La civiltà da tastiera

La civiltà da tastiera

La civiltà da tastiera

 

La civiltà da tastiera, i poeti da like e i topamici

Il diavolo pensa, credit Mary Blindflowers©

 

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

La civiltà da tastiera

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Il gap tra pubblico e privato, il diavolo corredato dell’aureola, il miele che cola, allappa, allaga le coscienze digitali, il soffio trattenuto, l’educazione posticcia come un tupé di fiori finti. Accade sempre più spesso nell’era del protagonismo da pc, di trasportare le discussioni dal bar alla tastiera, con le conseguenze della rarefazione del clima che, per ostentazione di un’educazione iperventilata, non richiesta nemmeno nei tribunali della Repubblichina in cui siamo nati, l’italietta dei raccomandati, degli intoccabili, dei vincitori e dei vinti, prende inesorabilmente il sopravvento.

Così frasi di uso comune, modi di dire innocui, ma coloriti diventano out, proibiti dalla metafisica esistenziale demenziale della rete e dei social dove i colti della middle class, cercando di non rompere l’uovo dell’inconsistenza che hanno dentro l’ano foderato di platino, tra un ossequioso like a tutti gli amici postanti cuoricini e sorrisi d’assenso e il fastidio concreto per ogni minimo dissenso, diventano protagonisti di una scena fittizia, costruita su scenari fittizi, su contatti fittizi, su consensi di plastica, sull’abolizione della dialettica e anche dell’onestà. La regola è data dall’interpretazione di un ruolo che viene recitato secondo un copione abbastanza scontato. Postare, ottenere-consensi, non usare termini che si userebbero tranquillamente nella vita ordinaria, per evitare di essere accusati di qualcosa, Per esempio se diciamo crepino le banche e tutti i faccendieri, abbiamo augurato la morte a qualcuno, un atto intollerabile, insopportabile per la buona educazione digitale. Così un modo popolare di critica e istintiva avversione, diventa istigazione all’omicidio. Come spiegare ai “subnullisti” digitalizzati da tastiera che l’espressione è soltanto un modo poco intellettuale di esprimersi? Come spiegar loro che l’espressione non era riferita a delle singole persone, ma ad un sistema che si aborre e si contesta? Ogni tentativo di spiegazione sarà inutile, superfluo, controproducente. Si arriverà alla rissa, all’insulto, perché l’uomo medio italiota non ammette defezioni alla regola, o ci si trattiene e si resta nei limiti di un mondo falso-patinato, oppure si è dei maleducati. Un po’ come topi di laboratorio che avendo capito dove si trova il miele, vanno sempre nella stessa direzione dove c’è un segnale preciso. Quando però il segnale cambia colore, i topi non capiscono più nulla, non sanno più dove si trovi il miele-like e iniziano a sragionare, a correre, a cozzare la testa contro i vetri della scatola trasparente dentro cui sono rinchiusi. Questa scatola, perfettamente programmata, ad uso e consumo di una cerchia ristretta di amici e fans, diventa la misura della libertà dei topi, una misura in cui tutto è già deciso, in cui le discussioni sono abolite semplicemente perché dentro la testa dei topi non c’è nulla, c’è un segnale e la risposta a quel segnale. I riflessi pavloviani, azione-reazione. Si innesca un movimento automatico che non permette ai topi di pensare.

Credete che gli uomini siano migliori dei topi?

Noi no.

Se ad ogni azione corrisponde una reazione, occorrerà capire se la reazione sia commisurata all’azione, se la reazione sia più o meno intelligente dell’azione.

Poniamo un esempio a caso.

Mettiamo due vecchi signori mezzo rimbambiti e con qualche acciacco, che, non sapendo come impiegare il poco tempo che li separa dalla morte, decidono di scrivere una recensione ad un autore X. La recensione non è proprio positiva. L’autore X reagisce. Come? Commentando la recensione con sorrisi e smiles, facendo lo splendido splendente senza contro-recensire alcunché.

Abbiamo pensato ad un topo che si è sfasciato la testa contro il vetro della teca da laboratorio nel quale è chiuso, con altri topi che lo hanno seguito perché convinti di trovare cibo-vantaggio, seguendolo.

Tutto questo avviene senza ragionamento sulla base di un principio base, che recita più o meno così, se non hai argomenti per contro-recensire seriamente, fai un po’ di chiasso dentro la teca-bacheca del tuo laboratorio, battute, commenti esilaranti, insulti più o meno claudicanti, poi rispondi senza rispondere, dato che hai il nulla dentro, rispondi senza dire nulla, così i “topamici” ti seguiranno e sarai l’eroe del giorno, l’eroe di un mondo digitale dove è più facile recitare una parte che essere se stessi, un mondo dove è più facile non pensare e seguire l’input come animali, che ragionare civilmente ed educatamente.

La dialettica è morta, sotterrata dai likes, dai sorrisini, dalla supponenza egocentrica di chi pensa, per aver vinto qualche premio fittizio in un mondo fittizio di un’italietta mediocre dove pure i cadaveri sanno che è tutto finto, di essere qualcuno o qualcosa non si sa bene per chi o per cosa.

Questa italietta marcia in realtà usa ed abusa l’argumentum e silentio: non sai scrivere poesie come me ed allora che mi recensisci a fare? La tua è frustrazione perché non puoi competere ai miei livelli: chi dissente dal tuo modo di scrivere è in poche parole un nequam, un incapace che scrive per frustrazione; semplicisticamente tutti coloro che, ad esempio, non gradivano il modo di poetare di Leopardi, poiché troppo autoriflesso, erano dei frustrati vermi corrosi dall’invidia; con la differenza che il grande recanatese ribatteva punto su punto le argomentazioni dei propri denigratori, mai irritandosi e deridendoli, ma contro-argomentando.

Oggi invece la sostanza dell’interloquire muore e lo scrittore diventa autoreferenziale, castrando la propria capacità di confronto e tarpando ogni stimolo migliorativo a se stesso. La civiltà da tastiera sta isterilendo l’osmosi culturale tra la gente! Ed è così che si innaffia l’humus dell’intolleranza.

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Rivista Il Destrutturalismo

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