Test di intelligenza e giochi di potere

Test di intelligenza e giochi di potere

Test di intelligenza e giochi di potere

Di Mary Blindflowers©

Test di intelligenza e giochi di potere

L’innaffiatoio, credit Mary Blindflowers©

 

Il simbolo è una realtà polisemantica che può racchiudere frammenti di infinito, portando sulla terra un significato che va oltre, sempre. Per questo dei simboli ci si serve per convincere, rafforzare una tesi, aiutare la limitatezza del linguaggio ad esprimere l’inesprimibile, rappresentare un partito, una categoria, un’idea.

Dietro ciascun simbolo si cela un mondo che a volte non è così semplice da decifrare, a volte invece è talmente radicato nelle coscienze da far sì che chiunque dia per scontato il concetto che quel simbolo esprime, senza riuscire a contestarne l’essenza, semplicemente perché il cervello ha già immagazzinato il simbolo nel reparto “dati certi ed incontrovertibili”.

Facciamo un esempio a caso. Prendiamo uno dei test che circolano sul web e che vengono condivisi sui social da più persone.

L’immagine sopra, “Test di intelligenza, livello difficile”, dovrebbe essere una verifica spicciola, uno di quei giochini verso cui molte persone sono attirate dalla loro capacità ludica che nell’uomo è innata. Gioco uguale divertimento. Partecipazione garantita, perché quando c’è da divertirsi chi si sottrae alla battaglia? E poi dimostrare di essere intelligenti, di appartenere alla categoria uno su venti che indovina, è un atto narcisistico da non sottovalutare per ingraziarsi il rispetto dei contatti multimediali. 

Nella prima riga c’è un omino con la testa tra le braccia e un annaffiatoio in mano. L’omino è replicato per tre col risultato di 30.

Nella seconda riga riecco lo stesso omino con l’annaffiatoio in mano e due scale a cinque pioli, risultato 20.

Nella terza riga lo stesso omino delle righe precedenti compare senza l’annaffiatoio, che sta a parte. C’è anche una scala a 4 pioli.

L’intelligenza del soggetto che partecipa al gioco consisterebbe nell’indovinare il risultato.

Molti soggetti hanno partecipato, dando risposte diverse ma uguali contemporaneamente, numeri diversi, ragionamento identico, proprio come desidera l’ideatore del gioco, che in questo caso possiamo tranquillamente definire “sistema”.

Il sistema vuole che il soggetto partecipi e guardi in una certa direzione, tesa all’ottenimento del risultato, valutando il valore di ciascun simbolo sulla base delle informazioni ricevute. E tutti hanno guardato esattamente dove il sistema voleva che guardassero, ossia al risultato, dando per scontate le informazioni.

Quasi tutti hanno dedotto automaticamente, che l’uomo con l’innaffiatoio vale dieci, lo stesso uomo senza innaffiatoio vale sette.

Molti non si sono accorti che alla scala dell’ultima riga manca un piolo, e quindi hanno sbagliato il conto, perché il piolo è meno evidente di un oggetto colorato di verde posizionato in bella vista davanti agli occhi. È scontato per tutti che l’uomo con quell’oggetto vale di più. E in effetti è così, nella logica aberrante di questo gioco solo apparentemente ingenuo, avere corrisponde a valere per cui la privazione dell’innaffiatoio-bene, riduce il valore dell’uomo. Eppure si tratta dello stesso uomo, su questo non ci sono dubbi, stessa posizione, stessa persona, stessi vestiti.

Un uomo vale di meno se ha meno? È davvero così scontato?

In pratica il binomio avere uguale essere, è talmente radicato nella coscienza collettiva e individuale di ciascuno, che nessuno si è posto il dubbio, nessuno tra i partecipanti al test, impegnati a sparare numeri, si è chiesto: scusate ma perché un uomo privo di un bene materiale dovrebbe valere sette e lo stesso uomo che possiede un bene materiale dovrebbe valere 10? Non vi sembra un poco arbitrario come concetto? E anche classista?

Il test è rivolto ad una marea di persone. I simboli che ci sono dentro devono essere immediatamente riconoscibili, devono riflettere dei concetti accettati da tutti, attraverso immagini distrattive (il verde dell’innaffiatoio è evidente e distrae dal conteggio dei pioli della scala, meno evidenti). Tutti hanno riconosciuto inconsciamente che il valore di un uomo dipende da ciò che possiede. Nessuno si è ribellato a questo, perché è un dato della società occidentale capitalistica già assimilato e non si contestano i dati scontati. Nessuno lo fa.

La scala con un piolo in meno vale meno. Il concetto è lo stesso applicato all’omino, privazione-assenza uguale inferiorità nel valore, quindi sottrazione. Se hai un piolo in meno vali meno, lapalissiano. Una scala più piccola, piolo in meno, vale meno di una scala più grande. Un uomo senza un bene vale meno di un uomo con il bene. L’uomo è privato del suo valore di uomo, è assolutamente oggettualizzato, è come una scala, e il grave è che a tutti va bene così, nessuno si scandalizza.

La psicologia del sistema del test è semplice, agire su dati scontati per ottenere un risultato che dovrebbe essere scontato, ma non lo è affatto, perché nella realtà etica un uomo non vale per ciò che possiede, ma per ciò che è. Tutti guardano dove il sistema vuole che guardino, al numero del risultato, nell’ansia sgomitante di indovinare, di dimostrare la propria abilità nel recepire le informazioni errate e fallaci, nonché amorali, del sistema. 

Un po’ come accade nei giochi di prestigio. Il mago fa manovre distrattive e monopolizza la folla, costringendola inconsciamente a guardare dove lui vuole che guardi, mentre da un’altra parte procede alla realizzazione del suo trucco di scena.

Il test suindicato è solo un giochino, direbbe la maggior parte della gente, cosa vuoi che c’entri la dinamica, essere-avere, privazione-abbondanza, disvalore-valore dell’uomo e dell’oggetto, con il fatto che occorre dare un risultato? Si tratta di un gioco ingenuo!

Il simbolo però smentisce categoricamente questa tesi, perché nella sua silente comunicazione agisce sull’inconscio e chi ha concepito il test a sua volta ha dato per scontato che avere corrisponde a valere e che tutti sanno che un uomo vale per ciò che ha, non per ciò che è.

Gli stessi giochi vengono applicati anche dalla politica e dai giornali. Attraverso simboli e distrazioni, ci costringono a guardare dove essi vogliono che guardiamo, concentrati sulle loro direttive, senza valutare razionalmente tutte le implicazioni, dando per scontato molte cose che scontate non sono affatto.

C’è una mentalità pavloviana e un desiderio universale di potenza in queste dinamiche psicologiche. C’è un sistema che ci manipola senza che ce ne accorgiamo, che instilla nel nostro subconscio concetti che non dovrebbero essere affatto scontati e su cui potremmo riflettere più a lungo, se soltanto ci sforzassimo di elaborare un pensiero autonomo, svincolato dai dati certi e apodittici, ma non lo facciamo perché siamo pigri, imboccati, ingenui e pensiamo di avere davanti dati certi, sulla cui certezza e attendibilità garantisce chi dirige i giochi che non ci permette di guardare tutto, ma nella direzione prevista dalle sue leggi scritte e non scritte e dalle sue aberrazioni sistemiche che ci catalogano come animali da laboratorio stimolo-risposta.

Finché ci sarà qualcuno che non guarderà soltanto nella direzione voluta dal sistema, ma volgerà lo sguardo dubbioso dove normalmente non è previsto di guardare, forse c’è ancora una speranza di salvezza per la ragione.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    E l’impegno di questo blog va giustamente nella direzione destrutturalista, cercare di scomporre i pezzi del puzzle perverso messo in piedi da questo sistema fondato sulle armi di distrazione di masse come li battezzò la Guzzanti. Io sono uno di quelli completamente fuorviati dalla logica del calcolo ed in itinere, ma solo in itinere, mi sono accorto dell’omino della quarta linea deprivato del suo oggetto-valore; ho avuto bisogno di indicazioni allotrie per comprendere che l’acromatica quarta scala contenesse in un cantuccio un piolo in meno, beanza in realtà ancor più fondamentale di quella dell’innaffiatoio facilmente surrogabile dalla natura piovosa: cosa c’è di più mutilo ed impotente in realtà di una scala priva di un suo elemento fondante? Ma pochi vi han riflettuto; così come altrettanto fuorviante è il mutamento del segno operatore prima di quell’ultimo pezzo del puzzle, così simile e così diverso grazie ad una piccola rotazione angolare del simbolo aritmetico volutamente tratteggiato in dimensioni minuscolamente identiche (x per +). C’era chi parlava di manumissio verborum, qui ci troviamo nella manumissio signorum.

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