Macerie, un libro intenso

Macerie, un libro intenso

Macerie, un libro intenso

Macerie è un libro intenso tra Antro e mistero

Il morto, disegno su carta di Fremmy©

Di Mary Blindflowers©

Macerie, un libro intenso

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Tra tante pubblicazioni inutili, pseudopoeti raccomandati dai partiti, editor scrittori, pubblicati da grandi gruppi editoriali, che non valgono neppure il prezzo della carta che imbrattano, leggo in formato kindle “Macerie”, di Claudio Piras Moreno. Un libro intenso che merita di essere presto stampato su cartaceo.
Fin dalle prime pagine la prosa ricercata e nel contempo scorrevole, avvince e travolge il lettore, spingendolo a continuare la lettura sulla tragedia di Antro e il mistero di un uomo dissepolto dal protagonista alla ricerca di se stesso. Una prosa delicata e misteriosa, con una simbologia solo apparentemente accennata, significativa e poetica. Una storia di fantasmi e uomini che sembrano fuoriuscire da un subconscio oscuro, da un intratempo fantastico da cui è difficile staccarsi. Le descrizioni, ovattate di sapiente onirismo in cui il surreale è ben dosato e maturo, ricordano suggestioni di matrice deleddiana, nell’ipnosi di una natura che cattura le anime e risponde a stimoli sovrannaturali. La vicenda personale di Pietro che lotta per ricostruire il proprio passato, si carica, ad un certo punto, di sensi cosmici espressi dall’autore in modo magistrale, con i tempi giusti, le attese ben calcolate sovrastate di tinte oniriche e multiformi, che fanno intravedere presenze diaboliche. Il paesaggio antropomorfizzato, sembra riflettere lo stato di sempiterno malessere dell’uomo, un disagio contorto, ferito, che sa di devastazione: “È stagione di nebbie, l’umidità nell’aria imperla anche gli alberi: statici nella loro malattia cronica, divorati dalle legionarie, scorticati dall’uomo, con le radici marce. Il dissepolto passa di fianco a una quercia, della quale ha decretato la fine un maldestro colpo d’accetta di un inesperto raccoglitore di sughero. La sfiora con una mano ossuta e questa pare tremare… Una melagrana è caduta da un albero sovrastante la strada… Dal frutto caduto alcuni chicchi hanno iniziato a rotolare nella discesa… il resto del frutto è rimasto a terra, spiaccicato, come un’orchidea appena sbocciata, ma stillante gocce di sangue amaranto…”. La natura però è anche via d’accesso a mondi inaccessibili che evidenziano nel personaggio un’idea di alienazione dal corpo, percepito come alterità: “affretta il passo e osserva lo sfrigolare di una pietra nelle tenebre. Su di essa si apre un pertugio che porta dentro una casa di fate, tuttavia il passaggio non gli è concesso ed egli deve camminare oltre. Il suo incedere diventa triste e spettrale. Certo, il suo corpo è alquanto smagrito. È un ossario vagante le cui ossa non gli appartengono, il suo corpo è un assemblaggio di pezzi altrui; non ha niente di suo, nemmeno il respiro, e quel rantolare si fa sempre più affannoso.
L’uomo sente il grido di una stria poco lontano e sorride. I denti, bianchissimi nel buio, rifulgono. Non sono suoi nemmeno quelli, e il suo sorridere è un atteggiamento improvvido, che non tiene conto di tutte le avversità che è tenuto ad affrontare…”.
E dai ricordi emerge anche il quadro di una società agricolo pastorale come affresco incantato di una civiltà perduta, ancora non contaminata, di ancestrale purezza . Riecheggia vivace nei racconti magici di Filomena: “da piccola mi sedevo su una seggiola di legno a guardare mia madre, mentre lei rimestava il latte con un bastone di olivastro, dopo averci gettato il caglio… eravamo complici di una magia che si ripeteva non so da quanti anni… Era il formaggio migliore della zona, superiore perfino a quello di pecora, perché le capre le pascolava in alta montagna, dove l’aria era sana e l’erba migliore. Loro bevevano solo acqua di ruscello che era pioggia appena scesa dal cielo. Filtrata dalle rocce, fresca e limpida. Cantava quell’acqua e continuava a farlo anche dentro la pancia…”. Poi la corruzione, le maldicenze, le piccole invidie velenose scaturite da quelle che Leo Spitzer, riferendosi al verismo verghiano, chiamava “coro di parlanti popolari”. Le voci qui hanno la particolarità di essere spiriti e sfidano il tempo. Lo spettro di Filomena mette alla luce la realtà del trobeddu: “la figlia della vicina è rimasta incinta senza essere sposata… Il figlio di Mariedda è finito in carcere… Il marito dell’altra è andato con… Un prendi e molla, un fai e disfa che non finiva mai! E corna, e gravidanze indesiderate, bagassumine, gente che non aveva voglia di lavorare, furti, spaccio, mariti che picchiavano le mogli… di tutto… Dicevano che ero una stria… stando a spiare da dietro le persiane ne ho scoperte di cose!”.
La dura realtà si alterna dunque con il sogno. L’empatia del dissepolto coi morti, che chiarisce la storia personale di Pietro, si diluisce nel tragico finale. Niente anticipazioni, leggete.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

 

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