Storia di un uccellino

Storia di un uccellino

Storia di un uccellino

Di Mary Blindflowers©

 

Pasqua di rose, foto Mary Blindflowers©

Questa è la storia di un uccellino il quale pensava che la sacralità della poesia sia (uso il congiuntivo presente così un eventuale ano-nimo che dovesse passare di qua, oltretutto noto, può correggere ciò che è esatto) un bluff narcisistico che annulla la poesia stessa. I poeti autodefinenti gli sembravano una razza nefasta, salottiera, prigioniera dei propri schemi mentali, spesso beota, biliosa, invidiosa e untuosa verso il potere. L’uccellino odiava i poeti. Gli facevano orrore, gli faceva orrore la stessa definizione applicata a omuncoli col riportino dell’anima esibito in testa che poi si rivelava essere un parrucchino finto e tinto. Così diceva l’uccellino rivolto ai corvi: “poeti che vi definite tali con sussiego e vi mettete l’etichetta sulla fronte che si inchina al nuovo padrone di turno, non attendete oltre, allevate la vostra autoreferenza, l’indecenza pigra e megera delle vostre false coscienze in disuso in prestito spesso al miglior offerente, continuate a chinare le schiene, iene da salotto buono, prestate orecchio al suono di una finta sentimentalità, così potrete dire di essere qualcuno, di avere un posto ben meritato nel mondo, un posto tutto italiano, caldo, rassicurante come un confortevole nido sull’albero della mediocre caratura di commercio”. E poi imperterrito continuava: “Il lercio tempo in cui viviamo non è fatto per le rarità ornitologiche di chi non ci sta, è fatto per il gregge, per il fingitore, per il miniatore di intese più o meno sporche. Se non fai parte della categoria dei poeticorvi autoreferenti, sei libero. La libertà si paga, sempre. Si paga con la maldicenza dei poeti etichettati, con i loro grugni da corvi sfrontati che, diventati editors a forza di ungere meccanismi, pretendono da te la cessione dei diritti sul tuo lavoro, in modo che possano guadagnare, promettendo favolose pubblicazioni con editori altrettanto favolosi. E se non ci stai? Ah se non ci stai sei un fallito perché la società dei falliti considera fallito chi non si piega, e te lo dice pure, in franco anonimato. E come le mosche annusano il defecato sul prato delle iniquità, i corvipoeti laureati, manducati dal potere, i qualcuno che servono altri qualcuno in una catena infinita, quelli che hai scocciato con la tua defezione e i tuoi no, escono dal rifugio di legno con pertugio da dove osservano gli uccelli ribelli e ti dicono, nascondendosi dietro il legno: “Fallito, dove vai? Dove pensi mai di andare? Dove voli? Cosa pensi di cambiare che non sei nulla e noi tutto?”.

L’uccellino volava e non si preoccupava del dove ma solo dei perché lui non aveva mai mal di schiena mentre i corvi camminavano flessi come tanti accenti circonflessi.

Ora dove stanno i fessi? Chi è più fallito, un fallito che finge di essere qualcuno o un nessuno che non finge di essere nessuno anche perché lo è nella società dei falliti?

Intanto i corvi continuavano a gracchiare perché non avevano nulla da fare…

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https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Secondo me quella lenza dell’autrice intimamente allegorista e doppiosensista, tra uccelini e falliti gioca la carta dell’ambiguitas penetrativa nel tira e molla della evidente sterilitá impotente dei volatili somaticamente più grossi del colibrì ribelle in cui si identifica. Se la conosco bene è così. ..e fa bene a dirlo

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