Nestlé e i nuovi schiavi

Nestlé e i nuovi schiavi

Nestlé e i nuovi schiavi

Di Mary Blindflowers©

Nestlé e i nuovi schiavi

Primo principio negato, mixed media on paper by Mary Blindflowers©

 

Durante la rivoluzione industriale, in piena epoca vittoriana, gli operai vivevano in condizioni disumane, in casupole malsane e sovraffollate, con arredamento poverissimo. Le condizioni igieniche erano disastrose. Si diffondevano malattie come tifo, scarlattina, tubercolosi, vaiolo e rachitismo infantile.

I poveri emigravano in frotta dalle campagne alle città. I quartieri operai crebbero disordinatamente, come informi mostri, delirio sistematico della cosiddetto progresso, della moderna civiltà. I salari dei lavoratori erano bassissimi, tanto che le famiglie avevano bisogno del lavoro di donne e bambini. Nelle fabbriche di bottiglie e non solo, bambini di 5-6 anni venivano costretti a lavorare 14 ore al giorno, ininterrottamente, consumando cibo scarso e di pessima qualità. I bambini venivano affidati compiti semplici nell’antesignana di quella che poi sarebbe diventata la catena di montaggio. Non avevano stimoli, erano alienati. Marx ha descritto bene lo stato di alienazione operaia nelle sue opere, descrivendo l’uomo scisso, depauperato della sua capacità di pensare e di vedere il lavoro finito, l’uomo-macchina, sacrificato al business, produttore di fini estranei, lontani dal suo mondo, dalla sua interiorità.

Anche nelle miniere si moriva di sifilide, ci tiravano le cuoia pure i bambini. Automi da sacrificare. Riuscivano ad intrufolarsi nei passaggi più stretti, e a volte, a morirci dentro per una banale frana. Chi era quel Rosso Malpelo di verghiana memoria, se non un’infanzia sfruttata nella cava della rena? Un ragazzo inselvatichito, sfruttato, privato dell’infanzia: “Il padrone mi manda spesso lontano, dove gli altri hanno paura d’andare. Ma io sono Malpelo, e se non torno più, nessuno mi cercherà -. Pure, durante le belle notti d’estate, le stelle splendevano lucenti anche sulla sciara, e la campagna circostante era nera anch’essa, come la lava, ma Malpelo, stanco della lunga giornata di lavoro, si sdraiava sul sacco, col viso verso il cielo, a godersi quella quiete e quella luminaria dell’alto; perciò odiava le notti di luna, in cui il mare formicola di scintille, e la campagna si disegna qua e là vagamente – perché allora la sciara sembra più bella e desolata. – Per noi che siamo fatti per vivere sotterra, – pensava Malpelo, – dovrebbe essere buio sempre e da per tutto -”.

Ci scandalizziamo oggi leggendo queste cose sui libri di storia e nelle novelle dei grandi scrittori. Retaggio dei tempi passati?

Purtroppo no.

Stampa alternativa pubblica un libretto: Le multinazionali del crimine, la Nestlé. Corre l’anno 1977 e già questa multinazionale, fondata nel 1866, viene messa sotto accusa. Nei Paesi sottosviluppati il latte in polvere commercializzato dalla Nestlé crea seri problemi, in quanto deve essere sciolto rigorosamente in acqua per essere consumato. La sterilizzazione dell’acqua in un Terzo Mondo dove oltretutto le risorse idriche scarseggiano, non è affar semplice. Quindi la sostituzione del latte materno con il latte in polvere, secondo dati UNICEF, ha portato ad una elevatissima mortalità infantile, a causa dell’impossibilità di procedere alla sterilizzazione dell’acqua. Il 22 maggio del 1981 L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) crea l’International Code of Marketing of Breast-milk Substitutes, un regolamento internazionale sulla commercializzazione del latte in polvere, al quale la Nestlé aderisce nel 1982. L’International Baby Food Action Network nel 1988 riscontra delle infrazioni da parte della Nestlé e di altre aziende produttrici di surrogati del latte materno. Negli ultimi anni la multinazionale ha infranto più volte le regole dell’OMS per uso di inchiostri ltx, per la presenza di sostanze geneticamente modificate e per l’uso di manodopera minorile ridotta in condizioni di schiavitù. Nel 2001 la Nestlé e altre multinazionali hanno firmato il protocollo Harkin-Engel (o piu comunemente chiamato Protocollo sul cacao), per testimoniare che il cioccolato non viene prodotto utilizzando forzalavoro minorile. Tuttavia secondo l’International Labor Rights Fund, che ha pubblicato la sua relazione nel 2008, il protocollo non è stato affatto rispettato. Si parla addirittura di traffico di esseri umani, costretti a lavorare duramente e forzatamente per tante ore al giorno, esattamente come nell’epoca vittoriana europea.

Sebbene esistano norme internazionali che dovrebbero impedire lo sfruttamento del lavoro minorile nelle piantagioni di cacao, queste norme sono ben lontane dall’essere seguite. Il profitto prima di tutto. Il viaggio-inchiesta di due giornalisti: “The dark side of chocolate”, indaga il fenomeno con immagini inequivocabili sul nuovo schiavismo.

Passa il tempo ma lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo prosegue.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

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