copiare e incollare una produzione altrui senza nemmeno specificare che non è propria? È l’assoluta incapacità di offrire qualcosa? L’assenza di creatività e di genio, assimilabile all’idiozia citazionista dei soliti noti? Oppure il desiderio ormai ansioso e ansiogeno, tanto da risultare per certi versi contagioso, di partecipare a tutti i costi, di farsi notare anche quando non si avrebbe niente da dire? E tutto questo perché? Per affermare una propria identità fittizia e per lo più innocua, per mettersi in evidenza agli occhi degli altri, agli occhi di una platea esultante e buonista che dia coraggio e conforto nelle lunghe serate invernali in cui fa buio troppo presto? Si tratta di un egocentrismo senza sostanza che non solo non si mette in gioco, perché posta contenuti chiaramente professionali, già testati in altri contesti, quindi non corre il rischio di essere criticato, ma è anche rassicurante per gli amici virtuali e non, che distribuiscono il loro gradimento per simpatia, senza pensare che la persona che posta una foto di altri senza preoccuparsi minimamente di citare la fonte, non sta facendo cultura, bensì sta violando pesantemente il diritto d’autore.

Questa non è epoca in cui sia richiesto di pensare troppo. 

Chi pensa è praticamente perduto.

Comment (1)

  1. Rita

    Prima cosa citare la fonte, per correttezza e lealtà verso chi legge

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